Tina Turner

Tina Turner, qui in un’esibizione alla RAI del 1971 – anno nel quale sono nato, per giunta – è stata (è) un’icona vera, nel senso più compiuto del termine. Ovvero qualcuno che «c’era» sempre e comunque nell’immaginario collettivo, una presenza che andava oltre il mondo della musica e anche oltre alle sue canzoni: io che non le ascoltavo granché, piacendomi altra musica, ogni volta che me la trovavo davanti in TV o su qualche periodico ne restavo ammirato, quasi obbligato – metaforicamente – a inchinarmici davanti come di fronte a una figura «super» (nell’etimo originaria del termine) alla quale non si poteva e non si può non manifestare venerazione.

Eppoi la vita che ha vissuto, lei donna nera divenuta “Queen of rock” (musica bianca per eccellenza, nella modernità), l’amore tossico con Ike, la lotta per i diritti degli afroamericani, la forza irrefrenabile sul palco, la voce, la presenza, l’eleganza e al contempo il sex appeal… nonché – cosa che a me la rende ancora più vicina – il buen retiro degli ultimi anni sul Lago di Zurigo e la cittadinanza svizzera. Ma, pure al di là di questo, una come lei avrebbe potuto fare qualsiasi cosa – la presidentessa degli USA, la segretaria dell’ONU, la papessa… – e l’ammirazione collettiva sarebbe rimasta invariabilmente assoluta, ne sono certo. Ce n’è così da inchinarsi riverenti qui, altro che!

Fatto sta che da oggi il nostro mondo ha un po’ di energia in meno. Energia nera e tuttavia luccicante come poche altre. Ineguagliabile.

P.S.: per la cronaca, il brano del video, Proud Mary (famosissimo: lo avrete certamente sentito più volte, in giro), è stato uno dei maggiori successi di Ike & Tina Turner ma in origine è dei Credence Clearwater Revival, pubblicato nel 1968 e pure per loro un gran successo.

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La corsa di massa verso la Natura

[Immagine tratta da questo articolo de “Il Dolomiti”.]

Che nessuno salti alla conclusione che il cittadino comune debba prendere un dottorato in ecologia prima di poter “vedere” il suo paese. Al contrario, lo specialista può diventare del tutto insensibile – proprio come un impresario di pompe funebri è insensibile ai misteri del suo ufficio. Come tutti i veri tesori della mente, la percezione può essere frazionata all’infinito senza perdere nessuna delle sue qualità. Le erbacce cresciute in città possono offrire la stessa lezione delle sequoie; il contadino può vedere nel suo pascolo di vacche ciò che forse non è concesso allo scienziato che si avventura fin nei mari del sud. La facoltà di percepire, in breve, non può essere acquisita con i titoli di studio o il denaro; cresce in patria come all’estero, e chi ne ha solo un po’ può usarla con lo stesso profitto di chi ne ha molta. E dal punto di vista della percezione, l’attuale corsa di massa verso la natura è futile, oltreché dannosa.

(Aldo LeopoldPensare come una montagna. A Sand County Almanac, traduzione di Andrea Roveda, Piano B Edizioni, 2019, pagg.182-183.)

Al di là del potente valore culturale atemporale di queste parole di Aldo Leopold, quell’ultima osservazione sulla corsa di massa alla Natura – così spesso “auspicata” e sostenuta dal marketing turistico nonostante lo sparlare di “sostenibilità”, “eco”, “green”, eccetera: il lago di Braies nelle immagini lì sopra è un luogo tra i più emblematici al riguardo, come già scrissi qui – potrebbe far credere a qualcuno che questo brano sia stato scritto ai giorni nostri, magari proprio negli ultimi anni per come sembra coglierne ispirazione. Invece A Sand County Almanac venne pubblicato nel 1949 raccogliendo testi scritti da Leopold antecedentemente, il che rende sorprendente e parecchio emblematica l’attinenza delle sue osservazioni con la realtà corrente. O, forse, con una realtà che tutt’oggi pesca da un immaginario diffuso nei confronti dell’ambiente naturale già distorto da tempo e che, nel corso degli anni, ha sempre più perso la relazione con la Natura trascurando ampiamente le facoltà percettive del “cittadino comune”. Quelle facoltà che consentono di osservare e non solo di vedere il mondo, di elaborarne il paesaggio, di comprenderne o quanto meno di meditare la realtà sistemica, di intessere quella relazione fondamentale tra uomini e paesaggi che genera identità reciproca, valore culturale, cognizione intellettuale e fa da base all’altrettanto reciproca e armonica salvaguardia: dell’uomo nei confronti della Natura (che invece la “corsa di massa” di matrice più o meno turistica mette a rischio) e viceversa. Una facoltà, la percezione, che come sostiene Leopold non può essere acquisita perché tutti quanti ce l’abbiamo già – ce l’avremmo già, se solo ricordassimo dove l’abbiamo smarrita, negli angoli più reconditi e bui della nostra mente e dell’animo. E, infatti, tale dimenticanza la si vede poi tutta, in molti luoghi – naturali e non solo – del mondo abitato e modificato dagli umani.

P.S.: tornerò a breve a disquisire di overtourism montano, una questione che va affrontata al meglio e quanto prima per evitare che degeneri causando danni irreparabili alle nostre montagne (e non solo a quelle).