Il Vallone delle Cime Bianche, sempre più a rischio di devastazione

Il Vallone delle Cime Bianche, ormai dai più conosciuto come l’ultimo Vallone selvaggio delle Alpi valdostane, è sempre più a rischio di essere ignobilmente turistificato, dunque deturpato, dalla costruzione del collegamento funiviario e sciistico tra i comprensori di Cervinia-Zermatt e del Monterosa Ski. Una vicenda sconcertante e per molti aspetti folle sulla quale ho già scritto più volte e al cui riguardo si stanno muovendo tantissime persone appassionate di montagna variamente riunite in comitati o sotto l’egida delle associazioni alpinistiche, con capofila il team del progetto fotografico L’ultimo Vallone selvaggio. In difesa delle Cime Bianche e del sito web Varasc.it, promotore della petizione su Change.org in difesa del Vallone che ha ormai superato le 18.200 firme.

Vista la complessità della vicenda e la torbidezza delle azioni dei soggetti che sostengono il progetto funiviario, ho chiesto a Annamaria Gremmo e Marco Soggetto, referenti principali del progetto fotografico suddetto e di Varasc.it di aggiornarmi sullo stato delle cose ad oggi: li ringrazio di cuore per le informazioni dettagliate e chiare che mi hanno inviato e che vi ripropongo tali e quali di seguito, punto per punto, così da dare anche a voi la possibilità di vederci chiaro, sulla vicenda, ricavandone il senso sostanziale. Il quale (non è spoiler, questo) getta una pessima luce sui promotori del collegamento funiviario e di contro rende ancor più indispensabile la mobilitazione di chiunque alla salvaguardia del Vallone. Che poi è, come ho scritto fin da quando ho conosciuto la vicenda, un atto di difesa e salvaguardia di tutte le nostre montagne, ovunque esse siano e dovunque vi sia qualcuno che in barba a qualsiasi tutela ambientale e a ogni logico senso del limite voglia sfruttarle commercialmente e rovinarne il prezioso paesaggio per ricavarci dei tornaconti.

Cominciamo:

  • In data 30 gennaio 2020 la Regione Valle d’Aosta ha approvato, dopo una lunga impasse politica e grazie al voto decisivo di Rete Civica, il Documento di Economia e Finanza Regionale (DEFR 2020-2022) che prevede di (…) “Valutare la realizzabilità del collegamento tra i comprensori di Cervinia e Monterosa”. Alla voce “Attività previste”, il documento impone di (…) “Dar corso, da parte dei concessionari coinvolti, agli studi propedeutici, per giungere alla decisione basata sulle analisi di realizzabilità in termini di sostenibilità finanziaria, ambientale e urbanistica”.[1]
  • Nel mese di agosto 2020, il sindaco uscente di Ayas ha affermato alla stampa di aver (…) “Istituito un gruppo di lavoro per la progettazione” del collegamento, lamentando però la “discontinuità di referenti a livello regionale”.
  • Sempre durante l’estate 2020 si è costituito un comitato favorevole alla realizzazione del collegamento, il “Comitato collegamento Cervino/Monterosa” o “Cervino Monterosa Paradise” che ha subito precisato (senza citarne le fonti) il costo ipotetico dell’impianto: (…) “L’investimento, calcolato in circa 66 milioni di Euro, è tra i più grandi degli ultimi anni in opere di infrastruttura (impianti di risalita) di tutta la Valle d’Aosta.” Il costo totale calcolato dallo Studio di fattibilità del 2015 ammontava invece per “l’alternativa vincente” a 51 milioni di Euro, per un costo di gestione annuo di 1.335.340,00 Euro. Il neonato comitato ha sostenuto di voler procedere a una (…) “valorizzazione del territorio, nel pieno rispetto dell’ambiente”, garantendo un (…) “facile accesso ai disabili che avranno la possibilità di ammirare lo scenario delle grandi cime anche dalle alte quote” e perfino un (…) “polo museale che racconta la montagna, la sua fauna e flora”. Di particolare interesse, infine, la considerazione che (…) “una tale opera porterebbe infatti a un maggiore afflusso di turisti, con l’assoluta necessità di ampliare e potenziare le strutture turistiche in loco, dagli alberghi ai bar e ristoranti sulle piste”.
  • Il Vallone è quindi entrato nella campagna elettorale valdostana, in vista delle recenti elezioni regionali. È stato ad esempio citato dall’allora candidata Chiara Minelli (Progetto Civico Progressista), nominata poi il 21 ottobre 2020 Assessore all’ambiente, trasporti e mobilità sostenibile, in un video pubblicato il 3 settembre 2020 e girato proprio a Fiery.[2]

  • Sempre nel mese di ottobre 2020, in seguito e in ottemperanza a quanto stabilito dal DEFR, la partecipata Monterosa S.p.A. ha indetto il bando per un nuovo studio di fattibilità per la realizzazione dell’impianto, questa volta per un valore di oltre 742.000 Euro. Il bando ha descritto in grande dettaglio, nei suoi due documenti principali, ciò che si vorrebbe commissionare nel Vallone delle Cime Bianche: quattro tronconi di telecabine con le relative stazioni, infrastrutture di servizio e manutenzione. Oltre a ben due nuove piste da sci, di cui una estesa dal Colle Inferiore delle Cime Bianche all’Alpe Vardaz.
  • A luglio 2021 la società Monterosa Spa ha affidato lo studio di fattibilità ad uno studio tecnico di Bolzano per un totale di 403.000 euro, ribassando così la cifra iniziale stanziata. I primi risultati si attendevano per ottobre 2021.
  • A settembre 2021 sono state da noi rilevate, mappate e denunciate pubblicamente delle macroscopiche croci blu dentro e fuori dall’area protetta: dopo interrogazione in Consiglio Regionale valdostano, è stato ammesso che questi segni sono stati realizzati nell’ambito dello studio di fattibilità. La questione arrivò all’attenzione delle autorità competenti. Le croci, dopo l’inverno 2021-2022, risultano tuttora ben visibili. Il primo danno al Vallone.
  • In data 24 settembre 2021 l’Eurodeputata On. Tiziana Beghin ha presentato al Parlamento Europeo, in collaborazione con la collega On. Elisa Tripodi, un’interrogazione scritta in merito al progetto di collegamento intervallivo. Sempre l’On. Tripodi ha fatto seguire ad inizio ottobre 2021 un’interrogazione a Montecitorio sullo stesso tema. In data 15 novembre è stata recepita la risposta inequivocabile del Parlamento Europeo sulla Conservazione dei siti tutelati da Rete Natura 2000. Si attende la risposta all’interrogazione presentata in Parlamento.
  • Per l’autunno 2022 dovevano essere consegnati gli esiti dello studio di fattibilità la cui consegna tuttavia subisci continui inspiegabili ritardi.
  • Si apre una fase caratterizzata da una serie di anticipazioni ed indiscrezioni a mezzo stampa con un articolo del Sole24 Ore a metà dicembre: https://www.ilsole24ore.com/art/sci-cervinio-zermatt-piano-realizzare-580-km-piste-AE7qyeOC
  • E con un ultimo articolo del Telegraph in cui è contenuta una intervista a Maquignaz AD di Cervino Spa: https://www.ilsole24ore.com/art/sci-cervinio-zermatt-piano-realizzare-580-km-piste-AE7qyeOC. Il tutto senza che il Consiglio regionale valdostano riceva i documenti relativi allo studio (Munari AD di Monterosa accennava già a gennaio a problemi per l’aumento dei costi e promette poi a marzo la consegna a stretto giro al Consiglio Valle, che nel frattempo ha dovuto rieleggere il presidente, superando l’ennesima crisi). Le opposizione ovviamente insorgono. Persino la Lega chiede il rilascio dello studio, lamentando che è venuta meno la centralità del Consiglio.

Questo è quanto per ora.

Per finire, mi unisco idealmente alle opinioni riportate di seguito da Annamaria e Marco: il Vallone è una Zona Protetta ed un Bene Comune, un patrimonio naturalistico di tutti, alla cui difesa siamo quindi chiamati a partecipare attivamente, indipendentemente dalla nostra residenza e dal luogo di nascita.  La battaglia per la sua Conservazione è forse ad oggi la più importante causa sulle nostre Alpi Occidentali in cui l’opinione pubblica ha fondamentale rilievo e che non può quindi rimanere confinata tra le ristrette mura di un Consiglio Regionale.

Dunque, sempre e comunque: lunga vita al Vallone!

[1] Link: https://www.regione.vda.it/finanze/bilancio/pdf/2020_DEFR-testo-definitivo.pdf

[2] Link: https://www.facebook.com/watch/?v=331997731283811

P.S.: anche le foto presenti in questo post sono di Annamaria Gremmo.

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Artavaggio, nemo propheta in patria

P.S. (Pre Scriptum): per chi l’abbia perso e ne fosse interessato, ripropongo di seguito l’articolo sulla questione dello sviluppo turistico dei Piani di Artavaggio (Valsassina, provincia di Lecco – ma le cui osservzioni possono ben valere per molte altre località similari) pubblicato martedì 21 febbraio su “Valsassina News”. Come sempre, con la speranza di poter contribuire ad attivare un dibattito approfondito e consapevole riguardo il luogo, le sue peculiarità e il suo miglior futuro possibile, turistico e non solo.

Da Per una rigenerazione dell’Appennino Tosco-Emiliano: turismo, sostenibilità e sviluppo territoriale nel Parco Regionale Corno alle Scale, CAST – Centro di Studi Avanzati del Turismo, Università di Bologna (Campus di Rimini), marzo 2020, pagg.134-135:

«Se l’obiettivo primario è quello di investire sulla stazione sciistica, è bene seguire le best practice di stazioni sciistiche di piccole-medie dimensioni che hanno messo in atto recentemente delle strategie di rivitalizzazione del turismo (WTO, 2018). […] Emerge dunque la necessità di ampliare il portfolio di attività invernali per creare nuove opportunità di spesa per i visitatori, tenendo presenti i cambiamenti nelle loro preferenze e in una prospettiva di medio-lungo termine. In questo senso, la visione preferita registrata dai turisti oggetto della nostra indagine è quella che vede il rinnovamento e l’ammodernamento degli impianti, ma legandoli al potenziamento di forme di turismo diverse. ln questa direzione può essere utile ricordare le recenti esperienze di:
Valsassina in Lombardia, una stazione sciistica a bassa quota vicino a Milano, dove l’offerta dei tre piccoli resort che compongono la stazione è stata differenziata, dirigendola verso segmenti di mercato diversi. Il primo resort, di maggiore altitudine (Piani di Bobbio), è dedicato allo sci alpino in inverno e alla MTB in estate; il secondo (Piani di Artavaggio) è specializzato in sci di fondo, ciaspolate e attrazioni per famiglie; il terzo (Pian delle Betulle) è focalizzato sull’estate e offre un parco avventura.
– Cervinia in Valle d’Aosta, a fronte di una diminuzione nelle precipitazioni nevose, ha attuato un efficientamento degli impianti, riducendone il numero e aumentando la capacità degli ski-lift.
– Allgäu in Bavaria (Germania) ha un’ampia varietà di attrazioni naturali e culturali, ma si è posizionata come destinazione di wellness, promuovendo la cura che prende il nome da Sebastian Kneipp, originario di quella località.»

Tra gli innumerevoli documenti che abitualmente studio in tema di territori montani e loro frequentazione, qualche giorno fa mi è ricapitato tra le mani il report sopra indicato, dedicato all’area appenninica citata ma veramente ben strutturato e ricco di analisi alquanto interessanti e utili anche a molte altre zone montane che godono di una frequentazione turistica – o che la subiscono.

In esso, nel passaggio citato, i ricercatori del Centro di Studi Avanzati del Turismo dell’Università di Bologna citano tre casi evidentemente considerati indicativi riguardo il tema in questione, tra i quali c’è quello della Valsassina, portata a esempio di una riqualificazione diversificata delle proprie aree montane in forza dell’evoluzione climatica e socioeconomica degli ultimi decenni e, dunque, indicata come modello potenziale di rigenerazione post-sciistica di successo.

Ovvero, in parole semplici: uno dei centri accademici di studi sul turismo più importanti in Italia indica, nello specifico, i Piani di Artavaggio come caso virtuoso e emblematico di stazione ex sciistica riconvertita e rigenerata (come anche io con i coautori Sara Invernizzi e Ruggero Meles abbiamo raccontato sulla guida Dol dei Tre Signori, il cui itinerario escursionistico transita proprio da Artavaggio) e invece, purtroppo, gli amministratori locali vorrebbero riportarci lo sci costruendo impianti e infrastrutture conseguenti, degradando il luogo e la sua storia recente facendola andare al contrario come fosse ferma a sessant’anni fa.

Non solo: nel frattempo si sta diffondendo un significativo fenomeno, lungo le Alpi italiane, attestato da numerosi articoli degli organi di informazione. Molte località sciistiche, o ex-sciistiche, che per un motivo o per l’altro non hanno aperto gli impianti di sci (per problemi finanziari delle società a cui fanno capo, assenza di concessioni, mancanza di gestori, eccetera) e per le quali tale chiusura è stata considerata da alcuni come «una catastrofe», «la morte della località», «la fine dell’economia locale» e via di questo passo, stanno invece vedendo un notevolissimo afflusso di gitanti, con parcheggi stracolmi, ristoranti e rifugi a pieno regime, scialpinisti e ciaspolatori un po’ ovunque, famiglie con bambini che si godono la sicurezza e la tranquillità di una gita sulla neve priva dei pericoli e dei disturbi che impianti e piste da sci inevitabilmente genererebbero, se aperti.

In pratica, dove un tempo si sciava e ora non più, e dove per questo qualcuno credeva ci sarebbe stato il “deserto”, c’è invece più gente di quando gli impianti erano funzionanti e più di altre località nelle quali i comprensori sciistici sono aperti. Cioè, sta accadendo quello che già da anni si constata ai Piani di Artavaggio, che dunque in tal senso risultano un modello turistico virtuoso (e profetico, appunto) divenuto col tempo esemplare per tante altre località montane rimaste senza impianti e piste da sci.

Ecco perché fin da quando è stato reso noto il progetto di “ritorno” dello sci ad Artavaggio e di costruzione dei relativi impianti e infrastrutture, ho subito affermato che era ed è una follia. Persino un prestigioso ente accademico di ricerca “forestiero”, ma che elabora studi scientifici per l’intero territorio montano italiano e non solo, ha ritenuto emblematico elevare la località valsassinese a esempio e modello, come detto: posto ciò, è veramente un gran peccato che gli amministratori locali non lo capiscano, non vedano e non percepiscano questa realtà. È un peccato che, come sembra, ignorino – o vogliano scientemente ignorare – il grande valore e il prestigio che Artavaggio si è costruita negli ultimi anni, e che invece minaccino di farla ritornare a essere un’anonima, banale, trascurabile stazione sciistica, che dilapiderebbe in breve tempo il patrimonio di consensi costruito negli anni e per giunta resterebbe a costante rischio di fallimento – economico, turistico, ambientale, culturale.

Mi piacerebbe moltissimo dirimere tali inquietudini e i relativi dubbi – che so hanno come me tanti altri frequentatori di Artavaggio e delle montagne della Valsassina. Perché, ribadisco, non c’è solo in gioco la mera questione “sci sì/sci no”, ma l’intero territorio e il suo buon nome, la storia virtuosa costruita negli ultimi anni, l’ambiente naturale e il paesaggio, l’apprezzamento di molti estimatori della sua bellezza e delle sue peculiarità, il suo futuro e quello della comunità residente. Bisogna proprio sperare che tutto questo lo vogliano finalmente comprendere, quelli che hanno nelle mani il destino di Artavaggio. Per il bene del luogo e di tutti.

Martedì, su “Valsassina News”

Nel mentre che qualcuno vorrebbe installare nella conca dei Piani di Artavaggio una nuova seggiovia per riportarvi lo sci su pista, come se la località fosse ferma agli anni Settanta, il CAST – Centro di Studi Avanzati del Turismo dell’Università di Bologna produce un report su “turismo, sostenibilità e sviluppo territoriale” e indica al riguardo tre modelli di sviluppo ritenuti per diverse ragioni esemplari: Allgäu in Germania per il turismo del wellness, Cervinia per lo sci su pista e la Valsassina per la differenziazione dell’offerta turistica, citando nello specifico i Piani di Artavaggio specializzati «in sci di fondo, ciaspolate e attrazioni per famiglie».

Posta una tale prestigiosa attestazione accademica, la cui importanza emblematica è inutile rimarcare, la domanda che da mesi tutti (o quasi) si pongono diventa ancora più pressante: perché ricostruire seggiovie e riportare lo sci su pista a Artavaggio?

Ho espresso le mie considerazioni al riguardo in un articolo pubblicato martedì scorso, 21 febbraio, su “Valsassina News”, la cui redazione ringrazio di cuore per l’attenzione e lo spazio dedicatomi. Cliccate sull’immagine qui sopra per leggerlo.

Una petizione per salvare i Piani di Artavaggio

È un’iniziativa interessante e alquanto significativa, quella di «un gruppo di ventenni» del quale si fa promotore Francesco Stefanoni lanciando una petizione su Change.org (https://chng.it/NYwxVC8N22) per la salvezza dei Piani di Artavaggio dai progetti di “sviluppo turistico” dei quali ho già scritto numerose volte, sul web e sui media locali – e della quale ha scritto Marta Colombo su “La Provincia di Lecco” venerdì 3 febbraio. Importante perché rappresenta un ulteriore strumento di espressione della volontà di salvaguardia di un luogo di bellezza e storia peculiari, divenuto negli anni recenti un modello turistico citato e ammirato (scriverò a breve di ciò), che si vorrebbe degradare e banalizzare riportandovi lo sci su pista, nonostante la realtà climatica e economica che stiamo vivendo. Ed è del tutto evidente che la questione non sta nella “forma”, ovvero nella seggiovia piccola/grande o breve/lunga o quant’altro sulla quale si concentra buona parte del dibattito, ma sta nella sostanza culturale di una località che proprio grazie alla fine dell’epoca sciistica, che ad Artavaggio è stata importante ma si è inevitabilmente chiusa già a fine anni Novanta, ha saputo costruirsi un’immagine turistica e una valenza paesaggistica che, ribadisco, sono divenuti un modello ammirato e preso a esempio altrove nonché raccontato su numerosi testi – dalla guida Dol dei Tre Signori, della quale sono uno degli autori, fino al recente Inverno Liquido, volume che illustra i tanti casi di località ex sciistiche delle Alpi che hanno intrapreso un percorso di rinascita turistica più o meno di successo. Una sostanza culturale, ovvero un senso del luogo che evidentemente gli amministratori locali continuano a non capire, restando immobili sulle loro idee di “quantità” e ignorando la qualità (in senso negativo) degli effetti del loro progetto.

[Immagine tratta da familyplanet.it.]
Ma il lancio della petizione su Change,org è anche un’iniziativa altamente significativa perché viene dai giovani, da coloro i quali stanno per ereditare una montagna che nonostante la realtà di fatto viene ancora sottoposta a interventi del tutto irrazionali, fuori contesto, dannosi, funzionali a interessi che poco o nulla hanno a che vedere con la salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio – elemento fondamentale per la vitalità futura dei monti – e nemmeno con le necessità quotidiane della comunità residente, che da progetti del genere in fin dei conti ha solo da perderci. Il risultato di tutto ciò sarebbe la creazione di una banalissima stazione sciistica che non potrà mai competere con altre vicine e lontane e mostrarsi attrattiva, il degrado di un paesaggio che nel tempo è diventato sinonimo di bellezza montana prealpina e la permanente carenza di risposte alle richieste riguardanti servizi basilari che necessitano a una comunità residente in montagna per restarci a vivere nel modo migliore e più confortevole.

[Immagine tratta da montagnelagodicomo.it.]
Per tutto ciò vi invito caldamente a firmare la petizione “Salviamo i Piani di Artavaggio”, che trovate qui: https://chng.it/NYwxVC8N22. Artavaggio è un modello di rinascita turistica emblematico, apprezzato, lodato, un luogo che può fare da potente traino alla frequentazione turistica consapevole e sostenibile delle montagne valsassinesi ancor più di quanto abbia fatto finora (come conferma lo stesso sindaco di Moggio nel finale dell’articolo de “La Provincia di Lecco”, quando cita i parcheggi della funivia che sale a Artavaggio sempre pieni nei fine settimana, sostanzialmente contraddicendo il senso del progetto che vorrebbe imporre). Dunque perché rovinarlo?

“Sci e neve” in Valsassina, tra sopravvivenze e sbeffeggi

(Testo pubblicato anche sulle testate locali “Valsassina News, “Lecco News”, “Leccoonline” “Valbiandino.net”.)

La recente campagna “Sci e Neve 2023” promossa dalla rete di imprese “Montagne del Lago di Como” e presentata come un progetto «per trasformare la Valsassina in destinazione turistica invernale per visitatori da ogni angolo d’Italia e d’Europa», come hanno scritto alcuni media al riguardo, sui social media è stata ampiamente e inesorabilmente sbeffeggiata: pensare di “trasformare” nel modo descritto una zona prealpina come la Valsassina nella quale resiste un solo comprensorio sciistico relativamente limitato e a quote che non offrono più garanzie di neve certa e condizioni termiche ottimali per lo sci – i Piani di Bobbio, coi suoi pregi e i suoi difetti – mentre tutti gli altri un tempo attivi hanno chiuso per ragioni climatiche e economiche, effettivamente fa scattare immediati e inevitabili sorrisi, appunto. Di contro il tentativo promozionale messo in atto, seppur apparentemente maldestro, se mi immedesimo nei suoi promotori lo posso capire e per certi versi anche apprezzare: è una sorta di ultima chance (o quasi) per cercare di salvare il salvabile, sfruttando forse l’unico vantaggio reale della Valsassina turistica ovvero l’essere a un’ora di auto da Milano e dalla sua attrattività turistica cosmopolita, e nella consapevolezza – che io credo sia presente, nei promotori della campagna – che se la realtà climatica evolverà come tutti i report scientifici prevedono, lo sci in Valsassina diventerà la memoria di un passato bellissimo e purtroppo diversissimo dal presente. D’altro canto quello che se ne ricava, da una campagna del genere, e che è stato uno dei bersagli principali del sarcasmo sui social, è proprio l’apparente scollamento dalla realtà effettiva delle cose locali, che pare totalmente mutuato da quello, per certi versi ben più grave, dimostrato da certa politica locale al riguardo e in generale nella gestione amministrativa dei territori montani in chiave turistica. Col risultato, per la campagna e per i suoi promotori, di ottenere l’effetto contrario rispetto a quello sperato e deprimere la realtà valsassinese invece di sostenerla, oltre che di sprecare risorse preziose in iniziative a rischio di fallimento troppo alto – anche loro malgrado, ribadisco.

Insomma: leggere una campagna del genere è un po’ come sentire i musicanti dell’orchestra del Titanic che invitano a continuare le danze quando la nave sta cominciando a inclinarsi e a inabissarsi. Comprensibile per certi (pochi) versi, insensato per altri. Certo, la speranza che la nave resista e rimanga a galla c’è sempre, anche se i report climatici e quelli economici appaiono veramente come lo squarcio nello scafo che inesorabilmente imbarca acqua. Bisogna capire se l’orchestra persisterà a suonare e a pretendere che si danzi fino a quando la nave sarà colata a picco oppure se prima o poi – meglio prima che poi, ovviamente – si deciderà a contribuire attivamente al salvataggio della nave e soprattutto dei suoi occupanti.

Anche perché, metafore navali a parte, la Valsassina è una terra dotata di innumerevoli meravigliose peculiarità e altrettante potenzialità di frequentazione turistica virtuose e proficue per l’intero suo territorio. Non è solo una mera questione “sci sì/sci no” (e le “spade tratte” a difesa dell’una o dell’altra opzione non servono a nulla) ma di progettare e programmare in modo strutturato, sistematico e sviluppato nel lungo periodo un futuro che possa equilibrare e sviluppare tutte quelle potenzialità in modo sostenibile innanzi tutto a favore delle comunità residenti e poi, in forza di una relazione reciprocamente vantaggiosa, di qualsiasi visitatore che giunga in valle. Senza dubbio è un lavoro lungo e non semplice ma necessario, direi ormai vitale, la cui difficoltà tuttavia è inversamente proporzionale alla volontà di sviluppare il territorio con effettivi buon senso, razionalità, coerenza e contestualità – nonché con un marketing altrettanto contestuale e ben centrato su un’autentica ed eclettica valorizzazione della valle. Ovvero, in poche parole: se c’è la buona volontà per fare ciò, tutto sarà più semplice e parimenti proficuo per chiunque. E speriamo da subito che possa essere veramente così.