L’unione fa la forza – del Monte San Primo!

È bello e confortante vedere le immagini della sala consiliare di Civenna di Bellagio piena di gente, venerdì scorso 27 maggio in occasione dell’incontro-dibattito pubblico riguardante il progetto di “sviluppo turistico” del Monte San Primo – una vicenda che, come ormai saprete bene, sto seguendo fin dalla sua genesi e che nel tempo è assurta al rango di caso emblematico di certi progetti istituzionali a scopo turistico da un lato totalmente avulsi dalla realtà attuale e futura delle montagne e, dall’altro, forzatamente imposti al territorio senza alcun confronto con la comunità locale in merito a vantaggi e svantaggi ovvero a possibili alternative – nel caso del San Primo quanto mai necessarie, visto l’impatto ambientale delle opere previste e la loro palese illogicità rispetto al contesto montano e alle condizioni climatiche attuali.

Come riportato dalle cronache dell’incontro, che citano anche il Coordinamento “Salviamo il Monte San Primo”, una volta passati al dibattito con i cittadini presenti dopo i contributi dei relatori si è potuto nuovamente constatare come «la quasi totalità degli intervenuti ha espresso forti critiche nei confronti del progetto, ritenendolo totalmente anacronistico rispetto alla crisi climatica che stiamo vivendo, chiedendo nel contempo maggior rispetto per la naturalità della montagna. È emersa ancora una volta la pubblica indignazione per la mancata apertura, da parte delle Istituzioni, di un tavolo di confronto con le associazioni e la cittadinanza.»

Per l’appunto: le istituzioni pubbliche che sostengono l’insensato progetto in forza di motivazioni del tutto approssimative e vuote di sostanza risultano sempre più solitarie nell’arrocco sulle proprie posizioni. Veramente si fa sempre più fatica a trovare una risposta a questo comportamento così antidemocratico, e per molti aspetti è proprio questo l’elemento più critico e avverso al progetto turistico, la circostanza che rende palese da subito il suo impatto deleterio il quale evidentemente i proponenti cercando di tenere nascosto il più possibile. Come spiegarsi altrimenti un comportamento del genere?

Invece un grande plauso va nuovamente al Coordinamento delle associazioni unite in supporto alla causa di difesa del Monte San Primo: un caso a sua volta emblematico, ma qui in senso totalmente positivo, di «unione (che) fa la forza» a difesa delle nostre montagne, delle loro comunità e dell’inestimabile e insostituibile patrimonio condiviso di bellezza e cultura che rappresentano per chiunque. Con l’augurio di un successo rapido e completo!

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Domani sera a Civenna, per il Monte San Primo

L’attività di sensibilizzazione pubblica riguardo il – famigerato – “Progetto di sviluppo turistico” che si vorrebbe imporre al Monte San Primo, portata avanti in primis dal Coordinamento “Salviamo il Monte San Primo”, continua con impegno incessante e d’altro canto assolutamente necessario, visto purtroppo il permanente rifiuto di un confronto da parte delle istituzioni coinvolte che ormai è sempre più la prova provata della loro malafede e dell’atteggiamento irrispettoso verso il San Primo e chi lo vuole vivere e godere in modo equilibrato.

Dunque, posto che io purtroppo non potrò esserci – se potete partecipate all’incontro di Civenna. Perché se le ragioni di chi difende il monte prevarranno, sarà innanzi tutto il San Primo ad aver vinto; se invece si imporrà l’irragionevolezza di chi sostiene quel progetto assurdo, saremo tutti quanti ad aver perso.

P.S.: i numerosi articoli che ho scritto sulla vicenda del Monte San Primo li potete trovare qui.

Per sostenere concretamente la difesa del Vallone delle Cime Bianche

Da qualche giorno è stata finalmente attivata la possibilità per chiunque di sostenere concretamente la campagna per la salvaguardia del Vallone delle Cime Bianche, in Valle d’Aosta, conosciuto ormai da tutti come «l’ultimo vallone selvaggio». Ciò che effettivamente è in senso iconico, il Vallone, come territorio alpino emblematico la cui tutela da qualsiasi forma di infrastrutturazione turistica – che in ogni modo risulterebbe devastante – è un paradigma di grande significato e forza per ogni altro territorio montano messo sotto minaccia da interventi così impattanti. Peraltro da tempo seguo la vicenda del Vallone: i miei articoli al riguardo li trovate qui.

«Sostenere concretamente la campagna» significa – oltre a partecipare attivamente alle varie iniziative che vengono organizzate in zona e altrove per sensibilizzare chiunque alla questione e alla sua importanza – che il neonato Comitato “Insieme per Cime Bianche”, presieduto da Beatrice Feder, promuove una raccolta fondi con il fine di proteggere il Vallone delle Cime Bianche il quale, ricordo, geograficamente rappresenta un solco laterale destro della Val d’Ayas che dalla zona di St-Jacques, a circa 1700 m di quota, sale fino al Colle Nord delle Cime Bianche, a 2981 m, rappresentando una delle zone di alta montagna più spettacolari e intatte di questa sezione delle Alpi.

Il fundraising appena lanciato e disponibile sulla piattaforma “Produzioni dal basso” è – come si legge sulla pagina dedicata – finalizzato all’attività di difesa del Vallone di Cime Bianche, messo a rischio da un aggressivo progetto di collegamento funiviario che ne minerebbe irrimediabilmente il grande valore naturalistico. Si ricorda infatti che il Vallone, per il suo riconosciuto pregio, fa parte della Zona di Protezione Speciale “Ambienti Glaciali del Gruppo del Monte Rosa” (IT1204220), integrata nella rete europea NATURA 2000 ed è protetto da plurimi livelli di normativa.

L’obiettivo è quindi, in questa fase cruciale per le sorti del Vallone delle Cime Bianche, quello di raccogliere risorse per organizzare la sua difesa, anche legale.

Il denaro ricevuto, di cui il Comitato renderà costantemente conto con aggiornamenti pubblici, per garantire il massimo della trasparenza, sarà impiegato per le seguenti attività:

  1. Diffusione di informazioni in merito al valore, ambientale e simbolico, del Vallone e dei rischi che corre.
  2. Consulenza legale e tecnica per pre-contenzioso;
  3. Ricorsi amministrativi e giudiziari. In particolare, parte delle risorse saranno destinate all’associazione o alle associazioni individuate (anche secondo il criterio dell’opportunità giuridica rispetto alla legittimazione ad agire) per promuovere il ricorso contro i provvedimenti che prevedono la realizzazione dell’impianto.

Nel caso in cui l’Amministrazione regionale rinunci alla realizzazione dell’impianto o comunque non assuma, entro il 2028, gli atti propedeutici alla sua realizzazione, le somme raccolte residue saranno destinate all’attività di informazione e sensibilizzazione.

Un ampio gruppo di sostenitori e sostenitrici, afferenti alla società civile, alla politica e all’associazionismo ha già deciso di appoggiare il progetto. Ovviamente, a questo primo gruppo di sostenitori, nel tempo potranno aggiungersene altri.

Il Comitato invita tutti coloro che hanno a cuore la conservazione del Vallone delle Cime Bianche, ma più in generale il destino delle nostre montagne e dell’ambiente, nonché tutti coloro che, come cittadini italiani ed europei, richiedono il rispetto delle norme condivise, a dare il proprio contributo, e a diventare ancora una volta parte attiva ed integrante di questa grande campagna di tutela di una delle ultime zone incontaminate delle nostre Alpi.

Infine, come il comitato auspica,

Il Vallone ha bisogno di tutti noi e tutti noi, in cordata, possiamo fare la differenza. LUNGA VITA AL VALLONE! INSIEME PER CIME BIANCHE!

Tra Romagna e Grigioni la questione “uomo e natura” resta drammaticamente aperta

[Immagine tratta da qui.]
Lasciano ogni volta sgomenti la visione delle immagini e la lettura delle cronache dei disastri meteoclimatici  – sempre con vittime, purtroppo – come quello in corso tra Romagna e Marche, una sensazione che risulta ancora più pesante quando si fa memoria della frequenza con la quale in Italia, da Nord a Sud isole comprese, accadono certi eventi e non per un caso, anche al netto dell’estremizzazione dei fenomeni meteorologici dovuta al cambiamento climatico.

In questi giorno sto seguendo l’evolversi di un altro disastro naturale potenziale ma al momento ancora “latente”: quello che coinvolge il villaggio svizzero di Brienz/Brinzauls, nel Canton Grigioni, messo sotto minaccia da una grande frana che nelle ultime settimane ha preso a muoversi sensibilmente verso valle e per questo completamente evacuato e “devitalizzato” – cliccate sull’immagine lì sotto per saperne di più al riguardo.

[Immagine tratta da qui.]
Ne volevo scrivere di Brienz/Brinzauls, visto che la sua inopinata vicenda mi è nota da tempo (dacché non è solo la frana a muoversi ma l’intero paese, si veda qui). Poi è accaduto ciò che sta succedendo tra Romagna e Marche e, nonostante l’evidente differenza sostanziale tra i due eventi, mi viene da ricavarne alcune riflessioni valide in entrambi i casi, tanto ovvie se non banali quanto, mi pare, sempre troppo poco considerate.

La prima: siamo una civiltà super avanzata, ipertecnologica, apparentemente dominante su tutto e tutti sul pianeta ma quando la Natura s’incazza – passatemi il francesismo – non c’è nulla da fare, torniamo ad esserne totalmente in balìa come qualsiasi altra creatura ben più rozza e primitiva. Ovvero come ciò che in effetti rimaniamo nonostante la nostra strabiliante tecnologia, la quale ancora, pur con i suoi successi di cui godiamo quotidianamente, non ci ha fatto fare che pochi passi all’esterno delle caverne dalla quale siamo usciti solo qualche migliaio d’anni fa. Forse è anche per questo che i successi tecnologici della nostra civiltà spesso li sfruttiamo grossolanamente e malamente, cioè non a nostro favore ma a svantaggio e danno.

La seconda: posta la prima, trovo che sia fondamentale analizzare le cause in forza delle quali accadono sempre più spesso eventi meteoclimatici così estremi, ma mi pare necessario compiere anche un passo di lato e assumere finalmente la piena consapevolezza che nei confronti di questa generale situazione di fatto dobbiamo formulare la più compiuta ed efficace resilienza. Che, dal mio punto di vista, significa riequilibrare la nostra relazione con il territorio col quale interagiamo avendo cura di riconoscere le sue caratteristiche materiali e immateriali sempre inclusi i fattori di rischio in esso presenti e, appunto, al momento per noi ineludibili. Insomma, viviamo una realtà nella quale certi eventi stanno diventando sempre più diffusi e frequenti: non prenderne atto, gestendo le circostanze del momento come mere “emergenze” (termine veramente troppo inflazionato, ormai!) per ricominciare daccapo come se nulla sia successo è quanto di più stolto, o meno evoluto possibile, l’uomo possa fare. Fermarsi alla discussione sulle sole cause di ciò che sta accadendo o di chi/cosa ne sia la colpa senza elaborare soluzioni che non le facciamo manifestare di nuovo, come purtroppo accade puntualmente, è un po’ come stare su una nave che sta affondando dibattendo sul perché vada a fondo e di chi sia la colpa senza risolvere materialmente il problema che la sta facendo colare a picco.

La frana di Brienz/Brinzauls e le alluvioni in Romagna e nelle Marche sono due eventi differenti ma che denotano entrambi l’inabilità dell’uomo di contrastarne gli effetti a prescindere dalle cause, ovvero la sottomissione ancora pressoché totale della civiltà umana alla Natura e ai suoi fenomeni. E se non siamo in grado di contrastarli, non dobbiamo né sfidarli attraverso una gestione scriteriata dei territori antropizzata e nemmeno tralasciare la consapevolezza e la cognizione dei rischi presenti in molti dei territori (le eccezioni sono rare) da noi abitati, solo poche volte veramente imprevedibili ma anche in questo caso comunque mitigabili – è il caso dei terremoti, che non sappiamo ancora prevedere ma i cui rischi possiamo mitigare con adeguate opere antisismiche – e al contempo ovviamente cercando di mitigare gli effetti del cambiamento climatico come da decenni ci viene detto di fare (altra umana trascuratezza diffusa, già).

Oppure, possiamo cercare di azzerare del tutto o quasi il rischio parimenti azzerando quanto abbiamo edificato nei nostri territori negli ultimi due secoli e ricominciando daccapo con maggior buon senso generale. Ma non credo sia un’opzione realizzabile: richiederebbe al Sapiens una forza mentale e d’animo che oggi non pare possedere. Le avrà lasciate nelle caverne quando se n’è uscito qualche decina di secoli fa, forse.

Se il Lago Azzurro resta ancora un “fantasma”

Ogni volta che torno in zona Madesimo, nell’alta Valle Spluga (e lo faccio di frequente per come sia alquanto legato a questo territorio, nel quale ci ho passato le mie estati dagli zero anni fino a oltre la maggiore età), vado a visitare il Lago Azzurro di Motta, un luogo profondamente identitario per la valle e, posto quanto ho appena affermato, per lo scrivente. La facevo prima, per ammirarne la delicata bellezza, lo faccio ancor più ora, nella speranza che la sua bellezza sia rinata ovvero che sia tornata l’acqua nel suo bacino. Dunque l’ho fatto la scorsa domenica, 7 maggio:

Purtroppo, come vedete, la speranza è nuovamente risultata vana. Il lago è vuoto.

Fino a qualche tempo fa il periodo primaverile era quello nel quale, dopo il naturale svuotamento invernale, il lago tornava a riempirsi d’acqua in forza dello scioglimento della neve, degli apporti idrici sotterranei e delle precipitazioni stagionali. Quest’anno, come lo scorso, di neve ne è venuta talmente poca che il suo scioglimento riesce a malapena a inzuppare il fondo del bacino (che di questo passo a breve diventerà un bel prato verde) e nemmeno la pioggia, da mesi altrettanto scarsa, può sopperire alla mancanza d’acqua.

Non resta che mantenere “artificialmente” in vita la speranza di veder rinascere il Lago Azzurro, ovvero augurandosi con un ottimismo da Guinness dei Primati che la normalità idrologica storica della zona possa ripristinarsi presto. Purtroppo, non si sa bene in che modo potrà avvenire se non con copiose nevicate invernali e abbondanti piogge primaverili. È questo che inquieta maggiormente, questa incertezza in ciò che per lungo tempo è stato normale e oggi viene da temere che non lo sia più. Ma, spero, appunto, che la storia del meraviglioso Lago Azzurro non debba finire così.

P.S.: qui trovate il resoconto di altre mie precedenti visite al Lago Azzurro. Qui sotto invece vedete com’era fino a qualche anno fa; l’immagine è tratta da paesidivaltellina.it: