Panchine normali o panchine giganti?

[La panchina gigante di Piamprato in Valle Soana, Piemonte.]
Secondo voi, se in un luogo che offre un bel panorama e per ciò vi viene piazzata una “big bench”, una panchina gigante insomma, si fosse installata una panchina normale, avrebbe attirato lo stesso molte persone?

La risposta è no, ovviamente.

E perché mai? Cosa cambia tra le due, se il senso dell’opera è dare modo alle persone di ammirare la bellezza del luogo e del suo panorama?

Se al posto delle panchinone, quasi sempre caratterizzate da colori sgargianti che non c’entrano nulla con i luoghi in cui stanno, si fossero installate delle belle panchine normali, magari realizzate da un valente falegname o da un bravo artigiano del ferro battuto, non avrebbero veramente abbellito il luogo ben più delle prime dando ugualmente la possibilità alle persone di sedersi su di un oggetto pregevole e di godere del panorama? Non sarebbe stata comunque una situazione instagrammabile?

[Una semplicissima panca in legno sulle Alpi austriache. Foto di Arthur Dent su Unsplash.]
La risposta, altrettanto ovvia, è . E lo è perché alle panchine giganti non interessa nulla del luogo e della sua “valorizzazione”: sono oggetti autoreferenziali, oltre che volgari, che accentrano unicamente sulla loro presenza l’attenzione del pubblico più svagato banalizzando e degradando ciò che hanno intorno. Chi le installa vuole “valorizzare” il luogo, appunto, invece finisce inesorabilmente per imbruttirlo.

[Ecco l’unico vero scopo fondamentale delle panchine giganti.]
A questo punto non posso che chiedere: veramente molte persone accettano di stare al gioco, ad un gioco così bieco e cafone, e di partecipare – pur con tutta l’inconsapevolezza e la buona fede del caso – al degrado di un luogo di pregio? Invece di godere veramente delle bellezze naturali e paesaggistiche che può offrire camminandoci attraverso e magari sedendosi ad ammirarne le vedute su una semplice panchina – ma basta un sasso oppure un prato – sentendosi realmente dentro il paesaggio senza trasformarsi in un elemento di disturbo esattamente come lo è la panchina gigante sulla quale ci si trastulla?

Veramente molte persone possono accettare tutto questo a cuor leggero? Quale risposta più o meno ovvia possiamo dare a una domanda del genere?

A che punto è l’emblematica questione del collegamento sciistico tra Colere e Lizzola?

È ormai passato un anno da quando il “caso Colere-Lizzola” – cioè il progetto da oltre 70 milioni di Euro di collegamento tra i due comprensori sciistici sulle Prealpi bergamasche posti in gran parte sotto i 2000 metri di quota e in zone variamente sottoposte a tutela ambientale – è scoppiato in tutto il suo fragore, echeggiato sulla stampa locale e nazionale nonché nei vari incontri pubblici organizzati al riguardo dai soggetti che si sono mossi contro il progetto e a tutela dei territori montani coinvolti. Qui trovate i numerosi articoli che anch’io gli dedicato.

Un caso che è diventato rapidamente emblematico al pari di altri (Monte San Primo, Vallone delle Cime Bianche, Tangenzialina dell’Alute, le varie infrastrutture olimpiche, eccetera) circa la più opinabile turistificazione delle montagne, in forza dell’enorme investimento previsto – per la gran parte pubblico – a fronte della limitatezza e dell’attrattività del comprensorio sciistico rispetto ad altri ben più grandi e strutturati posta alla stessa distanza da Milano (ovvio bacino d’utenza primario della località), della sua vulnerabilità agli effetti della crisi climatica, del territorio coinvolto estremamente pregiato e delicato, dei bisogni ben diversi e insoddisfatti utili alla quotidianità delle comunità locali, e così via.

Dunque, dopo la pubblicazione del progetto di collegamento definitivo, lo scorso anno, e le varie iniziative di sensibilizzazione e di opposizione ad esso, qual è ad oggi il punto della situazione?

Lo delinea dettagliatamente il recente comunicato stampa delle associazioni che si stanno muovendo contro il progetto, cioè Orobievive, TerreAlt(r)e, Valle di Scalve bene comune, Lipu, APE, Legambiente Bergamo, FAB/Flora Alpina Bergamasca e Italia Nostra, che vi propongo di seguito, ringraziando di cuore Angelo Borroni che me l’ha inviato.

A che punto è il collegamento sciistico Colere-Lizzola?

A maggio 2024 RSI, la società che gestisce il comprensorio di Colere, presenta il progetto di collegamento sciistico delle stazioni di Colere e di Lizzola.

A luglio 2025 le relazioni economica-finanziaria e legale, redatte dai consulenti incaricati dagli stessi Comuni, evidenziano le carenze del progetto che pretende la quota prevalente di investimenti effettuata con denaro pubblico, riservandosi per 60 anni la eventuale redditività dell’impresa.

Questi pareri confermano tutte le obiezioni che in questi mesi sono state indicate dai cittadini di buon senso e dalle associazioni, senza dimenticare la devastazione ambientale che coinvolgerebbe anche la Val Conchetta e l’alta Val Sedornia, finora non antropizzate, compromettendone la bellezza e pure la fruibilità turistica estiva, che viene raccontata come “destagionalizzazione”.

Questo progetto acquisisce di fatto la certificazione di non poter stare in piedi.

Le Amministrazioni devono di fatto prendere atto che il collegamento sciistico non è economicamente e giuridicamente sostenibile: il Comune di Colere ha votato contro la richiesta di RSI di allargare alla Val Conchetta la convenzione già in essere; nel Comune di Valbondione l'inserimento del progetto di collegamento sciistico fra le Opere di Pubblica Utilità viene paradossalmente votato dalla minoranza con l’astensione della maggioranza.

Nel frattempo occorre sottolineare che viene negato l’accesso agli atti per conoscere l’evoluzione del progetto. Il Comune di Colere ha inserito nel suo sito una sezione che dovrebbe comprendere il materiale relativo ai rapporti Comune-RSI, ma in realtà molti documenti non sono pubblicati; invece il Comune di Valbondione nega semplicemente tutte le informazioni dopo ormai più di un anno dalla richiesta.

E la stazione di Colere, come sta?

Il bilancio 2024/2025 di RSI srl, società di gestione della stazione di Colere, è ulteriormente peggiorato rispetto al 2023/2024, in quanto:

a) lo stato patrimoniale fotografa una situazione sicuramente non solida dell’impresa, dove i debiti pesano per oltre il 60% del valore delle strutture e dei beni;

b) il conto economico dice che i costi di gestione sono aumentati, mentre gli incassi sono diminuiti, in quanto gli accessi invernali hanno continuato a calare (da 76000 nel 2023/2024 ai 70000 nel 2024/2025);

c) le perdite di esercizio passano da 328.000 a 1.449.000 Euro, gravate dai costi di gestione, cioè consumi energia elettrica, gasolio e acqua, dai costi per il personale, dal peso degli ammortamenti e soprattutto dagli oneri finanziari, che ammontano a 1.143.000 Euro, dovuti all’indebitamento bancario che ha raggiunto i 18.526.000 Euro, la quota prevalente dei debiti pari a 22.737.000 Euro.

Nel frattempo RSI continua a spendere con la ristrutturazione dell’albergo Pian del Sole al Polzone (costo 8 milioni), con il completamento dell’impianto di innevamento artificiale delle piste e con ulteriori edifici.

Questi interventi si aggiungono ad aggravare la passività nel prossimo bilancio con l’espansione dei costi, con il peso degli ammortamenti e di eventuali ulteriori oneri finanziari.

Ma il progetto non va in soffitta, anzi!

RSI, che ha già in tasca l’opzione di rilevare la società che gestisce Lizzola, ha manifestato l’interesse per la stazione di Spiazzi di Gromo, rendendosi disponibile a integrare il finanziamento (6,6 milioni), già assegnato dal Ministero del Turismo alla locale società di gestione IRIS per la sostituzione della seggiovia Vodala, con la prospettiva di rilevare interamente la società.

Nonostante le evidenze che certificano un incerto futuro per lo sci da discesa, nonostante le incontestabili condizioni climatiche sfavorevoli, nonostante i pareri contrari di tutti i consulenti tecnici (incaricati dai Comuni, su indicazione di RSI) e di tutti i responsabili tecnico/finanziari dei Comuni, i rispettivi Sindaci persistono nel voler portare avanti l'assurdo progetto. Come se si trattasse solo di rimuovere o aggirare fastidiosi ostacoli messi in campo da chissà quali nemici del progresso e non da pareri competenti e responsabili. Ma la parte pubblica, quella che dovrebbe rappresentare l'interesse di tutti noi, davvero intende gettare decine di milioni in progetti elitari e senza prospettive, che sottraggono risorse alle necessità prioritarie delle aree montane?

Ecco, questo è ad oggi lo stato di fatto della vicenda.

In chiusura, il comunicato accenna alle domande presentate da entrambe le società di gestione degli impianti di Colere e di Lizzola al bando del Ministero del Turismo per i comprensori sciistici di recente assegnazione (ne ho scritto qui.): 10 milioni sono stati richiesti da parte di Lizzola per la sostituzione delle proprie tre seggiovie attuali con unica cabinovia, una soluzione pensata per il collegamento ma che penalizza le piste di Lizzola; altri 10 milioni sono invece stati richiesti da Colere per la sostituzione di una delle seggiovie (la “Ferrantino”) del proprio comprensorio. Bene, come si evince dalle graduatorie pubblicate, il bando ministeriale ha respinto la richiesta di RSI (Colere), non ammessa perché la società non rientra nei parametri finanziari, mentre quella di Lizzola è stata classificata 31°, formalmente esclusa dall’assegnazione dei fondi ma in posizione potenzialmente funzionale a un eventuale ripescaggio. In ogni caso l’apposito provvedimento della Direzione ministeriale competente che sancisce la graduatoria definitiva non è stato ancora pubblicato, dunque questo aspetto dovrà essere rivisto prossimamente.

Dunque «ai posteri l’ardua sentenza»? No, niente affatto: per tutte le circostanze in corso il caso di “Colere-Lizzola” credo si risolverà presto e mi auguro in modi assolutamente positivi per il territorio locale e la comunità che lo vive.

In difesa del Monte San Primo, sempre (anche con un esorcista!)

A proposito di cose belle accadute qualche giorno fa alle quali ho avuto la fortuna e il privilegio di partecipare, quello scorso è stato un altro importante e partecipato weekend di eventi a sostegno della difesa del Monte San Primo dallo scellerato progetto di sviluppo sciistico presentato dal Comune di Bellagio e dalla Comunità Montana del Triangolo Lariano, del quale ormai anche i sassi hanno conoscenza e vi manifestano un dissenso netto.

[Immagine tratta da www.erbanotizie.com.]
Venerdì 7 novembre, a Erba, insieme al presidente di Mountain Wilderness Italia Luigi Casanova e a Roberto Fumagalli del Coordinamento “Salviamo il Monte San Primo”, abbiamo discusso di ciò che sta accadendo per le prossime Olimpiadi invernali di Milano Cortina, partendo dal libro di Casanova “Ombre sulla neve” – e anticipando quello che uscirà a breve, “Oro colato”, scritto con il direttore di “AltræconomiaDuccio Facchini, per poi analizzare le molte analogie, di forma, sostanza e visione dei territori montani che accomunano – nonostante le diverse proporzioni – le Olimpiadi con il progetto “Oltrelario” sul Monte San Primo. Come sempre accade con Luigi Casanova, è stata una bella e illuminante conversazione alla quale ha partecipato anche il pubblico presente ponendo domande e considerazioni sulle realtà di fatto delle due questioni. Per conto mio ringrazio di cuore gli organizzatori dell’incontro e chi vi ha partecipato portando il proprio sostegno alla causa.

[Immagine tratta da www.erbanotizie.com.]
Domenica 9, invece, si è svolto il doppio evento dal titolo “Ascoltare la montagna: il San Primo tra sentieri e musica”, con al mattino una camminata lungo un tratto del “Sentiero Italia” che ha portato i partecipanti a scoprire la bellezza straordinaria dei versanti del San Primo con splendide visuali sul Lago di Como, mentre nel pomeriggio si è tenuto un momento di intrattenimento musicale con il gruppo Flûtes en vacances e il duo acustico Tou e la Vale. Un altro evento alquanto partecipato che ha mostrato l’attaccamento e la sensibilità degli appassionati di montagna nei riguardi del Monte San Primo e della causa in sua difesa.

Una difesa che, è bene ribadire, non è affatto giunta a compimento, nonostante alcuni titoli usciti sui quotidiani nazionali e locali, come quelle che vedete qui sotto del “Corriere della Sera” hanno fatto credere molti che dopo le audizioni del Coordinamento presso le Commissioni Ambiente e Territorio regionali in seduta congiunta e i pareri negativi da queste espressi, il progetto sciistico sia stato fermato.

No, purtroppo il progetto non è stato sospeso: il Comune di Bellagio, lo scorso 10 ottobre 2025 con la determina n.322, ha affidato l’incarico di sviluppare il progetto esecutivo ad uno studio di ingegneria, passaggio tecnico inequivocabile al fine di avviare i lavori. Dunque il Monte San Primo non è ancora salvo, la “battaglia” deve continuare fino a eliminare definitivamente la minaccia sciistica perpetrata dal progetto “Oltrelario”, la quale peraltro appare sempre più assurda e pericolosa visto anche ciò che ha già subìto il San Primo in passato, nei precedenti tentativi di rilanciarvi l’attività sciistica tutti inesorabilmente, miseramente falliti con conseguente spreco di risorse pubbliche. Potete vedere un emblematico video al riguardo cliccando sull’immagine qui sotto:

Dice quel noto proverbio che “Errare è umano, perseverare è diabolico”: che al Comune di Bellagio e in Comunità Montana del Triangolo Lariano occorra veramente la presenza di un esorcista?

Come sempre vi ricordo che per restare aggiornati sulla vicenda del Monte San Primo e sulle attività del Coordinamento in sua difesa potete visitare il sito web, qui, oppure la pagina Facebook “Per il Monte San Primo”.

La pluripremiata “Spluga Climbing Gym” di Enrico Scaramellini a Campodolcino, ovvero: costruire bene in montagna si può!

Nel gennaio 2021 pubblicai un articolo (questo) nel quale presentai il progetto della nuova palestra di arrampicata di Campodolcino (Valle Spluga, provincia di Sondrio) dell’amico architetto Enrico Scaramellini; all’epoca il cantiere non era stato ancora aperto. Descrivevo il progetto come «un intervento che cerca e trova un’armonia materiale con le forme e le peculiarità fisiche del territorio d’intorno ma pure una consonanza immateriale, di concetto, pensiero e percezione, così che il nuovo edificio si identifichi nelle montagne che lo circondano e le montagne si identifichino in esso».

I lavori sono poi effettivamente partiti nel 2022: la palestra è stata completata nel 2023, inaugurata a maggio 2024 e da allora a oggi ha ricevuto una sfilza di riconoscenti e prestigiosi premi, ad esempio nel 2024 il progetto è stato selezionato in rappresentanza dell’Italia tra i cinque per ciascuna nazione al Piranesi Award in Slovenia; ha vinto, sempre nel 2024, il primo premio ne “I luoghi per lo sport” di Inarch Piemonte; quest’anno ha ricevuto la menzione d’onore all’Alpi Design Award nella categoria “Architettura e Ambiente” e si è classificato al primo posto al Festival “Abitare minimo in montagna” nella sezione Architettura minima. Nel frattempo numerose riviste di architettura in giro per il mondo ne hanno scritto e l’opera è diventata materia di studio in molte università.

Ma in quell’ormai lontano 2021, quando la palestra era ancora un progetto sulla carta, non fui per nulla bravo, io, o preveggente o più lungimirante di nessun altro nel pensare del progetto di Sacaramellini ciò che poi scrissi e nel vedere quelle particolarità che poi sono diventate parte delle motivazioni dei numerosi riconoscimenti ricevuti dalla palestra. Molto più banalmente, è stato il progetto a dichiararsi da subito così importante e significativo, in un modo che credo molti altri avrebbero potuto intuire e comprendere. Di fronte tanti, troppi progetti edili e infrastrutturali realizzati ovvero concepiti nei territori montani palesemente brutti e fuori luogo, la Spluga Climbing Gym (questo il nome effettivo) di Scaramellini si è da subito manifestata come un’opera ben pensata e altrettanto ben fatta, una realizzazione esemplare della necessità di tornare a costruire sui monti cose umane che siano in relazione realmente armonica con il loro paesaggio, con la dovuta e ineluttabile consapevolezza delle culture storiche locali e delle potenzialità future coerenti con i luoghi, le geografie fisiche e umane, le risorse ambientali, l’ecologia e l’economia del luogo (termini ben più affini di quanto si creda, come palesa il prefisso e ribadisco di frequente) e con un rinnovato e rivitalizzato concetto di Heimat – se posso usare tale idea – in quanto “luogo dove stare bene”, da residenti tanto quanto da visitatori, nel quale percepire quella citata armonia tra presenza umana, storica e attuale, e territorio naturale che, appunto, fa sentire bene nel luogo e gradevolmente accolti nel suo ambiente, contribuendo ad apprezzarne ancor più le sue specificità.

[Uno degli ultimi premi nel quale la Spluga Climbing Gym è tra le opere finaliste, il BigMat International Architecture Award.]
Dunque non posso che ribadire una volta ancora i miei più complimenti e l’ammirazione per il lavoro di Enrico Scaramellini e per la visione della presenza e della residenza umana nei territori montani che sa esplicare nei suoi progetti. Emblematici e esemplari non solo in tema architettonico ma, ben più in generale, riguardo la vita presente e futura in montagna.

Domani sera a Erba, con Luigi Casanova in difesa del Monte San Primo

La Regione Lombardia negli ultimi anni ha approvato numerosi atti nei quali le piste da sci al di sotto dei 1.500 metri di altitudine vengono ritenute non più economicamente sostenibili. Ciò anche in forza dei report sugli scenari climatici al 2050 elaborati da ARPA Lombardia, che prevedono sempre meno neve naturale e temperature sempre più elevate anche a quote maggiori di 1.500 metri, condizioni che per giunta inficeranno la possibilità di innevamento artificiale nei comprensori di bassa quota.

Posto ciò, perché dunque il Comune di Bellagio e la Comunità Montana del Triangolo Lariano, con fondi pubblici provenienti anche dalla stessa Regione Lombardia (?!) per più di due milioni di Euro complessivi, continuano a perseverare con il proprio progetto di nuove infrastrutture sciistiche sul Monte San Primo poco oltre i 1000 metri di quota (!), avendo il Comune di Bellagio affidato – lo scorso 10 ottobre 2025 con la determina n.322 – l’incarico di sviluppare il progetto esecutivo ad uno studio di ingegneria, passaggio tecnico inequivocabile al fine di avviare i lavori? Perché insistono con il loro dissennato progetto ignorando bellamente le stesse indicazioni climatiche e ambientali di Regione Lombardia e di ARPA sopra citate nonché il recente parere negativo espresso dalle Commissioni Ambiente e Territorio regionali in seduta congiunta, evitando pervicacemente qualsiasi interlocuzione con la società civile, in primis con il Coordinamento “Salviamo il Monte San Primo”, e rifiutando qualsiasi proposta per uno sviluppo turistico alternativo, ben più logico e sostenibile (nonché vantaggioso) del monte?

Insomma, che cavolo gli passa per la testa a quelli?

È un mistero sempre più oscuro e sconcertante, in effetti. Sul quale cercheremo di fare luce, per quanto possibile, domani, venerdì 7 novembre alle ore 21, a Erba, dove avrò il privilegio di parlare con il presidente di Mountain Wilderness Italia Luigi Casanova, una delle figure più prestigiose della salvaguardia dei territori montani italiani, di quanto sta accadendo sul San Primo e dei tanti parallelismi – inopinati ma forse nemmeno tanto – con l’organizzazione delle prossime Olimpiadi invernali di Milano Cortina, delle quale Casanova ha scritto nel suo imperdibile libro “Ombre sulla Neve”.

Dunque, se potete e vorrete esserci, ci vediamo domani sera a Erba, per assistere insieme a un incontro importante e assolutamente significativo. Per saperne di più, cliccate qui.