La bellezza delle montagne come preziosa speranza, in questo mondo difficile

[La Val Morteratsch, Engadina, Svizzera. Foto di Matthias Speicher su Unsplash.]
Viviamo in un mondo difficile, sconvolto da guerre atroci e da troppe tragedie, in balìa di un cambiamento climatico che chissà a quali conseguenze ci sottoporrà, scosso e confuso da innumerevoli criticità e altrettante variabili che deprimono la nostra fiducia nel futuro. Non ci restano molte certezze sulle quali fare affidamento, ma una che abbiamo sicuramente a disposizione è il mondo stesso cioè la Natura, la bellezza dei tanti luoghi e dei paesaggi che ce la sanno donare a profusione: le montagne, ad esempio.

Ecco, anche per questo motivo, forse soprattutto per esso, dovremmo avere sempre la massima cura di questa preziosa bellezza. Per ciò dovremmo continuamente manifestare verso di essa attenzione, sensibilità, competenza ed evitare di degradarla e rovinarla con azioni, opere, progetti e immaginari decontestuali e impattanti, quando non palesemente scriteriati, come molti di quelli che alle montagne si vorrebbero imporre. L’elenco è lungo, lo sapete bene: un elenco che sarebbe da ridurre e cancellare depennando una alla volta ogni sua singola voce, quando si riferisca a opere che quella bellezza la trasformano in bruttezza sia dal punto di vista materiale – a danno del territorio e del paesaggio, appunto – sia da quello immateriale, nella visione perversa e pericolosa attraverso la quale guardano alle montagne imponendo quelle opere.

[Sbancamenti nel comprensorio sciistico di Ovindoli-Monte Magnola, Abruzzo, Italia. Al riguardo ne ho scritto qui. Immagine tratta dalla pagina Facebook di Stefano Ardito.]
Non possiamo sprecare così stupidamente questo patrimonio di bellezza che le montagne ci donano: è veramente quella che – con poche altro, ribadisco – può salvare il mondo. Ma affinché lo possa fare sta a noi salva(guarda)rla, prima: godendone con attenzione, rispetto, cura, consapevolezza. È un dovere che abbiamo perché al contempo è un diritto: avere cura delle montagne per godere della loro bellezza. E per molti aspetti è pure una garanzia per il nostro futuro. Che non possiamo sciupare dato che, appunto, non ne abbiamo molte altre.

Praticare attività outdoor, rigenerare luoghi, fare comunità. A Milano, domenica, ore 12.00

Cosa significa praticare outdoor oggi? Come rigenerarsi attraverso pratiche che ci mettono a contatto diretto con la natura e i luoghi? In che modo si può fare comunità a beneficio dei territori?

Sono alcune delle domande che porremo a tutti i presenti e che affronteremo in “Rigenerarsi: outdoor e comunità” il talk di apertura del secondo appuntamento di Spore, domenica 12 maggio alle ore 12.00 presso e/n enoteca naturale di Milano.

Una chiacchierata libera e aperta a tutt* con Nina Schultz e Sofia Blu Cremaschi di Slipmode, Davide Branca di The Outdoor Manifesto e Agnese Moroni di Protect Our Winters Italy. Modera Luca Rota, che sarei io.

Sarà una gran bella cosa, ve l’assicuro. Per altre infos al riguardo, date un occhio qui.

Tra i migliori trenta architetti italiani

Sono molto felice di leggere che il sito web internazionale Architizer, con sede a New York e mission dichiarata di «celebrare la migliore architettura del mondo e le persone che le danno vita» ha incluso l’amico Enrico Scaramellini e il suo studio Es-Arch tra i migliori trenta studi di architettura italiani, in base a una classifica la quale considera alcune delle statistiche chiave che dimostrano il livello di eccellenza architettonica di ciascun studio.

È un riconoscimento meritatissimo per Scaramellini e non lo dico tanto io, che non conto granché, quanto la stima e l’apprezzamento che gode dentro e fuori il mondo dell’architettura nazionale e, appunto, internazionale. Ciò grazie a progetti e opere principalmente realizzate in territori montani (ne vedete alcuni lì sopra) dallo stile riconoscibile, emblematico, abili nel coniugare tradizione e innovazione in modi mai banali e sempre capaci di raccontare narrazioni dei luoghi e delle relazioni che danno loro vita, per le quali l’opera progettata rappresenta un ulteriore elemento di forza, di vivacità, di dinamismo spaziale e temporale.

La classifica è stata pubblicata ormai da qualche settimana ma ne parlo ora perché è imminente l’inaugurazione di uno degli ultimi progetti Es-Arch: la nuova palestra di arrampicata di Campodolcino (Valle Spluga, provincia di Sondrio; la vedete nelle immagini qui sotto). Un’opera estremamente suggestiva le cui forme, i volumi, le superfici dialogano con la morfologia delle montagne circostanti richiamando nelle proprie linee architettoniche e nei colori le relative peculiarità del paesaggio alpestre locale, al contempo risultando estremamente agile, quasi leggera nonostante l’apparente monoliticità, al punto da sembrare più contenuta di quanto in realtà sia.

Di nuovo complimenti vivissimi a Scaramellini, il cui personale cammino esplorativo sui sentieri e nei territori dell’architettura più bella e armoniosa prosegue disseminando cairn architettonici di mirabile fascino e grande valore culturale, sia per i luoghi e i paesaggi nei quali vengono inseriti che per chiunque se li ritrovi di fronte e li possa ammirare.

Un premio meritatissimo e prezioso

Un’altra bellissima notizia per il Lago Bianco a sostegno della battaglia per la sua difesa: il servizio di Cecilia Bacci realizzato assieme ai ragazzi del Comitato “Salviamo il Lago Bianco per portare alla luce lo scempio causato dal folle progetto di captazione delle acque per alimentare i cannoni sparaneve di Santa Caterina Valfurva, andato in onda nel programma di Rai3 “Indovina chi viene a cenaha vinto il Premio giornalistico “David Sassoli in memoria dell’ex giornalista ed ex presidente del Parlamento Europeo.

Il premio è riservato a giornalisti under 40 ed il tema della prima edizione era “L’Europa e i territori”: per la sezione radio-tv e come premio assoluto la giuria ha dunque scelto il servizio di Cecilia Bacci sul Lago Bianco. È un prezioso riconoscimento dell’esemplare lavoro giornalistico e informativo svolto dall’autrice sulla sconcertante vicenda del Gavia e al contempo l’ennesimo, importante riconoscimento delle attività a difesa del Lago Bianco nonché dell’intero territorio circostante del Parco Nazionale dello Stelvio dalle scriteriate azioni che hanno dovuto subire, purtroppo con il consenso dello stesso Ente Parco.

Ora, come indica il Comitato “Salviamo il Lago Bianco”, avanti così fino all’individuazione dei responsabili e al ripristino totale degli habitat iniquamente danneggiati! Prima però una domanda: secondo voi, il servizio di Cecilia è stato apprezzato per la sua altissima qualità giornalistica o anche perché le “gare” di incompetenza e di ipocrisia dei soggetti promotori del progetto, ben testimoniate nelle immagini del servizio, li hanno visti tutti quanti vincitori ex aequo e per questo meritevoli di essere “premiati”?

[Veduta della zona del Passo di Gavia con il Lago Bianco e, in secondo piano, il Lago Nero.]
Per approfondire la vicenda del Lago Bianco, oltre a seguire le pagine social del Comitato (qui e qui), potete leggere i vari articoli che vi ho dedicato nei mesi scorsi, qui.

Sull’usanza di salutarsi, lungo i sentieri di montagna

[Foto di Tom da Pixabay.]
Sapete quale è una delle cose che mi ha sempre affascinato e mi piace, dell’andare per montagne? L’usanza del saluto quando ci si incrocia lungo un sentiero. Viene spontanea, naturale: salutandosi ci si rimarca a vicenda di quale privilegio si sta godendo, nel poter essere in montagna.

E sapete qual è la cosa che mi fa capire che oggi, spesso, in montagna ci arriva gente che sarebbe meglio andasse altrove? La perdita o l’ignoranza da parte di questa gente dell’usanza di salutarsi.

Io lo faccio sempre e comunque con chiunque: a volte, e molto più di frequente che un tempo, ricevo delle occhiate a metà tra l’inquieto e lo schifato, come a volermi dire «Che ca**o mi saluti che non ci conosciamo?», altre volte un’indifferenza silente, assoluta, oppure colgo chiaramente di essere osservato come fossi un po’ fuori di testa e la risposta che ricevo è palesemente forzata. Ribadisco: non è tanto l’assenza di un saluto di ritorno, uno può avere la luna storta o non gradire l’interazione sociale, ci sta. Sono proprio gli sguardi, le occhiate e le espressioni di chi non saluta a sconcertarmi.

Circostanze frequenti (non usuali, sia chiaro, ma in crescita) le quali mi fanno supporre che persone così non sappiano nulla delle montagne e della cultura popolare che accomuna chi le frequenta con autentica passione, e nemmeno ne vogliano sapere. Cosa che, per inevitabile e pur desolante conseguenza, mi fa ritenere che queste persone o s’impegnano a frequentare un ambito speciale e prezioso quale è la montagna con la sensibilità e il rispetto verso chiunque e qualsiasi cosa vi si trovi, o sarebbe meglio se ne andassero altrove, appunto.