Insomma, lo dicevo io che la sentivo arrivare, la primavera, già quasi un mese fa! Ecco.
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Sentori di primavera
Non so se a qualcuno di voi capiti una cosa del genere, a me sì, da sempre.
D’altro canto (e forse non casualmente) gli antichi Celti, in possesso di conoscenze ancestrali legate a doppio filo con il mondo naturale, proprio in prossimità di questi giorni celebravano Imbolc, la festa di fine inverno che nella tradizione irlandese segna parimenti l’inizio della primavera e che dalle nostre parti la dottrina cattolica ha trasformato nella Candelora senza tuttavia riuscire a cancellare l’antica genesi pagana, rimasta assai viva nelle regioni alpine: si vedano ad esempio due eventi tradizionali del periodo (cito i primi due che mi vengono in mente), la Scasada del Zenerù nella bergamasca Val Seriana oppure la festa della Giubiana in molte zone del Piemonte e della Lombardia, con i loro suggestivi roghi scaccia-inverno.
Insomma, forse per quelle mie pretese percezioni primaverili mi posso illudere di trovare qualche giustificazione storico-culturale, oltre che climatica.
Il bello e il brutto (tempo)
Il bello di quando c’è il Sole, e magari fa molto caldo, è sapere che prima o poi tornerà la pioggia e la sua frescura la si godrà ancora di più.
Il bello del tempo meteorologico, a prescindere, è che a volte c’è il Sole, a volte piove e, in verità, non è mai “brutto” se non per chi non sa far altro che lamentarsene. Ma lamentarsi e lasciarsi condizionare, della meteo e delle sue vitali mutevolezze, è un po’ come lagnarsi del fatto che, dovendo respirare, a volte si annusano esalazioni poco gradevoli.
Va bene, allora non respirate. Ovvero, non uscite di casa. Ecco.
La stagione preferita. O forse no.
Posto ciò, tuttavia, devo dire che l’autunno mi genera sempre un’attrazione particolarmente fascinosa. Le giornate che s’accorciano, la luce che cala inesorabilmente, le ombre che s’allungano, il clima via via più fresco, l’odore dei primi camini accesi e quei fantasmagorici colori e profumi che diffondono i boschi, con la sensazione vivida che, dopo l’irrefrenabile energia estiva, tutto torni ad una dimensione più tranquilla, pacata, più riflessiva, preparandosi così al silenzio e alla stasi invernali. Ecco: l’autunno, se devo riassumere queste percezioni personali in poche parole, mi genera un senso di garbata intimità, verso tutto lo spaziotempo che lo contraddistingue e gli elementi del suo paesaggio il quale, dal mondo esteriore, diviene in modo assai vivido e forse più che in altri momenti dell’anno anche il mio paesaggio interiore. Una consonanza tra “paesaggi” che è per me fondamentale, al fine di recepire al meglio le sensazioni della stagione, dei suoi istanti, di quanto possono offrire di materiale o immateriale e adeguarmi ad essi con la più consona profondità di mente, d’animo e di spirito.
Forse, già: perché magari poi percepirò le stesse sensazioni anche nelle altre stagioni dell’anno e nuovamente, anzi puntualmente, mi rimarcherò simili considerazioni per quei momenti e per le loro differenti peculiarità. In fondo, ribadisco, è proprio questo il bello del rincorrersi delle stagioni e dei loro paesaggi, e del perdere futilmente qualche attimo a rispondersi a “domande” al riguardo che, in fin dei conti, sono per esse stesse anche la miglior risposta possibile.
Di mattine estive da restarci contenti
Anche perché poi passa, tutto questo refrigerio, siamo quasi a fine luglio e l’afa estenuante tornerà ancora per un po’, inesorabilmente. Quindi, oggi, è un po’ come gustarsi almeno per una volta una fresca e favolosa mousse ai frutti di bosco in mezzo a tante ordinarie e bollenti minestrine, quasi. Già.