Cronache del cambiamento (climatico): San Bernardino, stagione (già) finita

La conclusione dell’inverno coincide anche con la fine della stagione sciistica al San Bernardino (GR). La località turistica del Moesano ha infatti comunicato che chiuderà oggi i propri impianti poiché la «sicurezza» e la «qualità del prodotto» non possono essere garantite a causa delle «elevate temperature», che stanno regalando «giornate primaverili» anche in alta quota.

Da Caldo e poca neve, stagione finita al San Bernardino, articolo pubblicato su “Tio.ch” il 21 marzo 2023. Per la cronaca, quello di San Bernardino è un comprensorio sciistico – con quota inferiore a 1600 m circa – già da tempo in difficoltà e non solo per ragioni climatiche; la stagione 2022/2023 è in pratica durata tre mesi scarsi, al netto delle chiusure temporanee. La scorsa estate un gruppo di imprenditori ha presentato al comune un progetto di rilancio della località turistica e degli impianti di risalita ma, al momento, pare che nulla sia stato deciso al riguardo. Una situazione emblematica, cha fa da esempio per molte altre e accomuna la località elvetica a numerose stazioni sciistiche sulle montagne italiane, a riprova che che la crisi in cui versa certa industria dello sci non conosce confini.

(Nelle immagini in testa al post: San Bernardino in un passato inverno nevoso e nella stagione estiva. Foto tratte da www.visit-moesano.ch.)

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“Nevificare”, e altre cose per le quali «La montagna senza sci non vivrebbe»

L’intervista pubblicata lo scorso 14 marzo sul quotidiano “Alto Adige” a Paolo Cappadozzi, già vicepresidente dell’Associazione nazionale esercenti funiviari e per lunghi anni presidente del Consorzio impiantisti Val Gardena-Alpe di Siusi, appare per molti versi – mi permetto di dire, con rispetto scrivendo – piuttosto spassosa. Cioè, sia chiaro: parrebbe forse più inquietante, a ben leggerla, ma alcuni passaggi – tutti quanti proferiti da Cappadozzi, ovviamente – permettono di considerarla con una certa inesorabile mordacità (peraltro percepibile, mi pare, pure nelle parole dell’articolista del quotidiano), per come mettano bene in evidenza la forma mentis alla base di talune dichiarazioni emblematiche espresse nell’intervista.

Con tutto il rispetto del caso, ribadisco, e posta la vena ironica che intuirete bene (la quale tuttavia non si pensi che vanifichi la serietà di fondo), indico di seguito qualche evidenza interessante al riguardo:

  1. Chiedere al già vicepresidente dell’Associazione nazionale esercenti funiviari e per lunghi anni presidente del Consorzio impiantisti Val Gardena-Alpe di Siusi cosa ne pensa dell’industria dello sci è un po’ come chiedere a Rocco Siffredi che giudizio abbia dei film a luci rosse; per altri versi, vista la realtà di fatto, è pure come chiedere al comandante Francesco Schettino in che modo timonare una nave di grandi dimensioni in prossimità della costa.
  2. «La montagna senza lo sci non vivrebbe», «Non c’è turismo invernale senza neve»… oddio, sembrano più delle bieche minacce che l’espressione di mere opinioni personali, ovvero una malcelata forma di oppressione e di ricatto nei confronti delle montagne e delle comunità che le abitano (e pure piuttosto offensiva per chi non scia). Non solo per affermare tra le righe che «i finanziamenti pubblici li pretendiamo tutti noi!» ma anche «se i finanziamenti pubblici non li avremo noi, non li avrà nessuno!» Caspita, una considerazione, una solidarietà e una sensibilità proprio grandi verso le (proprie) montagne e la loro gente!
  3. «Nevificare». Be’, è da applausi, è il “petaloso” del mondo dello sci! Ah, a proposito: che fine ha fatto poi “petaloso”?
  4. «Ero a Trento in una grande quanto famosa cantina ed ho pensato che come si vinifica, in montagna si nevifica.» Ah, ecco che si spiega tutto. Prima si vinifica, poi si nevifica: un tot di fiaschi dell’una, un tot di metri cubi dell’altra. Prosit!
  5. «Si dovrebbe autorizzare l’incremento delle riserve d’acqua per la nevificazione»: cari agricoltori delle pianure del Nord Italia, attaccatevi al [CENSURA]! E trovatevi un lavoro onesto, piuttosto di rubare l’acqua a quelli che devono “nevificare” le piste da sci!
  6. «Non consumiamo acqua, la preleviamo primariamente dai bacini e dai serbatoi.» Nei quali l’acqua notoriamente si accumula per magia, già, lo sappiamo bene tutti, mica perché vi fluisce dal reticolo idrologico della zona! Chi sono quegli ignoranti che mettono in giro tali panzane?
  7. «In primavera la neve si scioglie e ritorna al ciclo dell’acqua.» Dunque da novembre a aprile si badi bene a non bere, a non annaffiare campi e coltivazioni, a non dover aver bisogno di troppa acqua, ok? Che è ferma lassù, “nevificata” sulle piste da sci – se non si scioglie prima per il caldo anomalo, ovviamente. E le piante il cui ciclo vegetativo naturale necessita di acqua anche in inverno? Solo orribili creature pretenziose, che crepino quanto prima!
  8. «La montagna altoatesina si spopolerebbe senza turismo invernale». Ohmmamma, dunque tra qualche anno vedremo dei barconi attraversare il Mediterraneo che all’andata portano migranti africani e asiatici e al ritorno saranno carichi di profughi altoatesini ex albergatori o ex maestri di sci con le pezze al sedere?
  9. «Usiamo acqua e aria, non preleviamo acqua dal ciclo dell’acqua potabile.» Eh?
  10. «Nonostante siano lustri Mercalli che vaticina la “fine” dello sci…» Dunque, rapporto “Neve Diversa 2023”: impianti dismessi 249; temporaneamente chiusi 138; sottoposti a “accanimento terapeutico” 181; un po’ aperti, un po’ chiusi, 84; tutti numeri in aumento, anno dopo anno. Ecco: se si vuol parlare di vaticini, Nostradamus al buon Luca Mercalli gli fa un baffo!

Ecco. Direi che come stanno realmente le cose, nella realtà montana e nella testa di taluni personaggi, è piuttosto chiaro. Null’altro da aggiungere. Anzi no, una cosa la aggiungo: viva la libertà di opinione!

La speranza dissolta

[Pian del Termen e Monte Pora alle 16.30 del 16 marzo 2023. Immagine tratta da montepora.panomax.com.]
Qualche giorno fa ho sentito alla radio un servizio del TG3 regionale della Lombardia che ho ritrovato anche in formato video (nel sito RAI, in podcast) nell’edizione delle 19.00 del 5 marzo. Racconta dei problemi di innevamento di una delle più note località sciistiche delle Alpi bergamasche, il Monte Pora, e nel farlo (da 18’11” in poi – il cronometro è in modalità countdown) offre uno spunto di riflessione a dir poco emblematico sulla situazione nella quale versa l’industria dello sci in molte località delle nostre Alpi:

[Per vedere il servizio cliccate sull’immagine.]
Bene, voglio ribadire un passaggio del servizio che, appunto, trovo estremamente significativo: «Un bacino di accumulo idrico da 30mila metri cubi. Quando fu inaugurato, nel 2016, il comprensorio sciistico del Monte Pora sperava di aver risolto ogni problema d’approvvigionamento idrico.» “Sperava di aver risolto i propri problemi di innevamento” ovvero di aver parato le spalle per molto tempo alla propria offerta turistica sciistica; invece sono passati solo 7 anni e siamo già punto e a capo.

Ok, si potrà dire che è solo in forza di una sfortunata coincidenza che per due anni di fila cada pochissima neve sulle nostre montagne, che è già accaduto in passato, che prima o poi neve e pioggia torneranno… va bene, ci sta tutto: ma, anche senza considerare i report storici e previsionali climatici i quali delineano una situazione al riguardo piuttosto inequivocabile, capite bene che ogni pensiero del genere, parimenti a quello citato dall’articolo, è sempre e comunque un ragionamento coniugato al passato, mentre rivolte al futuro ci sono soltanto speranze.

Un’altra recente testimonianza al riguardo: «Renzo Minella, direttore marketing del comprensorio di Falcade, dice: In questo preciso momento sta nevischiando, quindi qui si incrociano le dita. Questa notte e le prossime spareremo, ma gli esperti assicurano che dal 10 marzo potrebbero tornare le precipitazioni, anche abbondanti». (“Corriere delle Alpi”, 27 febbraio 2023).

Ecco: solo speranze, scaramanzie, verbi al condizionale… Tutte cose che a loro volta si basano sulle cronache di una realtà inesorabilmente passata, che muta di anno in anno e muterà continuamente anche in futuro e non in meglio, per come lo sanciscono tutti i report climatici. Dunque si tratta di speranze a dir poco aleatorie, di quelle che sembrano formulate soltanto per autogenerarci sollievo o per autoassolverci da pratiche che invero sappiamo essere (senza ammetterlo) come insostenibili, ovvero perché non si è capaci, non si è grado, non si vuole comprendere evidenze ben più concrete e obiettive ma, inesorabilmente, più dure, più problematiche, parecchio turbanti.

Dunque, mi chiedo: si può basare lo sviluppo di un’intera regione del paese, quella montana alpino-appenninica e delle sue comunità residenti, su progetti alla cui base vi sono mere speranze ben più che certezze? Si possono spendere ingenti somme di denaro pubblico per opere il cui ammortamento non solo economico e finanziario ma pure ecologico, paesaggistico, ambientale, sociale, culturale, è legato a una speranza?

[I due bacini idrici a servizio dell’innevamento artificiale del comprensorio sciistico di Monte Pora, il più grande dei quali pressoché vuoto. Immagine delle ore 16.30 del 16 marzo 2023, tratta da montepora.panomax.com.]
Be’, parliamoci chiaro: se voi andate in banca a chiedere un finanziamento, il funzionario vi chiede se sarete in grado di ripagarlo e voi gli rispondete che «spero di sì!» oppure che «potrei riuscire, incrocio le dita!», pensate che ve lo concedano, quel finanziamento? C’è una sola, fondamentale differenza tra questa situazione e quanto ho prima descritto: che nella prima i soldi sono della banca e amen, nella seconda sono soldi nostri. La banca potrebbe pure deciderli di rischiare, affari suoi, noi ovvero chi maneggia il denaro pubblico no. E da questo punto fermo non ci si può muovere – non ci si dovrebbe muovere, in presenza di soggetti e istituzioni serie.

Purtroppo, mi viene da pensare che siamo ormai nella condizione raccontata dalla celebre vecchia barzelletta di quel tizio che cade da un grattacielo di 50 piani e, giunto a dieci piani da terra, pensa: «be’, dai, fin qui tutto bene!». Ecco, giunti a soli dieci piani da terra dobbiamo però essere in grado di vedere e capire se in fondo alla caduta ci aspetta un morbido materasso oppure il duro terreno, con tutte le conseguenze del caso. Dobbiamo inevitabilmente capirlo, non possiamo più esimerci dal farlo perché, io temo, la caduta sta continuando e lo schianto al suolo si avvicina. E rischia di schiantarsi non solo chi sta precipitando ma l’intera montagna.

https://www.rainews.it/tgr/lombardia/notiziari/video/2023/03/TGR-Lombardia-del-05032023-ore-1930-e477a1ce-afb2-4fdf-9a96-1c6f603d281d.html

Il gran successo di “ReImagine Winter”

Sono proprio contento di leggere del successo degli eventi di “ReImagine Winter”,  la mobilitazione nazionale diffusa organizzata al fine di  re-immaginare l’inverno e il sistema turistico ad esso collegato. Per motivi personali non ho potuto parteciparvi e dunque trovo ancor più belle le immagini che mi hanno inviato dai due raduni delle mie parti, al Monte San Primo (immagini sopra) e ai Piani di Artavaggio (sotto), meravigliose località montane ex sciistiche minacciate dalla progettazione di nuovi impianti di risalita il cui stato ambientale, con neve poca o assente e prati verdi come fosse maggio inoltrato, ne fa capire senza bisogno di parole l’assurdità e il potenziale (ennesimo) spreco di denaro pubblico.

Ribadisco: tutto ciò non rappresenta alcuna crociata contro lo sci su pista, ma la manifestazione della crescente presa di coscienza riguardo il miglior futuro possibile per le nostre montagne, per il loro paesaggio, l’ambiente e per le comunità che le abitano, al fine di svincolarle da qualsiasi sfruttamento non solo obsoleto ma pure palesemente degradante e di ridare loro la dignità politica, socioeconomica, culturale che le spetta, ovvero dimensione ideale per sviluppare un turismo finalmente al passo con i tempi e consono ai territori montani, a vantaggi di tutti, residenti e turisti.

Dunque avanti così, ad maiora!

ReImagine Winter, domani

Domani, domenica 12 marzo 2023, è il giorno di ReImagine Winter, la mobilitazione nazionale ideata e coordinata dal collettivo The Outdoor Manifesto per la quale in numerose località delle Alpi e degli Appennini associazioni, comitati, gruppi spontanei e singoli attivisti si raduneranno per ribadire – insieme – che un futuro diverso per le nostre montagne, slegato da logiche socio-economiche anacronistiche e ambientalmente ormai insostenibili, non solo è possibile ma è diventato assolutamente necessario.

Cliccando qui o sull’immagine in testa al post trovate le informazioni sui vari luoghi e le azioni ad oggi organizzate; l’elenco è in aggiornamento continuo. Per saperne di più su ReImagine Winter, cliccate qui.