“Acqua di montagna”, un podcast

Con grande onore e altrettanto piacere ho potuto intervenire in “Breccast”, il podcast della testata on line “Breccia”, nel corso della puntata del 24 marzo scorso dal titolo “Acqua di montagna ora on line su SpotifyAnchorAmazonAppleGoogle.

Una puntata che, prendendo spunto dalla leggenda che lega il Lago Bianco e il Lago Nero al territorio del Passo del Gavia e arrivando al progetto di approvvigionamento delle loro acque da parte del comprensorio sciistico di Santa Caterina Valfurva, si occupa di montagna e dell’insensatezza di molti progetti dell’industria sciistica odierna (Monte Tonale Occidentale, Montecampione, Maniva), ma d’altro canto citando anche episodi positivi di comunità che provano a scegliere una strada diversa da cemento, impianti e spreco di denaro pubblico. Proprio su queste tematiche ho potuto portare il mio contributo e la mia visione al riguardo: ringrazio di cuore Emanuele Galesi, giornalista di “Breccia” e uno dei curatori del podcast, che mi ha proposto e offerto questa preziosa e importante opportunità.

Potete ascoltare la puntata cliccando sull’immagine qui sotto. Buon ascolto!

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Fare cose belle e buone, in montagna. Sulle Madonìe (Sicilia), ad esempio

Le Madonìe (in siciliano Li Marunìi) sono tra le montagne più belle della Sicilia e del Mediterraneo. Tanto poco esteso quanto ricco di angoli spettacolari e in costante vista del Mar Tirreno, il gruppo presenta le più alte vette dell’isola dopo l’Etna, sfiorando i duemila metri di quota con il Pizzo Carbonara (1979 m) che domina una morfologia parecchio variegata nonché alcune peculiarità notevoli come la faggeta di Piano Cervi, la più meridionale d’Europa. D’altro canto l’ambiente naturale delle Madonìe è talmente pregiato che la zona, il cui parco è inserito già dal 2004 nella Rete Mondiale dei Geoparchi, dal 2015 si fregia del titolo di Geoparco Mondiale UNESCO.

Nonostante ciò, anche le Madonìe non sono sfuggite al tentativo di imporre ai loro territori i modelli del turismo di massa più banalizzanti e decontestuali: la località sciistica di Piano Battaglia, pur piccola, è il frutto di quell’imposizione, dagli scopi ben più attenti al consumo del luogo che alla sua valorizzazione autentica e con la solita cronaca di pasticci finanziari, chiusure, riaperture, richiusure, soldi pubblici malamente spesi, problematiche legate al clima, eccetera: la sua storia è raccontata – succintamente ma compiutamente – nel libro Inverno Liquido di Maurizio Dematteis e Michele Nardelli.

Anche per i motivi che ho appena citato, qualche anno fa un gruppo di cittadini madoniti per passione, interesse, competenze, ha deciso di impegnarsi alla promozione e sviluppo dei territori montani delle Madonie, creando un’associazione culturale che oggi si può ben indicare come un esempio mirabile e assai efficace di valorizzazione della montagna in senso generale: è Identità Madonita, nata proprio per attivare e promuovere nuovi processi di sviluppo, reti di aziende, persone e servizi dedicati non solo al visitatore ma anche ai giovani madoniti. L’associazione promuove forme di sensibilizzazione attraverso attività mirate ad accrescere la conoscenza ed il valore del territorio, a combattere lo spopolamento e attivare nuove visioni e interpretazioni del territorio locale. Inoltre usa lo sport per attivare forme di sensibilizzazione dei giovani madoniti in base al principio per il quale la conoscenza approfondita di pratiche che agevola la scoperta dei luoghi del territorio può essere potente volano di nuove forme di coscienza, di attività imprenditoriali e di attrazione, così da innescare nuovi meccanismi di sviluppo benefici per l’intero territorio.

Infine, Identità Madonita sfrutta la conoscenza dei suoi membri per promuovere e incentivare forme di reti di persone e servizi al fine di facilitare la fruizione e la coltivazione della cultura delle Madonie. Per questo tra i soci dell’associazione si trovano maestri ceramisti, agronomi profondi conoscitori delle tradizioni contadine, maestri pupari, esperti cuochi, ex componenti dei reparti speciali dell’esercito, artisti pittori, e soprattutto appassionati esperti di sviluppo locale: un ambiente umano ideale per implementarvi la collaborazione di partner commerciali accuratamente scelti per supportare la permanenza e le attività dei visitatori, i quali a loro volta possono approfittare di tale rete per scegliere servizi e aziende innanzi tutto dell’entroterra madonita ma anche della zona costiera, che ha nella cittadina di Cefalù, con la sua rinomanza turistica riconosciuta a livello internazionale, un importante e emblematico legame referenziale tra il mare e il comprensorio montano delle Madonie.

Un’esperienza veramente notevole e ammirevole, quella di Identità Madonita, che ha molto da insegnare a tante altre località montane alpine e appenniniche dalla storia assimilabile che ancora, per motivi di vario genere ma che ormai tutti conoscono bene, non riescono a liberarsi dal giogo della monocultura dello sci nonostante nulla vi sia più – in senso geografico, climatico, ambientale, economico, sociale, culturale, eccetera – nella realtà effettiva di quei luoghi che possa giustificare questo soffocante accanimento turistico. Insomma: chapeau!

(Tutte le immagini presenti nell’articolo sono tratte dalla pagina Facebook dell’Associazione Identità Maronita.)

N.B.: altre cose belle e buone fatte in montagna:

Il ritorno del Carnevale di Livemmo

[Immagine tratta da www.intangiblesearch.eu.]
Lo scorso anno ho scritto della bellezza e del fascino assoluti dei Carnevali delle Alpi, celebrazioni dalle origini ancestrali ricchissime di palinsesti narrativi che pescano da retaggi innumerevoli, spesso afferenti alla dimensione del mistero e del mito, e l’ho fatto riferendo della lettura del volume Carnevali e folclore delle Alpi, che consente un vero e proprio viaggio etnologico, antropologico, folclorico e storico lungo l’intera regione alpina italiana, dal Piemonte fino al Friuli, con alcune puntate oltre confine in Svizzera e in Austria, incontrando in ogni luogo le mitologie che animano i festeggiamenti tra il periodo natalizio e la fine dell’inverno e che caratterizzano il folclore locale.

Uno dei carnevali più particolari e affascinanti dell’arco alpino italiano tornerà in scena domenica prossima, 12 febbraio: è il Carnevale di Livemmo (nel comune di Pertica Alta in Valle Sabbia, provincia di Brescia), tra quelli più ricchi di suggestioni rituali ancestrali e di figure mascherate misteriose. Come la Vecia dal val, che in un articolo di qualche anno fa pubblicato su “Orobie” Paolo Doni descrisse così: «C’è questa figura, che non appare subito chiara: una donna, un’anziana, una contadina, il suo volto è marcato, caricaturale, da strega. Gira in tondo, al ritmo di musica. Le braccia sono occupate a tenere una grande cesta di vimini. E nella cesta non ci sono né fieno, né orzo, ma un vecchio. Anche il suo viso è una caricatura: la chioma bianca e scompigliata, le sopracciglia folte, la linea della bocca piegata in una smorfia di scherno.»

Se ne avete la possibilità andate a vedere il Carnevale di Livemmo: al netto della comprensibile “sagralizzazione” dell’evento, avrete la possibilità di osservare attraverso uno squarcio nello spazio e nel tempo e cogliere l’essenza più antica e mitologica della tradizione culturale delle Alpi, identitaria e referenziale per questa zona ma in fondo assolutamente emblematica dello spirito dell’intera catena alpina.

Fare cose belle e buone, in montagna. A Erl (Austria), ad esempio

[Immagine tratta da www.kufstein.at.]

Un amministratore locale “medio” delle Alpi italiane si trova a poter spendere un tot di milioni di Euro di soldi pubblici: che ci fa? Salvo poche eccezioni, probabilmente impianti e piste da sci, anche se non soprattutto a meno di 2000 m di quota, altitudine sotto la quale la scienza dimostra con dati ineluttabili che nevicherà sempre meno e farà sempre più caldo. Dove invece non impera la monocultura dello sci, tanto adatta a spendere facilmente soldi e a ricavarne altrettanto facili tornaconti quanto del tutto fuori dal tempo e sovente degradante le montagne alle quali viene imposta, si può avere la mente libera e sensibile a idee differenti, innovative, realmente capaci di cambiare quei paradigmi fallimentari prima citati. A Erl, piccolo comune in Austria nel distretto di Kufstein (a nord di Innsbruck), ove sono comunque presenti rinomati comprensori sciistici, hanno deciso di investire 36 milioni Euro (cifra che qui vale come tre impianti sciistici e relative infrastrutture, più o meno) in un’opera culturale che ha rilanciato in maniera preponderante e sorprendente l’intera zona: la Festspielhaus, una modernissima sala per concerti ed eventi artistici da ben 862 posti a sedere e un palcoscenico addirittura più grande di quello dell’Opera di Vienna, che offre un calendario costantemente ricco di proposte di altissimo livello registrando di frequente il tutto esaurito, con numerosi visitatori che giungono anche da molto lontano, oltre a rappresentare un’opera di architettura contemporanea che anche per ciò è diventata una rinomata attrazione turistica e culturale.

Come scrive Paolo Martini nel suo blog su “Il Fatto Quotidiano” in un articolo significativamente intitolato Non di solo sci vive la montagna,

La Festspielhaus è stata costruita tra il 2010 e il 2012 ai margini del bosco dallo studio viennese DMMA di Delugan Meissl, gemello post-moderno di una vicina e precedente costruzione di cemento bianco a forma di torre, la celebre Passionsspielhaus, dedicata alla grande rappresentazione popolare della Passione, cui partecipano dal 1613 quasi tutti i millecinquecento abitanti del paese, ogni sei anni, e che a sua volta è diventata una celebre attrazione turistica della regione a nord di Innsbruck. Fa impressione pensare che un paesino tra i tanti, lungo l’Inn, abbia voluto costruirsi un palcoscenico di 450 metri quadrati e una splendida platea per quasi novecento spettatori, in grado di garantire visuale e acustica pressoché perfette per ogni ordine di posto. Nel periodo natalizio la programmazione del Festspielhaus di Erl riparte alla grande, tra concerti e opere di altissimo livello, tal quale durante la stagione estiva.

Ecco. Per tutti quelli che dicono che chi è contro i nuovi impianti di sci non vuole che si faccia alcunché in montagna, magari tacciandolo di essere un «integralista del no» (definizione spesso sulla bocca dei sostenitori della monocultura sciistica): la questione è semmai che non si possono fare cose illogiche, insensate, fuori contesto, prive di visione e progettualità futura per di più spendendo soldi pubblici, ma si possono (anzi, si devono) fare cose dotate di buon senso e realmente capaci di sviluppare e valorizzare il luogo nel quale vengono realizzate, anche perché fatte spendendo soldi pubblici dei cui benefici concreti si dovrebbe sempre rendere conto, così come dovrebbe riconoscere le proprie responsabilità (anche giuridiche) chi impone opere e progetti palesemente fallimentari le cui conseguenze deleterie non tardano a manifestarsi.

Tuttavia, sono discorsi semplicissimi da capire per chiunque ma, temo, ancora troppo complicati per quei citati personaggi pubblici; d’altro canto, chi non ha orecchie per intendere non intende nulla, già.

N.B.: altre cose belle e buone fatte in montagna:

Piz di Olda, una notizia confortante… anzi no!

La notizia dal titolo che vedete nell’immagine lì sopra, tratta dal sito web del “Giornale di Brescia” che l’ha pubblicata lo scorso 11 novembre (cliccateci sopra per leggerla), è di quelle che da un lato confortano e dall’altro inquietano.

Confortano perché, a fronte delle infrastrutture «per far rinascere e riscoprire la montagna, rendendola attrattiva per gli sportivi» (cito dall’articolo) piazzate sul Piz di Olda, bella vetta di oltre 2500 m che fa da pietrone d’angolo tra la Valle Camonica e la laterale Val Saviore, con un passato da seconda linea bellica a poca distanza dal fronte che nel corso della Prima Guerra Mondiale sconquassava l’Adamello, evidentemente qualcuno dei promotori delle opere ha capito di averla fatta troppo grossa ovvero di non poter riuscire a nascondersi come avrebbe voluto davanti alle mancanze di autorizzazioni segnalate dall’articolo nonché all’impatto delle opere così allegramente (e troppo rapidamente, appunto) installate sul Piz di Olda. Monte che, d’altro canto, per quanto sopra esposto non viene affatto messo al riparo dal pericolo che i promotori delle “passerelle” non ci riprovino a imporle e a esaltarle come “sviluppo della montagna” o cose simili, trovando la scappatoia burocratica consona a saltare a piè pari, in perfetto e italico stile, le numerose e evidenti criticità delle installazioni, a partire dalla presenza del vincolo ambientale sul territorio in questione.

Da ciò infatti nasce l’inquietudine che, dall’altro lato, suscita la notizia – queste come le molte altre che si possono leggere con sempre maggior frequenza sui media: l’inquietudine del constatare come vi siano amministratori pubblici di territori particolarmente pregiati, sotto molti aspetti sia materiali che immateriali, e anche per questo delicati dunque necessitanti di una particolare competenza politico-culturale, che con tale sconcertante leggerezza (ovvero per altre loro “doti” che evito di citare per non sembrare troppo irrispettoso e offensivo) promuovano, acconsentano nelle loro sedi istituzionali e giustifichino opere così stupide, oltre che così decontestuali e volgarmente impattanti sul territorio. Ma come è possibile che non capiscano ciò che fanno? O forse bisogna nuovamente pensare che capiscano benissimo e se ne disinteressino totalmente di quanto sanno di capire?

Certamente qualcuno potrà ribattere a tali domande spontanee rimarcando il fatto che si tratti di piccole cose, niente di devastante, e che tanto sulla vetta dell’Olda già alcuni ci arrivano con la propria bici. Be’, ciò invero rappresenta una buona ragione in più per non realizzare le opere previste, e che la storia del turismo alpino di massa insegna bene che in molti casi le più grandi e degradanti “turistificazioni” delle montagne nascono proprio da piccole opere, trascurate dai più e magari in origine pure “apprezzate” ma già manifestanti perfettamente la mancanza di cultura, cura, attenzione e progettazione nei confronti dei territori in cui sono state realizzate. Ma scusate, poi: sviluppare il turismo di montagna significa che chiunque possa pretendere di poter arrivare dovunque o quasi? Su ogni vetta adatta al caso, in ogni luogo incontaminato, in ogni angolo che sia in qualche modo vendibile e monetizzabile? Se non tutti sono in grado di salire una certa montagna, in qualsiasi modo lo si faccia, ci sarà un valido motivo, no? Valido, peraltro, anche per non poter pretendere di salirci comunque attraverso la realizzazione di percorsi facilitati che in realtà quella montagna la banalizzano e la degradano nel valore geografico, alpinistico, culturale.

[Panoramica della vetta del Piz di Olda, con sullo sfondo l’Adamello, tratta da www.montagnecamune.it.]
Ecco, veramente io mi chiedo perché chiunque «adora il brivido, le pedalate intense e faticose, i tecnicismi sulle due ruote» debba necessariamente andare fino ai 2500 m del Piz di Olda e solo grazie a un percorso artificiale brutto e avvilente, quando poi sulla vetta già i bikers più bravi ci arrivano superando a modo loro gli ostacoli naturali lungo il percorso (siamo in alta montagna, mica sul lungolago di Lovere, no?). Che senso ha? Forse che la Valle Camonica non offra sufficienti percorsi di ogni genere per gli amanti delle pedalate montane senza il bisogni di piazzarci manufatti artificiali? Forse che l’andare in bicicletta sui monti debba necessariamente significare “brivido”, “pedalate intense”, “tecnicismi” e ciò valga ovunque, ovvero dovunque qualche amministratore locale privo di scrupoli e soprattutto di attenzione e cura verso i propri territori acconsenta di poter andare? È questo il nuovo “turismo green e sostenibile” che si vorrebbe proporre quando non imporre – visti gli andazzi – per i nostri territori montani? E ribadisco la domanda fondamentale, al riguardo: è questa la montagna che vogliamo? È questa la montagna che gli amministratori pubblici sostenitori di tali opere vogliono ingiungerci? Un luogo totalmente deprivato della sua cultura e trasformato sempre di più in un adrenalinico parco giochi nel quale non contano più la storia, le geografie, le narrazioni secolari, le comunità residenti, le potenzialità culturali, le bellezze naturali ma solo il brivido e i tecnicismi? Ribadisco di nuovo: non conta l’entità degli interventi, non la forma e non tanto la visibilità ma principalmente la sostanza e la proposta, politica, culturale, imprenditoriale, turistica, che essi manifestano, e che rischia di diventare la norma per il contesto territoriale in questione.

Sarebbe molto interessante e importante se gli amministratori pubblici locali rispondessero a tali sollecitazioni. Sarebbe bello se manifestassero il coraggio di farlo e al contempo se finalmente prendessero l’impegno di evitare i soliti slogan sullo “sviluppo della montagna”, sulle “opportunità da cogliere”, sulla “lotta allo spopolamento” oppure i termini “green”, “sostenibile” e compagnia cantante. Sarebbe importantissimo se mostrassero la capacità di presentare una progettualità strutturata e a lungo termine pensata ad hoc per il territorio e capace di formulare per esso prospettive concrete, coerenti, realmente innovative, in grado di mettere al centro di tutto le comunità residenti costruendo su di esse e sul loro buon futuro lo sviluppo del territorio, in senso economico, ecologico, sociale, antropologico, culturale.

Se invece non fossero in grado di fare quanto sopra, o se credessero di esserne capaci ma solo in base a mere convinzioni immateriali di matrice funzionalmente politica, be’, dovrebbero rendersi conto di avere già fallito. E che purtroppo con le loro iniziative insensate rischierebbe di fallire anche tutta la montagna, come è già accaduto altrove quando si sia preteso di intervenire con opere del tutto fuori contesto per inseguire tornaconti particolari a discapito dell’interesse e del benessere collettivo. Veramente gli amministratori pubblici camuni vogliono assumersi una responsabilità del genere?