La diffida contro i lavori al Lago Bianco: fermare la distruzione delle montagne si può, si deve!

«Il male non è soltanto di chi lo fa: è anche di chi, potendo impedire che lo si faccia, non lo impedisce.» Così ha scritto Tucidide ne La guerra del Peloponneso eternando un principio fondamentale per qualsiasi società veramente civile e progredita. Per i nostri territori, in primis per le montagne, il male oggi è rappresentato da quelle opere scriteriate che ne devastano l’ambiente e il paesaggio, considerati beni da consumare per ricavarci tornaconti a vantaggio di pochi e a danno di chiunque altro: proprio come sta accadendo in questi giorni al Lago Bianco del Passo di Gavia. E quel “chiunque altro” siamo tutti noi, dato che il territorio e il paesaggio sono un patrimonio comune che tutti abbiano il diritto di godere e il dovere di tutelare: per questo, come scrive Tucidide, chi di fronte a certe opere palesemente devastanti, oltre che manifestamente illegittime, mostra disinteresse e cinismo pur capendone la pericolosità, è esso stesso il male, ovvero è complice consapevole della devastazione.

Ma contrastare la dissennata prepotenza che promuove quelle opere non solo si deve: si può fare. Perché tale prepotenza è arrogante non solo nei confronti delle montagne e del paesaggio che pretende di consumare a piacimento ma pure degli ordinamenti legislativi vigenti e dei regolamenti di tutela ambientale, che crede di poter aggirare, derogare o semplicemente ignorare credendosi intoccabile. Invece no, non va affatto così se si ha veramente a cuore la salvaguardia delle montagne e del loro buon futuro, e se si manifesta la volontà di opporsi civicamente e culturalmente a quella prepotenza. Esattamente come sta facendo il comitato “Salviamo il Lago Bianco”, che ieri ha depositato la diffida formale a interrompere il cantiere per la posa delle tubature che trasformeranno il Lago Bianco da uno dei bacini naturali più belli e integri delle Alpi centrali a un mero serbatoio di alimentazione dell’impianto di innevamento artificiale delle piste da sci di Santa Caterina Valfurva, in piena area di massima tutela ambientale del Parco Nazionale dello Stelvio. La diffida è stata redatta dagli studi legali Dini e Saltalamacchia, specializzati in Diritto e Tutela dell’ambiente, è firmata da CAI Lombardia, Mountain Wilderness Italia, il Comitato Civico Ambiente di Merate ed il Comitato Attuare la Costituzione ed è indirizzata agli enti mandanti (mi viene inesorabilmente da usare questo termine) dei lavori al Gavia: Comune di Valfurva, Comune di Bormio, Parco Nazionale dello Stelvio, Provincia di Sondrio, Regione Lombardia, Ministero dell’Ambiente e Santa Caterina Impianti Spa. Sono 46 pagine – che potete leggere qui oppure cliccando sull’immagine qui sotto – in gran parte occupate dalle segnalazioni di illeciti ambientali, amministrativi e procedurali che palesano in maniera inequivocabile l’illegittimità assoluta dei lavori in corso, un atto d’accusa dettagliato e netto la cui conclusione è la seguente:

Alla luce dei fatti e delle contestazioni sollevate, il Comitato e le Associazioni scriventi, mio tramite
DIFFIDANO
Gli Enti e i soggetti in indirizzo a:

  • dare puntuale riscontro ai rilievi e alle contestazioni di cui alla presente diffida;
  • interrompere i lavori di cantiere attualmente in corso per la realizzazione del progetto relativo alla riqualificazione dell’impianto di innevamento artificiale, sito nella citata area protetta del Comune di Valfurva;
  • revocare in autotutela i provvedimenti ammnistrativi che autorizzano e/o assentono al progetto stesso.

Diversamente, comunico di aver già avuto mandato per procedere nei confronti dei responsabili, nelle sedi giudiziarie, anche ordinarie ed europee, competenti.

D’altro canto, la devastante e, mi sia consentito il termine, criminale illegittimità dei lavori in corso al Lago Bianco è palese fin dalle fotografie del cantiere, soprattutto quelle più recenti (quelle in testa al post sono del 3 ottobre), che testimoniano inequivocabilmente la devastazione del luogo, del suo habitat naturale, dell’ecosistema locale, del paesaggio. Il tutto, ribadisco, nel bel mezzo di un’area sottoposta a massima tutela ambientale del Parco Nazionale dello Stelvio il quale, se possibile, risulta il soggetto più moralmente colpevole e per questo più riprovevole, anche per come stia dimostrando di non essere assolutamente in grado di “fare” il Parco Nazionale e di tutelare il proprio territorio.

Ma torno a ribadire con forza il punto di tutto ciò: contrastare la “casta” dei soggetti politici e dei loro sodali che consumano e distruggono le montagne per ricavarne tornaconti particolari, si può e si deve. Sovente, purtroppo, tocca farlo tramite vie legali – un altro “triste” aspetto che dimostra quanto l’Italia sia arretrata in tema di salvaguardia del proprio patrimonio naturale e paesaggistico, la cui integrità si è costretti a difendere grazie a dei bravi avvocati e non in forza del senso civico e della sensibilità ambientale diffusa – ma lo si può fare e lo si deve fare. Per non essere complici della devastazione innanzi tutto – Tucidide docet – e perché i nostri territori, montani o no, sono un patrimonio comune di inestimabile valore tutelato dalla Costituzione la cui bellezza non si può lasciare nelle mani di personaggi così privi di cura, di competenza, di capacità amministrative e politiche, di visioni e di attenzione verso il mondo che tutti quanti insieme viviamo e che potremo continuare a vivere al meglio solo se sapremo mantenere con esso il più armonioso equilibrio.

Dunque, lunga vita al Lago Bianco e grazie di cuore a chiunque sosterrà questa battaglia di civiltà rifiutando di stare dalla parte del male ovvero restando dalla parte di chi fa e farà il bene delle nostre montagne.

P.S.: tra i tanti organi di informazione che lo hanno fatto, il “Giornale di Brescia” ha dedicato alla presentazione della diffida un ottimo articolo che ripercorre un po’ tutta la vicenda dei lavori al Lago Bianco, tornando utile a chi voglia ricostruirla per capirla meglio. Per restare invece aggiornati in tempo reale sulla situazione, ecco qui:

P.S.#2: qui invece trovate tutti gli articoli che ho dedicato alla questione del Lago Bianco al Passo di Gavia.

Alberto Paleari, “Narratori delle montagne”

Vi sono delle particolari zone di montagna che potrebbero essere identificate, oltre che dalle rispettive caratteristiche geografiche e antropiche, anche da una specifica figura di autore letterario che, scrivendone nei propri libri e facendone il soggetto geografico principale delle storie narrate, è diventato o diviene per esse il principale “cantore”. Penso ad esempio alla Surselva e a Arno Camenisch, all’Engadina e a Oscar Peer, e penso ormai anche alle montagne del Lago Maggiore e a Alberto Paleari, che da tempo le ha rese protagoniste di molti dei suoi scritti e, ancor più – o, per meglio dire, in quanto – luogo di vita e di vagabondaggi vari e assortiti. Proprio come si può leggere in Narratori delle montagne (Monterosa Edizioni, Verbania, 2023) ultima sua fatica letteraria (e camminatoria, è proprio il caso di dire!) nella quale la relazione che Paleari ha intessuto con questa regione delle Alpi tra Italia e Svizzera, geograficamente assai articolata, che fa da quinta montana al bacino settentrionale del Verbano – dal Mottarone in su e fino a Locarno, per intenderci – diventa manifesta e a sua volta assai articolata, costruita su un palinsesto di diverse percezioni sensoriali e elaborazioni culturali che agevolano a Paleari la creazione del personale paesaggio interiore, riflesso e sviluppo di quello esteriore, la cui presenza nell’intimo segnala la concretezza della relazione con i luoghi vissuti, esplorati e raccontati.

Detto ciò, Narratori delle montagne è parimenti un libro narrativamente “articolato”, innanzi tutto per come rappresenta un compendio di due testi apparentemente diversi nella forma ma assai simili, per non dire complementari e conseguenti, nella sostanza []

(Potete leggere la recensione completa di Narratori delle montagne cliccando sulla copertina del libro lì sopra, oppure visitate la pagina del blog dedicata alle recensioni librarie. Buona lettura!)

Di là il Parco Nazionale Svizzero, di qua il Parco Nazionale dello Stelvio. E si vede.

[Ciò che succede nel Parco Nazionale Svizzero. Cliccateci sopra per saperne di più.]
Mentre il Parco Nazionale Svizzero – la più grande riserva naturale del paese, istituita ufficialmente nel 1914 con i più alti standard di protezione e di ricerca sugli habitat naturali montani – attira delegazioni dall’estero che vengono a raccogliere informazioni e esperienze su come si possono promuovere ed eventualmente combinare il turismo sostenibile e la tutela della biodiversità nelle riserve naturali dei propri paesi, al di qua del confine, nel contiguo settore lombardo del Parco Nazionale dello Stelvio, si può constatare concretamente e “imparare” non solo come non si tutela un’area naturale montana ma pure come la si può distruggere con l’autorizzazione e il bene placito delle istituzioni politiche nonché, soprattutto, con la consensuale indifferenza dello stesso Parco Nazionale.

[Ciò che succede nel Parco Nazionale dello Stelvio. Cliccateci sopra per saperne di più.]
Si rimarca spesso che le montagne da sempre non dividono ma uniscono: territori, paesaggi, genti, culture, tradizioni, saperi… ma in certi disgraziati casi invece è vero che dividono: tra Grigioni e Lombardia, nelle rispettive e, ripeto, contigue aree naturali protette, da una parte si trova competenza, cura, capacità di gestione, visione, idoneo supporto politico, dall’altra si constata incompetenza, menefreghismo, incapacità gestionale, assenza di visione e progettualità ambientale, azione politica deleteria. E riguardo questa seconda parte, quella lombarda del Parco Nazionale dello Stelvio, ciò che sta accadendo al Lago Bianco del Passo di Gavia è tra le prove più emblematiche e inquietanti.

Una divisione netta, una differenza di relazione con il territorio e di gestione delle proprie montagne radicale e sconcertante. Di là, nei Grigioni, ammirazione; di qua, in Lombardia, vergogna.

Il Ghiacciaio di Fellaria, un “palcoscenico del tempo” dal quale la montagna racconta la propria storia

[Il Ghiacciaio orientale di Fellaria e il suo lago proglaciale, domenica 24 settembre 2023.]
Visitare la fronte del Ghiacciaio di Fellaria, in Valmalenco, è un po’ come affacciarsi su una sorta di “palcoscenico del tempo” sul quale la montagna racconta sé stessa attraverso un palinsesto diacronico, cioè con una narrazione che sovrappone i diversi momenti temporali che hanno caratterizzato il luogo e ne stanno contrassegnando il prossimo futuro.

Mi spiego: il grande ghiacciaio, nonostante il suo stato di notevole sofferenza e di ingente fusione, permette ancora di immaginare come fosse la zona solo qualche decina di anni fa, quando buona parte del territorio attraversato dal sentiero glaciologico Marson che si percorre per giungere al lago proglaciale era sepolto sotto decine di metri di ghiaccio e le due fronti del Fellaria, l’orientale e l’occidentale confluivano ancora l’una nell’altra – negli anni Quaranta del Novecento, in pratica; dunque grazie a tali percezioni si può supporre come fosse la zona in tempi ancora più antichi, quand’era totalmente glacializzata e dalla superficie del ghiacciaio spuntavano solo le sommità montuose più elevate del territorio mentre la lingua glaciale scendeva verso il fondovalle e raggiungeva la piana di Gera, oggi sommersa dalle acque dell’omonimo lago artificiale. Per non parlare poi dei millenni addietro, quando tutta la Valtellina e il bacino del Lago di Como erano occupati dal grande Ghiacciaio dell’Adda!

A questa “post-visione” o memoria percepibile di ciò che era e ora non è più, si sovrappone la visione sincronica del presente, quella che racconta in maniera inequivocabile della realtà climatica attuale, della trasformazione repentina del territorio e del paesaggio, quella che si nutre dello stupore, che per molti versi è sgomento e inquietudine, generati dalla visione del grande lago proglaciale, dei suoi iceberg generati dal distacco di lame ghiacciate dalla fronte del corpo glaciale che lo origina, ormai da anni separata dal ghiacciaio superiore la cui imponente seraccata (tale ancora ma anche in questo caso molto meno massiccia rispetto a qualche anno fa) incombe dal ciglio della parete rocciosa e ogni tanto lascia cadere a valle grossi blocchi di ghiaccio, annunciati da un boato che echeggia per l’intero vallone e fa inesorabilmente rabbrividire chiunque.

Infine, nella mente che elabora le percezioni sensoriali – oculari e uditive in primis ma non solo – prende forma anche la pre-visione del luogo e di ciò che sta diventando in forza delle sempre più rapida trasformazione geomorfologica dovuta alla fusione del ghiacciaio, la cui parte inferiore tra qualche lustro scomparirà definitamente ingrandendo il lago che da proglaciale diverrà naturale e rappresenterà, come già è ora, uno degli specchi d’acqua più grandi della zona – un lago che solo meno di vent’anni fa non esisteva, lo si tenga presente – mentre la parte superiore del Fellaria diventerà sempre meno visibile, in conseguenza dell’assottigliamento della seraccata prima citata la quale si ritirerà a quote sempre più alte, allontanandosi dal ciglio della parete rocciosa e così degradando la cognizione dell’elemento glaciale nello sguardo dei visitatori da visione marcante e identitaria per il luogo a vaga e secondaria impressione. Un po’ come è già accaduto al ramo occidentale del ghiacciaio, appiattitosi e quasi nascosto dietro alla mole rocciosa del Piz Argient, una delle vette principali della zona, il che ha modificato in maniera ingente l’elaborazione percettiva e culturale di quel ramo della valle, oggi principalmente roccioso e erboso.

Insomma, lassù al Fellaria si osserva nello stesso tempo il passato, il presente e il futuro del luogo e del suo paesaggio: la montagna racconta il proprio divenire su differenti piani narrativi che sarebbe bene saper cogliere e comprendere: non solo per elaborare la più completa e compiuta coscienza del luogo ma pure – e soprattutto – perché sia altrettanto compiuta la nostra relazione con esso, che rappresenta la base culturale necessaria per preservare in noi quella narrazione diacronica montana facendone memoria, consapevolezza, cognizione, intuizione, previsione, prospettiva. Tutte cose utili e preziose tanto alla montagna quanto a noi, già.

Cime Bianche, Cortina, Lago Bianco (eccetera): è ora che la politica che consuma e devasta le montagne venga definitivamente isolata!

[Cortina d’Ampezzo, domenica 24 settembre 2023.]
Venerdì 22 settembre ad Aosta c’era un sacco di gente per ascoltare Marco Albino Ferrari, Pietro Lacasella e manifestare la propria adesione alla lotta per la salvaguardia del Vallone delle Cime Bianche, tra Cervino e Monte Rosa, minacciato da un devastante progetto funiviario e sciistico. Domenica 24, a Cortina d’Ampezzo, Piazza Dibona era stracolma di persone radunatesi lì per dire un chiaro e inequivocabile “NO” allo scellerato e vergognoso progetto della nuova pista olimpica di bob. Due weekend fa, il 10 settembre, ancora altre centinaia di persone si sono radunate ai 2600 m del Passo di Gavia, sulle rive del Lago Bianco tra Valtellina e Valle Camonica, per protestare contro i lavori di posa delle tubature che prederanno le acque del lago per alimentare gli impianti di innevamento programmato di Santa Caterina Valfurva. E tutti questi recenti raduni non so che gli ultimi di una serie di altri precedenti, altrettanto sentiti e partecipati, nonché alcuni dei tanti attraverso cui, nelle Alpi e sugli Appennini, un numero crescente di persone, riuniti in associazioni o da cittadini comuni, sta chiedendo di salvaguardare i territori e i paesaggi montani.

[Aosta, venerdì 22 settembre 2023.]
Ecco perché, nonostante la devastante azione di certa politica che sta cercando in ogni modo di svendere e consumare le montagne per biechi e inutili scopi turistici al fine di ricavarne chissà quali tornaconti («A pensar male si fa peccato ma si indovina» recita quel noto motteggio) io resto assolutamente fiducioso che una tale realtà, oggi inquietante e irritante, possa cambiare presto. Sempre più persone – me ne rendo conto non solo dalle manifestazioni come quelle citate ma in generale frequentando le montagne e parlando con chi incontro lungo i sentieri e nei rifugi – si stanno rendendo conto che non si può più, non si deve più fare ciò che si vuole sulle/delle nostre montagne, che molte cose che accadono nei territori montani sono sbagliate, pericolose, illecite, insensate, che bisogna necessariamente riprendere la piena consapevolezza del valore inestimabile e condiviso – ambientale, culturale, sociale, economico – delle montagne e dei loro paesaggi, un patrimonio di tutti che nessuno, nemmeno quei pochi scellerati amministratori pubblici coi loro sodali, può permettersi di deteriorare, degradare, consumare e distruggere.

[Lago Bianco al Passo di Gavia, domenica 10 settembre 2023.]
Forse anche per questo i suddetti amministratori manifestano una tale foga nel presentare e finanziare continuamente progetti così devastanti: ove non siano semplicemente dei pazzi, in realtà si rendono conto di avere il tempo contato per portare avanti ciò che vogliono fare, che la stragrande maggioranza delle persone non è dalla loro parte e che tutti quelli che al momento restano silenti, che i proponenti pubblici pensano essere concordi alle loro azioni, lo sono soltanto per disinteresse civico, mera pusillanimità ovvero nel tentativo di difendere il proprio “orticello” di interessi privati. Purtroppo per il momento il sistema che autoalimenta la predazione delle montagne sta ancora in piedi ma è vieppiù traballante, anche in forza dei colpi di maglio sempre più violenti, ahinoi, portati dalla crisi climatica in divenire; di sicuro la consapevolezza crescente e sempre più diffusa riguardo la salvaguardia delle montagne concluderà molto presto la loro folle e devastante corsa. Speriamo, quando ciò accadrà, che i danni nel frattempo inferti ai territori montani e alle comunità che li abitano non siano troppo pesanti e profondi.