Che cosa ci vedete in queste immagini?

Sono immagini che ho tratto da una serie fotografica pubblicata sulle pagine sociale di Varasc.it – ad esempio su Facebook è qui.

Per quanto mi riguarda, io ci vedo un luogo dove dimora il Genius Loci delle Alpi “in persona”, nel quale si ritrova l’anima più autentica dello spazio alpino, la coscienza del luogo-Alpi. E ci vedo la vita, il futuro, ovviamente la bellezza, ci sgorgo le fattezze di una gran fortuna, un tesoro, la forma che vorrei avesse la mia anima, un racconto affascinante, ci colgo un senso di fiducia e di responsabilità. Un posto in cui sentirsi bene semplicemente standoci, dove sentirsi in equilibrio. Un posto che dà un senso alle cose, qualsiasi esse siano.

Altri, invece, ci vedono un mero motivo per fare soldi, alla faccia del luogo stesso e di qualsiasi altra cosa, ne più ne meno fosse uno spazio sterile da dover far monetizzare perché altrimenti ritenuto inutile, sterile, fastidioso. Magari pure brutto. Come un prato di periferia in mezzo a tanti palazzoni ove non poter far altro che costruircene sopra altri, piuttosto di tutelarlo come ultima preziosa area verde. Chi vuole guadagnarci sopra lo vede esattamente così: una inutile periferia alpestre in mezzo ai propri danarosi “centri commerciali”. Un fastidio appunto, un impiccio da togliere di mezzo al più presto conquistandolo ai propri interessi particolari.

Ecco: secondo me, voler piazzare degli impianti funiviari nel Vallone delle Cime Bianche (il luogo in questione, per chi non lo [ri]conoscesse) è la manifestazione di un’alienazione ossessiva. Di un’incapacità di cogliere le cose belle e importanti per far spazio a quelle nocive, deleterie, riprovevoli ma che si inseguono morbosamente in forza di una devianza che nella realtà si manifesta nella pretesa di fare soldi a scapito di chiunque e di qualsiasi cosa. Anche di se stessi, sia chiaro, ma ovviamente in quell’alienazione non si è in grado di capirlo.

Non vedo come altrimenti spiegare la volontà di distruggere un luogo così speciale – non solo per le Alpi valdostane – senza nemmeno formulare una pur minima presa di coscienza, e di assunzione di responsabilità, di ciò che significherebbe. Ragionare solamente in termini di meri numeri, di milioni (di soldi pubblici) da spendere, di tornaconti personali, di marketing, di ostentazione di potere politico e commerciale rispetto a un luogo del genere: vi pare sensato? Vi pare logico, sostenibile, ammissibile, anche al di là che possa ritenersi (presuntamente) legittimo? Si può ancora ragionare così, quando si ha a che fare con l’ambiente naturale, a fronte di tutto quanto è già stato fatto e dei problemi che molti delle cose fatte hanno generato? Devastare un ennesimo territorio montano… per chi? Per cosa? Perché?

Non è una questione di tutela ecoambientalista da una parte e di sviluppo turistico-imprenditoriale dall’altra, no: è una questione di sensibilità, buon senso e saggezza contro prepotenza, insensatezza, menefreghismo innanzi tutto contro – ribadisco – se stessi e la propria gente, anche prima che contro la montagna.

In quell’immagine del Vallone delle Cime Bianche, luogo emblematico di molti altri sulle montagne italiane a rischio di devastazione, io ci vedo quanto avete letto. E non mi spiego la questione in altro modo.

P.S.: i miei numerosi articoli dedicati alla questione del Vallone delle Cime Bianche li trovate qui.

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Milano-Cortina 2026: le Olimpiadi dello spreco?

Un progetto che inizialmente era stimato in 60 milioni di Euro, ora è preventivato a oltre 120 milioni di Euro e chissà quanto ancora aumenterà. Da spendere per cosa? Un nuovo ospedale? Scuole, centri culturali, infrastrutture e servizi a favore della comunità? No, per la nuova pista di bob olimpica di Cortina. E non è che uno, e nemmeno il più sconcertante, dei tanti emblematici esempi del modo con il quale si stanno organizzando i giochi olimpici di Milano-Cortina 2026 e di vi si vogliono spendere più di cinque miliardi (!) di soldi pubblici.

Hanno ancora senso questi mega-eventi sportivi sulle montagne, quando vengano gestiti nei suddetti modi? Sono ancora logici, ammissibili, sostenibili, vantaggiosi per i territori e le comunità alle quali vengono imposti, per di più senza che queste vengano coinvolte nei relativi processi decisionali? È questo il miglior modo di sviluppare socioeconomicamente le nostre montagne?

Per trovare le risposte più consone, consapevoli e razionali a tali domande, potete leggere il libro Ombre sulla neve – la mia “recensione” al volume la trovate qui – e/o ascoltare il suo autore, Luigi Casanova, in uno dei prossimi incontri pubblici: sabato 10 giugno a Bergamo e lunedì 12 a Bolzano. Credo sia molto importante farlo: per noi stessi e per le nostre montagne. Trovate altri dettagli circa i due eventi sulla pagina Facebook di Luigi Casanova, qui.

(Cliccate sulle immagini per ingrandirle e leggerne meglio i contenuti.)

L’unione fa la forza – del Monte San Primo!

È bello e confortante vedere le immagini della sala consiliare di Civenna di Bellagio piena di gente, venerdì scorso 27 maggio in occasione dell’incontro-dibattito pubblico riguardante il progetto di “sviluppo turistico” del Monte San Primo – una vicenda che, come ormai saprete bene, sto seguendo fin dalla sua genesi e che nel tempo è assurta al rango di caso emblematico di certi progetti istituzionali a scopo turistico da un lato totalmente avulsi dalla realtà attuale e futura delle montagne e, dall’altro, forzatamente imposti al territorio senza alcun confronto con la comunità locale in merito a vantaggi e svantaggi ovvero a possibili alternative – nel caso del San Primo quanto mai necessarie, visto l’impatto ambientale delle opere previste e la loro palese illogicità rispetto al contesto montano e alle condizioni climatiche attuali.

Come riportato dalle cronache dell’incontro, che citano anche il Coordinamento “Salviamo il Monte San Primo”, una volta passati al dibattito con i cittadini presenti dopo i contributi dei relatori si è potuto nuovamente constatare come «la quasi totalità degli intervenuti ha espresso forti critiche nei confronti del progetto, ritenendolo totalmente anacronistico rispetto alla crisi climatica che stiamo vivendo, chiedendo nel contempo maggior rispetto per la naturalità della montagna. È emersa ancora una volta la pubblica indignazione per la mancata apertura, da parte delle Istituzioni, di un tavolo di confronto con le associazioni e la cittadinanza.»

Per l’appunto: le istituzioni pubbliche che sostengono l’insensato progetto in forza di motivazioni del tutto approssimative e vuote di sostanza risultano sempre più solitarie nell’arrocco sulle proprie posizioni. Veramente si fa sempre più fatica a trovare una risposta a questo comportamento così antidemocratico, e per molti aspetti è proprio questo l’elemento più critico e avverso al progetto turistico, la circostanza che rende palese da subito il suo impatto deleterio il quale evidentemente i proponenti cercando di tenere nascosto il più possibile. Come spiegarsi altrimenti un comportamento del genere?

Invece un grande plauso va nuovamente al Coordinamento delle associazioni unite in supporto alla causa di difesa del Monte San Primo: un caso a sua volta emblematico, ma qui in senso totalmente positivo, di «unione (che) fa la forza» a difesa delle nostre montagne, delle loro comunità e dell’inestimabile e insostituibile patrimonio condiviso di bellezza e cultura che rappresentano per chiunque. Con l’augurio di un successo rapido e completo!

Sabato scorso, parlando di montagne e turismi al Palamonti di Bergamo

È stato un vero piacere per me intervenire lo scorso sabato 27 maggio al Palamonti di Bergamo nel contesto del corso di aggiornamento degli operatori lombardi TAM – Tutela Ambiente Montano – del Club Alpino Italiano, dedicato al tema del turismo invernale, sciistico e non solo, rispetto ai cambiamenti climatici in corso e in generale alla realtà montana contemporanea.

Un piacere nonché un grande onore di aver condiviso questo compito con il professor Federico Nogara, uno degli estensori del documento di posizionamento del CAI Cambiamenti climatici, neve, industria dello sci, il testo con il quale il sodalizio italiano ha messo nero su bianco la propria posizione ufficiale al riguardo e che ha fatto da fulcro tematico alla giornata, attorno al quale ho sviluppato il mio intervento dedicato alla questione dell’overtourism in montagna, dunque al sovraffollamento turistico nei territori montani turistificati, all’analisi del fenomeno, alle realtà, le prospettive, i paradossi e le pratiche a tutela del paesaggio montano.

È stato infine bello e interessante confrontarci con gli operatori presenti, in un dibattito consapevole tra didattica scientifica, pratica esperienziale e realtà sul campo intorno al buon futuro delle nostre montagne, delle comunità residenti e di ciò che può e deve essere il turismo nelle terre alte.

Ringrazio di cuore Mariangela Riva, Presidente della Commissione Regionale lombarda TAM, per avermi coinvolto nella giornata e per le fotografie che vedete a corredo di questo articolo.

In montagna si «vive», sempre!

P.S. – Pre Scriptum: questo articolo, che scrissi per un altro blog, risale a più di cinque anni fa. Credo tuttavia che l’avrei potuto scrivere poco fa e sarebbe uscito sostanzialmente uguale: per ciò che vi è scritto e, ancor più, per l’idea dalla quale ciò che potete leggervi nasce. Un’idea che a sua volta scaturisce dalla relazione con la montagna che da lungo tempo cerco di approfondire sempre più: non so se con successo, ma ci provo.
Buona lettura.

[Foto di Andrea Peroceschi, tratta da www.ilovevaldinon.it.]borghi
In montagna non ci si abita, non si risiede o si lavora, non si alloggia e non si soggiorna per poco o tanto tempo, non la si visita ovvero semplicemente ci si sta ma, sempre e comunque, in montagna si vive. Per una sola ora o per la vita interna, mentre si svolge una professione o ci si diverte oppure durante qualsiasi altra attività di sorta: si vive, costantemente e pienamente, punto.

Questo deve diventare un “nuovo” (sempre che tale possa essere considerato) paradigma fondamentale, se si vuole che la montagna torni a vivere veramente. Non più un luogo dove alcune persone vivono e altre persone fanno qualcosa d’altro. No: ci si resti per solo qualche ora o per un’intera esistenza, lo stare in montagna deve sempre essere sinonimo di vita, dunque di completa e profonda consonanza con l’ambiente montano. Un ambiente che è vivo in ogni suo elemento, e che dunque richiede altrettanto a chiunque decida di interagirvi. Le separazioni sociali e commerciali tra abitanti e villeggianti, tra residenti e turisti (e per certi versi pure tra “montanari” e “cittadini”), non hanno più senso o, meglio, risultano del tutto antitetiche ad un rinnovato sviluppo autentico e virtuoso dell’ambiente montano. La montagna non è un oggetto, non lo è mai stato ma per troppo tempo così è stata considerata: un “mezzo”, uno strumento per conseguire certi interessi più o meno futili o leciti, quindi una merce da vendere, utilizzare e poi lasciarsi alle spalle. Qualcosa di sostanzialmente inerte, insomma, quando di contro è un ambito, la montagna, che come pochi altri rappresenta la vita alla massima potenza – il suo essere un iper luogo viene proprio (anche) da qui. Giammai “oggetto” ma soggetto, entità, essenza, come già veniva considerata da numerose popolazioni antiche e come oggi si ricomincia a considerare anche dal punto di vista giuridico (come di recente accaduto con il Monte Taranaki in Nuova Zelanda, ad esempio). E non si credano queste mere iniziative “esotiche” di paesi lontani e diversi: c’è molto di che riflettere e imparare, da parte nostra, riguardo tali realtà.

D’altro canto non c’è bisogno, in fondo, di spingersi in considerazioni di natura “panteista” dacché non serve (non dovrebbe servire) di rimarcare quanto sia oggi necessario, doveroso, imprescindibile salire verso l’alto per vivere la montagna, per esserne parte attiva e virtuosa e non più per altro. Chi va sui monti, fosse solo per qualche ora ovvero per motivi del tutto ricreativi, deve starci come se ci vivesse da sempre e come se per sempre dovesse viverci, deve comprendere come la sua presenza in quel territorio massimamente vivo non possa contemplare alcuna passività perché il territorio e l’ecosistema montano sono vivi della vita che ogni elemento vi apportacosì come subiscono danni e alterazioni se accade il contrario, se vi viene apportata inerzia, incuria e nocività. C’è la vacanza, la giornata di divertimento, il relax, ci mancherebbe: ma nessun momento pur meramente ludico può esimersi nella sostanza dall’essere un momento di vita piena proprio perché vissuto in un luogo che è pieno di vita. Cosa che, per giunta rende, la vacanza o la giornata di relax ancora più bella, più divertente e ritemprante, più memorabile.

Sia chiaro: è un principio, questo, che vale per qualsiasi territorio. Tuttavia, se possibile, in montagna vale ancora di più e assume significati ancora più emblematici. In fondo, sostenere che sui monti la vita si eleva verso l’alto come in nessun altro posto non è cosa affatto insensata né tanto meno metaforica. Anche per questo, dunque, in montagna si vive e si deve vivere sempre. Ogni altra presenza, lassù, ogni altro modus vivendi, ogni altro “stare”, obiettivamente con la montagna, e con il buon futuro di essa, non c’entrano – non possono c’entrare più nulla.