La neve artificiale è bella! Oppure no?

In questi giorni circola sulle pagine social di molti comprensori sciistici (vedi sopra, tra i tanti che si possono trovare sul web) un post, che altrove è un vero e proprio “spot”, con il quale si esalta l’innevamento programmato (cioè la neve tecnica, più comunemente definita neve artificiale), ma che a ben vedere appare come un tentativo piuttosto maldestro di giustificare in chiave ecologica una pratica meramente economica dagli impatti ambientali inequivocabili. Una sorta di green washing in salsa sciistica, in buona sostanza. Be’, sarebbe molto più onesto e in fondo ammissibile, da parte dei comprensori sciistici, se piuttosto di spendere tante belle parole nel tentativo di giustificare l’ingiustificabile dicessero chiaramente: cari amici, sciatori e non, se non avessimo la neve artificiale con tutti i suoi impianti saremmo nella m**da e falliremmo in breve tempo. Amen.

Sarebbe più onesto e onorevole, appunto. Poi si potrebbe essere d’accordo o meno, ma almeno verrebbe evitata l’ipocrisia di fondo che invece traspare da certe dichiarazioni pubbliche come quella qui disquisita.

Ma, a tale proposito: analizziamo quel post dei comprensori sciistici con un poco più di attenzione.

Lo sci alpino è il volano dell’intera economia turistica montana invernale. Un settore che comprende 400 aziende, genera 1,5 miliardi di fatturato, 2,2 miliardi di immobilizzi e impiega 15.000 persone di cui un terzo a tempo indeterminato. Un settore che ha un indotto – ristorazione, attività ricettive, maestri di sci, negozi, noleggi, etc. – che moltiplica questo fatturato per 10 volte e i lavoratori coinvolti per 5.

Be’, questi sono dati che di frequente vengono esaltati dai comprensori sciistici, ma dei quali mai viene comunicata la fonte e/o il sistema di calcolo. Ciò non significa che non siano veritieri, tuttavia comporta che presentati in questo modo non dimostrano nulla, per giunta risultando contraddittori rispetto alla realtà socioeconomica effettiva di molti territori montani sciistici. Inoltre: siamo sicuri che veramente lo sci alpino è il volano dell’intera economia turistica montana invernale? Le analisi sui flussi turistici montani dicono cose molto diverse, in realtà.

Per fare neve:
– si usa solo acqua, aria ed energia elettrica;
– l’acqua viene prelevata tra novembre e dicembre e viene reimmessa poi nell’ambiente a fine stagione, a primavera, quando anche l’agricoltura ne ha più necessità;
– l’innevamento programmato ha vissuto negli ultimi anni uno sviluppo tecnologico costante che ne ha migliorato l’efficienza: oggi, a parità di acqua ed energia utilizzati, si produce quasi 10 volte la quantità di neve che si produceva 10 anni fa. E se ne produce solo la quantità minima necessaria.

Queste affermazioni sono effettive ma non obiettive. È vero che non vi sono più additivi chimici negli impianti come un tempo poteva succedere, ma sostenere che prelevare acqua a novembre e renderla a primavera non sia un danno è falsissimo: innanzi tutto comunque si toglie acqua al bilancio naturale del reticolo idrico locale del quale la popolazione usufruisce, e di norma nelle Alpi i mesi tra novembre e febbraio sono quelli con meno precipitazioni (clic) su base annuale, inoltre i cicli vegetativi naturali certamente rallentano nel periodo freddo ma non è che per questo non abbisogno di acqua per mantenersi stabili (qui trovate un’altra utile fonte al riguardo). D’altro canto l’agricoltura ai piedi delle montagne inizia in molti casi i cicli di irrigazione ben prima della fine stagione sciistica. Non solo: a differenza di quella naturale la neve artificiale induce modifiche chimico-fisiche nei terreni innevati, soprattutto in forza della maggiore densità, modificando di conseguenza anche le peculiarità vegetative di quei terreni: una mutazione che allo sciatore non interessa ma a chi fruisce dei prati/piste da sci per l’attività agricola deve interessare molto. È vero che gli impianti di innevamento più recenti sono più efficienti rispetto al passato, ma ciò non significa che non siano comunque pesantemente energivori, posto poi che la «quantità minima necessaria» di neve da sparare sulle piste con gli anni va sempre aumentando, al pari di quella complessiva nel corso dell’intera stagione, perché con il cambiamento climatico diminuisce sempre più la neve naturale, sia in termini di quantità che di durata al suolo. E con quali costi esorbitanti poi si produce oggi la neve artificiale? La risposta la trovare in buona parte negli aumenti costanti dei prezzi degli skipass!

Gli impianti di risalita:
– sono ecologici, usano trazione elettrica;
– non sono invasivi: se dopo qualche decennio di servizio si decide per qualsiasi ragione di chiuderli, il bosco in pochi anni riconquista naturalmente quello spazio;
– rappresentano un reale e concreto servizio di mobilità intervallivo, diminuendo drasticamente il traffico automobilistico, anche nella stagione estiva, per raggiungere le alte vie e programmare passeggiate, escursioni, scalate;
– rappresentano per i residenti, turisti e visitatori un concreto miglioramento infrastrutturale per limitare importanti flussi di traffico su gomma.

Anche qui, attraverso affermazioni reali ma rese funzionali a scopi particolari – ovviamente quelli degli impiantisti -, si cerca di giustificare l’attività sciistica con elementi oggettivamente marginali rispetto alla stessa e al suo impatto concreto nei territori, se non fuorvianti. Perché è sostanzialmente vero quello che viene dichiarato, tuttavia l’ecologicità e l’invasività degli impianti di risalita non si misura solo con il tipo di energia utilizzata, ma per come viene prodotta, sull’impatto ambientale nel territorio dell’infrastruttura, su quello visivo e sonoro nel paesaggio, su eventuali forme di inquinamento locale e del suolo derivanti dall’attività dell’impianto, dalle necessità manutentive… insomma, non si può farla troppo semplice. E quante centinaia di rottami di impianti non più attivi sono sparsi sulle montagne italiane che nessuno ha cura di smantellare bonificando di conseguenza il terreno coinvolto? Proseguiamo: che rappresentino un reale e concreto servizio di mobilità intervallivo che diminuisce il traffico automobilistico e limita importanti flussi di traffico su gomma è effettivamente una delle maggiori potenzialità degli impianti di risalita nei periodi non sciistici. Ma in quanti casi ciò avviene veramente? Quanti sono i territori che realmente potrebbero sfruttare tale potenzialità? E quanti di quelli che la potrebbero sfruttare la incentivano come dovrebbero in un’ottica veramente funzionale alla diminuzione del traffico automobilistico? L’unico territorio delle Alpi italiane nel quale la potenzialità degli impianti di risalita alternativi al traffico automobilistico risulta considerabilmente sfruttabile è quello delle Dolomiti: tuttavia, al netto di alcune iniziative certamente virtuose ma occasionali (come la chiusura in alcune giornate dei passi dolomitici) e di molte belle parole, non sembra che ci sia una reale volontà di sostituire le auto con le funivie e le telecabine, anzi.

Insomma, quelli dei comprensori sciistici sono un post e uno spot sostanzialmente poco credibili, oltre che piuttosto ipocriti.

Attenzione: con ciò non si vuole dar contro “dritti per dritti” all’industria dello sci, che è legittimata a fare ciò crede per salvaguardare il proprio business fino a che le sue azioni non vadano oltre la sostenibilità, in senso generale e non solo ambientale, che i territori montani dove operano possono sopportare e ammettere. Ma molta parte del marketing elaborato e messo in circolazione negli ultimi tempi dall’industria dello sci si è rivelato e si rivela così poco onesto, obiettivo e così spesso subdolo da minare la credibilità non solo del comparto turistico invernale ma della stessa realtà montana nel suo complesso. Un comparto che ad oggi resta indiscutibilmente fondamentale – anche per oggettiva mancanza di alternative turistiche e relative progettualità – per molti territori montani, ma che per questo non può e non deve esimersi dal risultare il più sostenibile possibile, e in qualsiasi modo il termine trova un senso (vero, non blaterato come spesso accade), nei riguardi delle montagne dove opera, delle comunità che le abitano, delle molteplici valenze storico-culturali che le caratterizza, dei loro paesaggi e dell’ecosistema generale che dà loro vitalità. Ecco, da questo ineludibile punto di vista, a mio parere, l’innevamento programmato può essere qualcosa di funzionale a certi obiettivi economici locali ma non si può considerare un’attività ecologica – e si noti che il termine indica lo studio e la gestione equilibrata della “casa comune”: dal greco oikos (dal quale viene eco-) che significa casa, appunto, e anche ambiente. Dunque, affermare come sto facendo che l’innevamento programmato non si può considerare un’attività ecologica significa anche che non lo è nemmeno a beneficio di chi abita la “casa comune” e “l’ambiente”, dunque delle comunità che abitano le montagne sciistiche.

A meno di voler far credere e giustificare ciò che non è credibile né giustificabile, già.

SONDAGGIO! La neve artificiale in Svizzera e in Italia

Cari amici, vi propongo di seguito un bel SONDAGGIO(NE)!

Leggete la domanda di seguito formulata e scegliete la risposta che ritenete più corretta:

Secondo voi, perché in Svizzera gli enti governativi disincentivano la realizzazione e il finanziamento di impianti di innevamento artificiale dei comprensori sciistici soprattutto al di sotto dei 2000 m di quota mentre in Italia la politica locale continua a stanziare centinaia di milioni di soldi pubblici per realizzare tali impianti soprattutto in comprensori sciistici al di sotto dei 2000 m di quota?

 

  1. Perché notoriamente gli svizzeri non capiscono nulla di montagne mentre gli italiani capiscono molto di più.
  2. Perché notoriamente gli svizzeri capiscono molto di montagne mentre gli italiani da tempo non capiscono più nulla.
  3. Perché c’è un equivoco di fondo: in Italia si è convinti di dover aver bisogno di sempre più «neve», solo che non si tratta della “neve” che è «acqua ghiacciata cristallina».
  4. Perché è tutto un magna-magna.

Forza, manifestate la vostra opinione!

Tra chi risponderà verrà estratto a sorte uno stagionale per la stagione 2024/2025 valido nel comprensorio sciistico dei Piani Resinelli (Lecco) oppure, in alternativa, una bottiglia di ottima birra artigianale! 😄

Fioccano milioni di Euro sulle stazioni sciistiche. Per farci cosa?

[Le piste di Ceresola, nel comprensorio dei Piani di Bobbio, ieri 26 dicembre alle ore 16.00. Qui arrivano 10 milioni di Euro. Immagine presa da qui: https://pianidibobbio.panomax.com/ceresola.%5D
C’è proprio da essere curiosi di constatare come verrà spesa la montagna di soldi che sta arrivando in molte località sciistiche – lombarde ma non solo, immagino – della quale si è letto sui media nei giorni scorsi (ad esempio qui). Una curiosità che alimenta lo stesso Sottosegretario Sport e Giovani di Regione Lombardia nell’annunciare la notizia: «Sono certa che queste risorse verranno investite al meglio, nel rispetto della montagna e per dare ai numerosi appassionati i servizi migliori». Be’, più che «nel rispetto della montagna», in quello dei bilanci dei gestori dei comprensori sciistici destinatari dei finanziamenti (traggo l’elenco dallo stesso articolo lì sopra linkato):

  • I.T.B. Industrie Turistiche Barziesi (Piani di Bobbio – LC) per 10 Milioni di €;
  • Baradello 2000 (Aprica e Corteno Golgi – SO e) per circa 1,6 Milioni di €;
  • I.T. Società Impianti Turistici (Ponte di Legno – BS) per 10 Milioni di €;
  • R.T.A. (Monte Pora – BG) per 2.392.000 Milioni di €;
  • I.T.A.S. Società Impianti Turistici e Attrezzature Sportive (Livigno – SO) per 7.727.000 Milioni di €;
  • BELMONT Foppolo (Foppolo – BG) per 2.715.000 Milioni di €;
  • SKI AREA VALCHIAVENNA (Madesimo – SO) per 431.871 mila €;
  • RI.S Impianti di Risalita Spiazzi (Spiazzi di Gromo – BG) per 6.628.000 Milioni di €;
  • SITA Società Industrie Turistiche Aprica (Aprica – SO) per 9.066.930 Milioni di €;

Sapranno costoro investire queste risorse al meglio, come se ne dice certa la citata Sottosegretario, ovvero: cosa sarà il “meglio” per i destinatari delle risorse? Pagarsi le spese dell’innevamento artificiale indispensabile per tenere aperte le piste da sci (come afferma lo stesso Sottosegretario)? Coprire i buchi nei bilanci che se la stagione in corso non diventerà nivologicamente e climaticamente più favorevole si allargheranno ulteriormente? (Interessante notare che alcuni dei comprensori lì sopra citati e finanziati in questi giorni hanno le piste chiuse o grosse difficoltà a mantenerle aperte per mancanza di neve e di condizioni climatiche idonee.) Investire in nuovi impianti di risalita e altre infrastrutture al servizio dello sci, nonostante quanto ho appena denotato riguardo la realtà ambientale in divenire? (Altrettanto interessante rimarcare che quasi tutti i comprensori finanziati hanno le piste per la gran parte situate sotto i 2000 m di quota, sotto la quale praticare lo sci sta diventando sempre più difficile e economicamente insostenibile.)

[Le piste del Monte Pora, sempre ieri 26 dicembre alle ore 15.50. Qui arrivano quasi 2,4 milioni di Euro. L’immagine è presa da qui: https://montepora.panomax.com/cimapora.%5D
Insomma, non si può che essere veramente curiosi e augurarsi che le “certezze” al riguardo del Sottosegretario siano condivisibili, ecco.

[Le piste dell’Aprica oggi, 27 dicembre alle ore 07.20. Qui arrivano quasi 11 milioni di Euro. Immagine presa da qui: https://www.apricaonline.com/it/webcam.%5D
Nota finale: come ho già affermato in passato, è “curioso” pure constatare come a fronte di così tanti soldi pubblici elargiti ai gestori dei comprensori sciistici «nel rispetto della montagna» non si riscontra un similare entusiasmo politico, amministrativo e finanziario verso iniziative concrete che sostengano direttamente la quotidianità delle genti che abitano la montagna. Ci sono così tanti soldi per le piste da sci o per le ciclovie e il turismo in generale e non ci sono per i servizi di base, la sanità territoriale, i trasporti pubblici, le scuole, la cultura, la manutenzione stradale e dei manufatti pubblici, i supporti necessari allo sviluppo dell’imprenditoria delle economie circolari locali… possibile?

Speriamo che chi di dovere sappia soddisfare anche quest’ultima fondamentale curiosità.

Sarà un Natale nuovamente desolante, per molte stazioni sciistiche?

[Piani di Bobbio, Valsassina, Prealpi bergamasche occidentali. Fonte dell’immagine qui.]
Nelle stazioni sciistiche delle Prealpi lombarde la situazione è già drammatica. Le precoci nevicate novembrine facevano ben sperare i gestori in una stagione “normale” se non brillante, ma la realtà climatica attuale ci sta già facendo capire, di nuovo, che oggi la “normalità” è tutt’altra cosa rispetto a ciò che ancora qualcuno pensa.

La neve autunnale sta ormai sparendo, le temperature alte non permettono di sparare quella artificiale e di precipitazioni degne della stagione in cui stiamo non se ne prevedono a breve. Mancano pochi giorni alle festività di fine anno, il periodo nel quale i comprensori sciistici “fanno” buona parte del loro bilancio: se in forza delle condizioni meteoclimatiche in corso dovessero toppare questo periodo, temo che potrebbero già dichiarare la stagione fallimentare.

[Piani di Bobbio. Fonte dell’immagine qui.]
Ovviamente, a chi si interessa della realtà delle nostre montagne questo stato di fatto non suona affatto nuovo, anzi. È la nuova normalità, appunto, soprattutto al di sotto dei 2000 m di quota, fascia altitudinale nella quale si situano buona parte degli impianti e delle piste da sci lombarde e non solo, che a breve perderà del tutto, inesorabilmente, la sua prerogativa sciistica.

Nonostante tale realtà ormai sotto gli occhi di tutti, si continua a leggere sui media di finanziamenti pubblici milionari – soldi nostri, è bene non dimenticarlo – per nuovi impianti o per rilanciare vecchi comprensori, per l’innevamento artificiale e per altre varie infrastrutture sciistiche (ad esempio ciò accade nelle località le cui immagini vedete in questo articolo). Un vero e proprio analfabetismo funzionale che gli enti pubblici manifestano, come se quella realtà che osservano (a meno di gravi problemi alla vista) non la sapessero comprendere, come se non volessero credere ai propri occhi negando platealmente l’evidenza dei fatti. Ma, bisogna rimarcarlo, quasi sempre essendo consapevoli di ciò e praticandolo per scelta, ovvero per inseguire interessi e tornaconti personali di varia natura in barba a ogni logica e obiettività.

[Monte Pora, Val Seriana, Prealpi Bergamasche Orientali. Fonte dell’immagine qui.]
Stamane, uscendo di casa alle 6 e 30, mi ha investito un vento teso che pareva il getto d’aria di un potente ventilatore riscaldante. Scendendo a valle ho osservato le montagne intorno al lago di Como e verso la Svizzera, fino a qualche giorno fa bianche di neve, ormai del tutto grigie. Il Sole radente del mattino, quando sorge, ne rischiara il lividore plumbeo dei pendii accentuando la desolante percezione della loro miseria nivale.

Le montagne, ovvero buona parte dei loro territori, devono finalmente e pienamente comprendere la realtà che purtroppo stanno vivendo, la quale non farà che peggiorare nei prossimi anni così come sta facendo da decenni a questa parte. Continuare come se nulla fosse significa scavarsi la fossa sotto i propri piedi e farci finire dentro innanzi tutto le comunità che quelle montagne abitano. Gli sciatori qualche pista innevata per divertirsi la troveranno altrove, su montagne più elevate e climaticamente fortunate, ai montanari invece tocca restare lì dove vivono e subire le conseguenze di tutto ciò che sta accadendo. Devono rimarcarlo a chi ha il diritto elettorale e il dovere politico di gestire i loro territori, ovvero la responsabilità di dettarne le sorti nel presente ma ben più nel futuro prossimo – che è già domani, mica tra cinquant’anni. Se non lo sapranno o non lo vorranno fare, quei soggetti governanti dovranno subirne tutte le conseguenze politiche, morali, giuridiche. Inesorabilmente.

[Passo del Maniva, Valtrompia, Prealpi Bresciane. Fonte dell’immagine qui.]
[Piazzatorre, Val Brembana, Prealpi bergamasche. Fonte dell’immagine qui.]
N.B.: tutte le immagini che vedete sono della mattina di oggi, 22 dicembre, còlte intorno alle 09.30, e vi danno un quadro geograficamente ampio della situazione sulle piste prealpine lombarde. In particolare, della situazione alla Maniva scrive anche l’amico Emanuele Galesi sulla propria pagina Facebook, qui.

(Non) capire lo sci

In effetti posso (tentare di) capire la sensazione vivida di “accerchiamento” che percepiscono i gestori dei comprensori sciistici, per come sugli organi di informazione, da fonti diverse e con frequenza sempre maggiore, si possono leggere e sentire articoli o servizi che raccontano della crisi sempre più profonda nella quale stanno scivolando i suddetti comprensori sciistici e di come risulti oltremodo necessario ripensare il turismo montano invernale, posta innanzi tutto la realtà climatica in divenire ma non solo per questo (uno dei quali è quello de “Il Post” del 9 febbraio 2023 che vedete qui sotto: cliccate sull’immagine per leggerlo). Accerchiamento al quale gli impiantisti reagiscono con rabbia sempre meno malcelata, accusando chi sostiene il bisogno di ripensare il turismo invernale (anche) di voler mandare al fallimento le società di gestione degli impianti di sci e così di creare migliaia di disoccupati e rilanciando ossessivamente l’idea che senza lo sci la montagna e la sua economia morirebbero.

Lo posso “concepire”, quel loro atteggiamento, perché posso immaginare come sempre più gli impiantisti sentano venir meno la terra da sotto i piedi o, per meglio dire, la neve da sotto i piedi, proprio per i cambiamenti climatici in atto, e ciò generi loro un panico difficilmente represso. Ma se è concepibile e immaginabile, la loro posizione, non è d’altro canto affatto comprensibile. Il panico che si intravede dietro le suddette reazioni irose – che purtroppo non di rado sfociano in atteggiamenti da negazionismo climatico – è a ben vedere per gran parte colpa di loro stessi, e del loro essere rimasti sostanzialmente immobili rispetto a un’evoluzione sempre più problematica del clima sulle montagne che la scienza registra e prevede da decenni, la quale da tempo ha già causato la chiusura di numerose stazione sciistiche di bassa quota. L’unica reazione formulata da parte degli impiantisti, in pratica, è stata quella di aumentare sempre di più l’utilizzo della neve artificiale, salvando le piste da sci ma non i propri bilanci e pure qui con un crescendo drammatico, visti i costi attuali dell’energia e l’impatto sui patrimoni idrici locali, il che ha generato da un lato un circolo vizioso di continue elargizioni di soldi pubblici da parte dello stato e delle regioni e, dall’altro, di aumenti dei costi degli skipass insostenibili per molti: non a caso il numero di sciatori è in costante decremento da tempo, al netto delle fluttuazioni stagionali e dei casi particolari.

In fondo non lo si può capire, l’atteggiamento degli impiantisti, perché sono proprio loro a non capire la realtà dei fatti, come stanno andando le cose, come sarà il futuro prossimo (sperando che quello più lontano non si manifesti ancora peggiore di quanto oggi è prevedibile). Dal mio punto di vista il nocciolo della questione non è tanto l’essere a favore o contro lo sci su pista, ma è richiedere fermamente che, vista la realtà delle cose, lo sci su pista garantisca una sostenibilità ecologica e economica la più compiuta possibile evitando definitivamente di palesarsi per ciò che spesso oggi appare, ovvero un sistema di sfruttamento eccessivo e di degrado dei territori montani che non agevola affatto l’economia locale, anzi la danneggia proprio in forza della sua impronta sproporzionata avvantaggiando (temporaneamente e occasionalmente) solo chi è direttamente coinvolto nella gestione finanziaria dei comprensori.

Se gli impiantisti sapessero assicurare quanto sopra, e nel caso in cui i loro comprensori fossero posti oltre il limite dei 1800-2000 m che tutti i rapporti scientifici e climatici fissano come quello al di sotto del quale l’innevamento – né naturale e né artificiale, in forza delle temperature – non sarà più garantito, la loro attività sarebbe obiettivamente ammissibile e giustificabile. Per lo stesso principio di obiettività, i comprensori sciistici al di sotto di quelle quote e finanziariamente dipendenti dai contributi pubblici non è logico che possano restare in attività: dura quanto possa essere una verità del genere, non ci si può sfuggire ma può certamente diventare lo stimolo e il punto di partenza per un ripensamento della frequentazione turistica dei relativi territori ben più sostenibile, consona al luogo, contestuale alle caratteristiche climatiche, innovativa e, perché no, alla fine più redditizia di un’attività sciistica oltre modo esosa e totalmente dipendente dalle variabili meteorologiche e del clima nonché più soddisfacente per il potenziale pubblico, che parimenti con maggior facilità potrebbe essere fidelizzato alla frequentazione del luogo proprio perché a sua volta reso meno dipendente da fattori esterni alle peculiarità turistiche locali.

D’altro canto, l’alternativa a tale ricontestulizzazione deli comprensori sciistici sostenibili e al ripensamento di quelli inesorabilmente destinati a cessare l’attività è solo l’incancrenimento dell’immobilismo a difesa degli impianti a far da prologo al definitivo fallimento non solo dei comprensori così mal gestiti ma di tutto il loro territorio montano, come una nave dallo scafo pieno di falle che mai sono state riparate e nemmeno ci si è voluto premunire di scialuppe di salvataggio, così che, quando rapidamente colerà a picco, vi saranno ben poche alternative alla conseguente fine.

Dunque, gli impiantisti in verità si dovrebbero certamente sentire “accerchiati” ma innanzi tutto da se stessi e dalle loro alienazioni turistico-imprenditoriali. Ed è un peccato che non capiscano (non vogliano capire) perché sempre più persone come me non comprendono il loro comportamento, ovvero non capiscono la realtà nella quale tutte le montagne, e tutti noi che le frequentiamo, stiamo dentro. L’augurio fervido è che sappiano farlo quanto prima, il tempo rimasto non è ormai molto ma solo in ottica sciistica: le montagne invece sono lì che attendono soltanto la nostra più consona, consapevole e sostenibile presenza, per il bene di chiunque le ami e ne voglia salvaguardare l’insuperabile e insostituibile bellezza.

(L’immagine in testa al post è di ©Mischa Heuer ed è tratta dalla pagina Facebook “Alto-Rilievo/voci di montagna”, qui. Ringrazio molto Pietro Lacasella, gestore della pagina, per la concessione e le info sull’immagine.)