Ritrovare la città in montagna (?)

Un viaggiatore che parta per la montagna lo fa perché cerca la montagna, e credo che rimarrebbe assai contrariato se vi ritrovasse la città che ha appena lasciato.

Sapete chi ha scritto queste parole? Non un ambientalista contemporaneo, come si potrebbe pensare leggendo il tono di esse e immaginando ciò a cui si riferiscono.
No, le scrisse Amé Gorret, leggendario prete (assai rivoluzionario) e alpinista valdostano, a fine Ottocento; sono citate nell’ultimo libro di Enrico Camanni, La Montagna Sacra (del quale a breve vi scriverò). Gorret aveva già capito tutto, quasi un secolo e mezzo fa, riguardo quale fine avrebbero fatto molti luoghi montani: diventare delle periferie cittadine in quota e nemmeno delle più belle, urbanisticamente e architettonicamente – al netto del paesaggio circostante, ovvio.

Chissà se aveva pure previsto che oggi, nelle località montane spesso così pesantemente urbanizzate, molti a essere contrariati non sono quelli che in montagna vi ritrovano la città ma proprio quelli che non la ritrovano come vorrebbero, ostaggi di modelli turistici massificati che puntano proprio a questo obiettivo: far sentire il «viaggiatore» a casa offrendogli gli stessi confort cittadini a 2000 metri di quota.

Sono passati quasi 150 anni da quell’affermazione di Gorret, appunto, e viene da pensare che, per certi aspetti, le montagne non si sono affatto “sviluppate”. Anzi.

La fraternità (mancata) con le altre bestie

[Immagine tratta da www.inarzignano.it.]

È passato ormai un secolo da quando Darwin ci dette un primo assaggio dell’origine delle specie. Oggi sappiamo ciò che era sconosciuto a tutte le carovane delle precedenti generazioni: che nell’odissea dell’evoluzione gli uomini non sono che i compagni di viaggio delle altre creature. Questa nuova conoscenza dovrebbe averci dato, in questo lasso di tempo, un sentimento di fraternità con le altre bestie: un desiderio di vivere e di lasciar vivere, un senso di meraviglia per la vastità e la durata dell’impresa biotica.
Soprattutto avremmo dovuto sapere – un secolo dopo Darwin – che l’uomo, sebbene ora sia il capitano di questa nave avventurosa, non è certo l’unico oggetto della sua ricerca, e che le sue precedenti convinzioni in merito erano semplicemente dettate dall’umano bisogno di trovare una luce nel buio.
Avremmo dovuto pensare a tutto questo. Purtroppo, temo che pochi di noi lo abbiano fatto.

(Aldo LeopoldPensare come una montagna. A Sand County Almanac, traduzione di Andrea Roveda, Piano B Edizioni, 2019, pag.121; ed.orig.1949.)

Altro denaro pubblico buttato per lo sci, a Piazzatorre (e su “Il Fatto Quotidiano”)

Qualche giorno fa Alberto Marzocchi ha pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” un bell’articolo dedicato a Piazzatorre e al progetto di rinnovo e ripristino del locale comprensorio sciistico, un altro di quei casi di finanziamento pubblico di infrastrutture per lo sci che appare a tutti gli effetti scriteriato perché dedicato a un territorio che non presenta più le condizioni climatico-ambientali adatte allo sci alpino.

Me n’ero occupato anch’io (qui) di questo ennesimo caso di potenziale sperpero di denaro pubblico a favore dello sci in una zona che d’altro canto abbisognerebbe di molti altri servizi primari a favore della comunità locale (e peraltro di recente ho scritto di Piazzatorre anche riguardo la devastante presenza di seconde case, ben duemilacinquecento a fronte di duecento abitazioni per i 380 abitanti “veri”); Marzocchi traccia succintamente ma con grande chiarezza espositiva la storia della località sciistica, che rende ancora più scriteriato l’investimento pubblico lombardo, e lo fa con cognizione di causa tripla: perché da giornalista si occupa principalmente di tematiche ambientali (e qui non c’è solo un problema di spreco di risorse pubbliche ma pure di salvaguardia di un territorio montano da una infrastrutturazione decontestuale e potenzialmente inutile), perché è maestro di sci, dunque coinvolto anche professionalmente in questo tema, e perché è originario proprio di Piazzatorre, quindi sa perfettamente di cosa parla.

Vi invito a leggere il suo articolo cliccando sull’immagine lì sopra, è veramente interessante e alquanto significativo. Riflessione finale: quante Piazzatorre ci sono sulle montagne italiane? Ovvero: quanti soldi pubblici vengono buttati sulle Alpi e sugli Appennini in progetti sciistici totalmente privi di senso e di futuro?