Cancellare cose, in montagna

«Il turismo di massa invade le vallate di montagna; gli impianti sciistici sono sempre più attrezzati per ogni comfort; nuove e imponenti strutture piano piano sovrastano la natura selvaggia di boschi e prati».
Alessandro Di Lenardo e Chiara Boccardi, studenti del Corso di Fotografia di IED Torino, intraprendono un lavoro di sensibilizzazione legato al fenomeno di iper-urbanizzazione della montagna, indagando il sentimento di un luogo che sta perdendo la sua autenticità, violentato da un desiderio di conquista che gli manca continuamente di rispetto. Per enfatizzare il tema, gli autori attuano un intervento digitale che cancella ma allo stesso tempo evidenzia le strutture che risultano di troppo nel paesaggio, quali pali, cannoni sparaneve, stazioni, piloni.
Il titolo del progetto è Alte Terre, che riprende l’uso dell’espressione “terre alte”, affermatasi da alcuni anni per indicare le regioni di montagna occupate e vissute dall’uomo, e rappresenta il risultato di un percorso biennale di ricerca che inizia nel secondo semestre del primo anno e si conclude nel primo semestre del terzo anno con l’esame del modulo Metodologie e Tecniche del Contemporaneo. I due studenti hanno lavorato dapprima in modo individuale, su due temi diversi ma connessi al mondo della montagna, e hanno poi deciso di unire i loro sforzi nel progetto Alte Terre.

Così si può leggere su “Artribune”, in un articolo del 18 marzo scorso che anticipa l’uscita del numero 71 del magazine, del progetto Alte Terre, veramente molto interessante e di grande forza, sia simbolica che espressiva, che offre numerosi spunti di analisi e riflessione sui temi indagati parimenti intensi. Giusto per citarne un paio: è molto significativo che un progetto del genere, e la visione critica che propone rispetto alla montagna contemporanea, venga da due giovani, rappresentati di una fascia generazionale che nuovamente si dimostra ben più attenta e sensibile di quelle più “adulte” nei confronti della realtà del mondo contemporaneo e più capace di coglierne le contraddizioni e le storture presenti con grande consapevolezza – oltre a essere quella che dovrà gestire e possibilmente risolvere i danni perpetrati al mondo dalle generazioni precedenti. Inoltre, l’idea delle «montagne che spariscono» perché inghiottite dalle infrastrutture del turismo di massa rimandano direttamente – e forse consapevolmente, mi piacerebbe chiederlo ai curatori del progetto – a quel meraviglioso brano di Giovanni Cenacchi, tratto da Dolomiti cuore d’Europa e che ho riportato in questo mio recente post,  nel quale Cenacchi racconta della “scomparsa” delle celeberrime Tre Cime di Lavaredo, cancellate dalla visione banalizzante di esse prodotta dal turismo di massa che frequenta il luogo.

Alte Terre è un progetto e un lavoro da conoscere e apprezzare parecchio, insomma. Cliccando sull’immagine in testa al post (che “farà” la copertina del #71 di “Artribune”) potrete visitare il sito web del magazine e leggere l’intervista ai curatori del progetto; qui invece potrete saperne di più al riguardo e vedere altre immagini che ne fanno parte.

P.S.: grazie di cuore a Lorenzo Manenti, amico, docente e a sua volta artista pregevole, che mi ha dato notizia del progetto.

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Fare cose belle e buone, in montagna. Sulle Madonìe (Sicilia), ad esempio

Le Madonìe (in siciliano Li Marunìi) sono tra le montagne più belle della Sicilia e del Mediterraneo. Tanto poco esteso quanto ricco di angoli spettacolari e in costante vista del Mar Tirreno, il gruppo presenta le più alte vette dell’isola dopo l’Etna, sfiorando i duemila metri di quota con il Pizzo Carbonara (1979 m) che domina una morfologia parecchio variegata nonché alcune peculiarità notevoli come la faggeta di Piano Cervi, la più meridionale d’Europa. D’altro canto l’ambiente naturale delle Madonìe è talmente pregiato che la zona, il cui parco è inserito già dal 2004 nella Rete Mondiale dei Geoparchi, dal 2015 si fregia del titolo di Geoparco Mondiale UNESCO.

Nonostante ciò, anche le Madonìe non sono sfuggite al tentativo di imporre ai loro territori i modelli del turismo di massa più banalizzanti e decontestuali: la località sciistica di Piano Battaglia, pur piccola, è il frutto di quell’imposizione, dagli scopi ben più attenti al consumo del luogo che alla sua valorizzazione autentica e con la solita cronaca di pasticci finanziari, chiusure, riaperture, richiusure, soldi pubblici malamente spesi, problematiche legate al clima, eccetera: la sua storia è raccontata – succintamente ma compiutamente – nel libro Inverno Liquido di Maurizio Dematteis e Michele Nardelli.

Anche per i motivi che ho appena citato, qualche anno fa un gruppo di cittadini madoniti per passione, interesse, competenze, ha deciso di impegnarsi alla promozione e sviluppo dei territori montani delle Madonie, creando un’associazione culturale che oggi si può ben indicare come un esempio mirabile e assai efficace di valorizzazione della montagna in senso generale: è Identità Madonita, nata proprio per attivare e promuovere nuovi processi di sviluppo, reti di aziende, persone e servizi dedicati non solo al visitatore ma anche ai giovani madoniti. L’associazione promuove forme di sensibilizzazione attraverso attività mirate ad accrescere la conoscenza ed il valore del territorio, a combattere lo spopolamento e attivare nuove visioni e interpretazioni del territorio locale. Inoltre usa lo sport per attivare forme di sensibilizzazione dei giovani madoniti in base al principio per il quale la conoscenza approfondita di pratiche che agevola la scoperta dei luoghi del territorio può essere potente volano di nuove forme di coscienza, di attività imprenditoriali e di attrazione, così da innescare nuovi meccanismi di sviluppo benefici per l’intero territorio.

Infine, Identità Madonita sfrutta la conoscenza dei suoi membri per promuovere e incentivare forme di reti di persone e servizi al fine di facilitare la fruizione e la coltivazione della cultura delle Madonie. Per questo tra i soci dell’associazione si trovano maestri ceramisti, agronomi profondi conoscitori delle tradizioni contadine, maestri pupari, esperti cuochi, ex componenti dei reparti speciali dell’esercito, artisti pittori, e soprattutto appassionati esperti di sviluppo locale: un ambiente umano ideale per implementarvi la collaborazione di partner commerciali accuratamente scelti per supportare la permanenza e le attività dei visitatori, i quali a loro volta possono approfittare di tale rete per scegliere servizi e aziende innanzi tutto dell’entroterra madonita ma anche della zona costiera, che ha nella cittadina di Cefalù, con la sua rinomanza turistica riconosciuta a livello internazionale, un importante e emblematico legame referenziale tra il mare e il comprensorio montano delle Madonie.

Un’esperienza veramente notevole e ammirevole, quella di Identità Madonita, che ha molto da insegnare a tante altre località montane alpine e appenniniche dalla storia assimilabile che ancora, per motivi di vario genere ma che ormai tutti conoscono bene, non riescono a liberarsi dal giogo della monocultura dello sci nonostante nulla vi sia più – in senso geografico, climatico, ambientale, economico, sociale, culturale, eccetera – nella realtà effettiva di quei luoghi che possa giustificare questo soffocante accanimento turistico. Insomma: chapeau!

(Tutte le immagini presenti nell’articolo sono tratte dalla pagina Facebook dell’Associazione Identità Maronita.)

N.B.: altre cose belle e buone fatte in montagna:

Un “borgo” (?!)

Sestriere, un «borgo».

Sestriere, già, nata con regio decreto il 18 ottobre 1934 per la volontà di Giovanni Agnelli di creare una località esclusivamente vocata al turismo sciistico, che ai tempi cominciava a trasformarsi nel fenomeno di massa poi sviluppatosi ovunque dal dopoguerra in poi. Nemmeno novant’anni di vita, e sarebbe un “borgo”.

Capite quale immaginario della montagna ci vogliono imporre, sempre più distorto, deviato, funzionale alla svendita commerciale e al consumo illimitato dei territori montani? Non da oggi, sia chiaro, ma negli ultimi tempi con sfacciataggine ancor più bieca e sfrenata. 

Ha ben ragione l’illustre Antonio De Rossi, sulla cui pagina Facebook ho intercettato la cosa lì sopra, a commentare: «La situazione pare oramai sfuggita di mano». Già: da discutibile, a paradossale, a ridicola ormai e chissà cos’altro, di questo passo.

Sia chiaro, nulla contro Sestriere per quel che è realmente e per chiunque ci vada: posto peculiare, per molti versi. Ma non è un borgo. Altrimenti definiamo “cattedrale” un centro commerciale e “foresta vergine” gli alberi di un giardino pubblico cittadino – o si continui pervicacemente a fare ciò che notai tempo fa sulla brochure promozionale di una nota località delle Dolomiti, dove ebbero il coraggio di definire “wilderness” il bosco in mezzo alle piste da sci da «esplorare» in appositi tour guidati lungo tracce comodamente battute e segnalate, con ovvio happy hour finale in un rifugio lì vicino. Fate voi!

Da par mio dunque non posso che ritornare a Antonio De Rossi, in merito a tale questione, e al fondamentale libro di cui è autore/curatore insieme a Filippo Barbera e Domenico Cersosimo: Contro i borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi, pubblicato da Donzelli. Da leggere, sempre più (e cliccando sul link troverete un altro libro similmente interessante, sullo stesso tema).

Buone vacanze a tutti quelli che si recheranno a Sestriere. Che non è un “borgo”. No.

Fare cose belle e buone, in montagna. A Erl (Austria), ad esempio

[Immagine tratta da www.kufstein.at.]

Un amministratore locale “medio” delle Alpi italiane si trova a poter spendere un tot di milioni di Euro di soldi pubblici: che ci fa? Salvo poche eccezioni, probabilmente impianti e piste da sci, anche se non soprattutto a meno di 2000 m di quota, altitudine sotto la quale la scienza dimostra con dati ineluttabili che nevicherà sempre meno e farà sempre più caldo. Dove invece non impera la monocultura dello sci, tanto adatta a spendere facilmente soldi e a ricavarne altrettanto facili tornaconti quanto del tutto fuori dal tempo e sovente degradante le montagne alle quali viene imposta, si può avere la mente libera e sensibile a idee differenti, innovative, realmente capaci di cambiare quei paradigmi fallimentari prima citati. A Erl, piccolo comune in Austria nel distretto di Kufstein (a nord di Innsbruck), ove sono comunque presenti rinomati comprensori sciistici, hanno deciso di investire 36 milioni Euro (cifra che qui vale come tre impianti sciistici e relative infrastrutture, più o meno) in un’opera culturale che ha rilanciato in maniera preponderante e sorprendente l’intera zona: la Festspielhaus, una modernissima sala per concerti ed eventi artistici da ben 862 posti a sedere e un palcoscenico addirittura più grande di quello dell’Opera di Vienna, che offre un calendario costantemente ricco di proposte di altissimo livello registrando di frequente il tutto esaurito, con numerosi visitatori che giungono anche da molto lontano, oltre a rappresentare un’opera di architettura contemporanea che anche per ciò è diventata una rinomata attrazione turistica e culturale.

Come scrive Paolo Martini nel suo blog su “Il Fatto Quotidiano” in un articolo significativamente intitolato Non di solo sci vive la montagna,

La Festspielhaus è stata costruita tra il 2010 e il 2012 ai margini del bosco dallo studio viennese DMMA di Delugan Meissl, gemello post-moderno di una vicina e precedente costruzione di cemento bianco a forma di torre, la celebre Passionsspielhaus, dedicata alla grande rappresentazione popolare della Passione, cui partecipano dal 1613 quasi tutti i millecinquecento abitanti del paese, ogni sei anni, e che a sua volta è diventata una celebre attrazione turistica della regione a nord di Innsbruck. Fa impressione pensare che un paesino tra i tanti, lungo l’Inn, abbia voluto costruirsi un palcoscenico di 450 metri quadrati e una splendida platea per quasi novecento spettatori, in grado di garantire visuale e acustica pressoché perfette per ogni ordine di posto. Nel periodo natalizio la programmazione del Festspielhaus di Erl riparte alla grande, tra concerti e opere di altissimo livello, tal quale durante la stagione estiva.

Ecco. Per tutti quelli che dicono che chi è contro i nuovi impianti di sci non vuole che si faccia alcunché in montagna, magari tacciandolo di essere un «integralista del no» (definizione spesso sulla bocca dei sostenitori della monocultura sciistica): la questione è semmai che non si possono fare cose illogiche, insensate, fuori contesto, prive di visione e progettualità futura per di più spendendo soldi pubblici, ma si possono (anzi, si devono) fare cose dotate di buon senso e realmente capaci di sviluppare e valorizzare il luogo nel quale vengono realizzate, anche perché fatte spendendo soldi pubblici dei cui benefici concreti si dovrebbe sempre rendere conto, così come dovrebbe riconoscere le proprie responsabilità (anche giuridiche) chi impone opere e progetti palesemente fallimentari le cui conseguenze deleterie non tardano a manifestarsi.

Tuttavia, sono discorsi semplicissimi da capire per chiunque ma, temo, ancora troppo complicati per quei citati personaggi pubblici; d’altro canto, chi non ha orecchie per intendere non intende nulla, già.

N.B.: altre cose belle e buone fatte in montagna:

Per un maggiore rispetto dello spazio alpino

[Immagine tratta dal documento CAI L’impatto ambientale dello sci. Montagna, neve e sviluppo sostenibile.]

Lo spazio alpino ha un enorme valore. Molte persone vivono e lavorano nelle regioni di montagna dei paesi alpini. Allo stesso tempo, milioni di persone in cerca di svago visitano ogni anno la regione alpina al fine di distendersi e rigenerarsi per la vita quotidiana. Assieme ad alcune delle ultime aree naturali non urbanizzate del continente, questo eccezionale paesaggio culturale, di piccola scala, modellato dal lavoro dell’uomo nel corso dei secoli, forma in Europa un patrimonio centrale dell’umanità ed è la base vitale per la popolazione che ci vive, che merita il rispetto di tutti noi. Oggi le Alpi sono la catena montuosa più densamente urbanizzata al mondo, con strade, impianti di risalita, sentieri escursionistici, rifugi, infrastrutture turistiche, agricole e altre. Certamente è stato questo sviluppo che in passato ha reso la regione alpina uno spazio vitale con un’alta qualità di vita, ma ora lo sviluppo della regione alpina è completo. Il picco è stato raggiunto da tempo. Lo sviluppo sta diventando sovra-sviluppo. Purtroppo questo concetto non è ancora stato introiettato dai decisori politici ed economici. L’obiettivo di ridurre a un livello minimo l’ulteriore sviluppo e l’edificazione di aree ancora incontaminate o già ottimamente sviluppate nella regione alpina non è ancora stato raggiunto. Il paesaggio alpino è percepito solo come uno sfondo. È una mancanza di rispetto per le nostre Alpi. […]

Sono brani tratti dal Manifesto per un maggiore rispetto dello spazio alpino redatto dall’Alpenverein Südtirol con il sostegno di Cai – Club Alpino Italiano, Heimatpflege e Dachverband, nonché dei club alpinistici di Austria (Öav) e Germania (Dav) e reso pubblico lo scorso 22 novembre. Rappresenta un’ennesima testimonianza consapevole e dettagliata sulla realtà contemporanea e futura delle Alpi, la cui analisi appare quanto mai antitetica alle idee e all’azione di molti politici e decisori locali che puntano alla turistificazione massiccia e degradante delle montagne, al fine di farne un “bene” da vendere e consumare il più possibile a discapito di qualsiasi loro cultura, identità, socialità, necessità reale, economia, ecologia oltre che, inesorabilmente, dell’ambiente naturale.

Per approfondire i contenuti del Manifesto potete visitare il sito “MountCity”, che ne ha riferito qui.