Oggi, al Liceo Frisi di Monza


Vi ricordo che l’incontro è libero e aperto a tutti, dunque, se potete e volete partecipare, credo (spero!) che ne uscirà qualcosa di parecchio interessante!

Cliccate sull’immagine per saperne di più.

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Ghiacciai e montagne (e noi) a Monza, lunedì 27/02

Lunedì 27 febbraio, alle ore 15 presso l’auditorium del Liceo Scientifico Statale Paolo Frisi di Monza, interverrò nel secondo appuntamento dell’edizione 2022/2023 di “Viaggio verso l’altrove”, la rassegna dei pomeriggi culturali curata dal Liceo, in una conferenza intitolata Ghiacciai e montagna: l’altrove che ci riguarda. Tra storia, cultura e scienza: come li vediamo, come sono e come saranno. Con me ci sarà il paleoglaciologo Claudio Artoni e, a moderare l’incontro, lo scrittore e giornalista Luca Serenthà. Insieme proporremo un viaggio nello spazio e nel tempo attraverso le nostre montagne, esplorandone la relazione storica dell’uomo con esse, l’elaborazione culturale dei loro paesaggi, l’intreccio tra evidenze scientifiche e aspetti umanistici e riflettendo sugli immaginari attraverso i quali le vediamo e le frequentiamo, nel contesto della crisi climatica in corso e di ciò che ci aspetta nel tempo a venire. A guidarci in questo affascinante viaggio saranno i ghiacciai, da sempre elementi identitari e referenziali delle montagne oltre che soggetti scientifici fondamentali nello studio delle terre alte, che dal presente sanno raccontarci molto del passato e del futuro non solo dei monti ma pure di tutti noi.

La partecipazione all’incontro, come a tutti quelli della rassegna, è aperta e a ingresso libero per studenti, docenti, genitori e cittadinanza: dunque sono ben felice di invitarvi sperando che possiate partecipare e assicurandovi che, insieme, compiremo un viaggio alpino assolutamente intrigante.

Per saperne di più, sull’incontro e su tutta la rassegna in corso, cliccate sulla locandina lì sopra oppure qui.

Il senso dei ghiacciai, a Milano

Sabato 28 gennaio, al Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo Da Vinci di Milano, il benemerito Servizio Glaciologico Lombardo festeggerà così i suoi primi trent’anni:

Un’associazione scientifica benemerita, ribadisco, e quanto mai indispensabile nell’era climatica che stiamo vivendo, alla quale rivolgo i più fervidi auguri e la speranza di poter continuare a studiare i ghiacciai ancora per lungo tempo: perché il SGL saprà operare con il costante impegno, la grande passione, l’autorevolezza e l’efficacia dimostrate in questi 30 anni e perché – soprattutto – vi saranno ancora ampi territori glaciali da studiare sulle nostre montagne, segno che avremo saputo frenare la loro estinzione fermando il riscaldamento globale di origine antropica. Un augurio quanto mai sentito, già.

L’ingresso al convegno è libero e gratuito e sarà possibile iscriversi o chiedere informazioni al riguardo al seguente indirizzo e-mail: convegno30sgl@gmail.com, oppure consultando il sito web del SGL qui.

«Te lo ricordi, il Ghiacciaio dell’Adamello?»

[Veduta parziale del Ghiacciaio dell’Adamello dal Corno di Cavento: a sinistra nel 1917, a destra nel 2017. Foto tratta da meteobook.it.]
Il progetto ClimADA, realizzato grazie ad una ampia collaborazione tra enti scientifici e istituzionali coordinati da Fondazione Lombardia per l’Ambiente, si pone il rilevante obiettivo di ricostruire l’evoluzione climatica degli ultimi secoli, l’impatto antropico nell’area di alta montagna alpina, e anche la dinamica delle specie vegetali, dei grandi incendi avvenuti negli ultimi secoli e in generale degli impatti antropici in tutte le aree montane. Da questa attività il progetto ricava studi e ricerche e offre competenze scientifiche per aiutare le amministrazioni locali, le istituzioni pubbliche e private a prendere decisioni sul territorio.

Nell’ultimo biennio ClimADA ha focalizzato la propria attenzione scientifica sul Ghiacciaio dell’Adamello, il più vasto e profondo apparato glaciale delle Alpi italiane: tra le varie attività messe in atto, i ricercatori del progetto hanno analizzato e prospettato la futura evoluzione del ghiacciaio dell’Adamello fino quasi a fine secolo secondo le previsioni attuali, rappresentando efficacemente il tutto in questo video:

Converrete che è un video spaventoso. In pratica, nei prossimi decenni quello che è ad oggi il più grande ghiacciaio italiano scomparirà totalmente. Degli 870 milioni di metri cubi di ghiaccio rilevati a fine millennio, già nel 2019 se n’erano fusi quasi la metà e nel corso del 2022, già unanimemente definito “disastroso” per i ghiacciai alpini, la fusione è risultata doppia rispetto alla media degli ultimi 15 anni.

Si noti bene: non sta scomparendo solo un ghiacciaio tra i più importanti delle Alpi ma sta svanendo una delle maggiori riserve di acqua potabile a nostra disposizione che tra qualche decennio non avremo più, sta cambiando il paesaggio di un’ampia regione alpina, sta cambiando di conseguenza la nostra relazione con il territorio in questione e si sta modificando la percezione culturale che avremo di questi spazi d’alta quota. Quello che per generazioni a scuola è stato studiato come «il più grande ghiacciaio delle Alpi italiane» non esisterà più, sparirà anche come nozione, come conoscenza, come referenza identitaria. Giusto o sbagliato (formalmente) che possa essere, accadrà ineluttabilmente, a meno che si metta in atto un cambiamento così radicale da poter modificare tale nefasta sorte. Qualcuno dice che siamo ancora in tempo, qualcun altro ritiene invece di no: ma nell’uno o nell’altro caso, siamo pronti ad agire oppure a subire di conseguenza? O continuiamo a fare come se nulla sia?

Il vuoto del ghiacciaio

I ghiacciai, lo sanno anche i sassi ormai, sono tra i migliori indicatori naturali in assoluto dei cambiamenti climatici sia negli aspetti scientifici sia in quelli paesaggistici, per come la loro grande mole renda evidenti e inoppugnabili a tutti le variazioni che subiscono, anche nel breve periodo, in forza di quei cambiamenti. Per tale motivo vengono così spesso fotografati e mostrati al pubblico: basta affiancare due immagini dello stesso ghiacciaio (di qualsiasi angolo del pianeta, ormai) riprese oggi e solo qualche anno fa, se non decenni fa, per rilevare le sconcertanti perdite di estensione e di massa subite anche da parte di chi non sappia nemmeno cosa sia la glaciologia.

Tuttavia, un’evidenza forse ancora più sconcertante, riguardo il ritiro dei ghiacciai, è constatare non tanto ciò che ne resta ma ciò che già non c’è più: il vuoto lasciato dalla scomparsa della massa glaciale, l’alveo ricolmo di aria e niente altro, la mancanza percepibile e drammatica nel paesaggio ove il ghiacciaio si trova(va). L’immagine che vedete lì sopra, scattata da Alberto Prina (lo scorso maggio, anche se le condizioni erano già quelle di fine estate) e che io traggo dalla pagina Facebook di Jacopo Merizzi – guida alpina, scalatore leggendario, uno dei celeberrimi numi tutelari di quel sublime territorio alpino che è la Val Masino e il suo gioiello-nel-gioiello, la Val di Mello – rende perfettamente l’idea della quale vi sto scrivendo. Mostra il vuoto lasciato dalla scomparsa della lingua valliva del Ghiacciaio della (o del) Ventina, in alta Valmalenco nel gruppo del Disgrazia, con i due enormi cordoni morenici laterali che contenevano una conseguente, gigantesca massa di ghiaccio la cui fronte un tempo lambiva i rifugi sul fondovalle, visibili nell’immagine (se la ingrandite cliccandoci sopra li noterete meglio), e che in un secolo è totalmente sparita, lasciando solamente il nulla. Oggi il ghiacciaio si sta sempre più ritirando nel circo sommitale della valle e ne fuoriesce una lingua stretta e magra, in parte ricoperta da detrito, che non riesce più nemmeno a ricordare o rimarcare a chi non l’avesse mai vista ciò che era un tempo.

Il nulla, già. Una volta quel nulla era ghiaccio, dunque acqua (potabile), era un paesaggio differente, ambientalmente più ricco, era una montagna apparentemente più vitale, era la dimostrazione di un clima ben diverso. Oggi è la prova inequivocabile di un dramma climatico in corso del quale ancora troppo poco siamo capaci di concepire la portata e le conseguenze, dunque di formulare la necessaria resilienza – che, per certi versi e in circostanze estreme, sta già diventando pratica di sopravvivenza.

Le immagini del ritiro e dello sfacelo dei ghiacciai sono fondamentali e indispensabili dacché inequivocabili in ciò che mostrano e raccontano, senza lasciare posto ad alcun dubbio. Tuttavia, ribadisco, lo sono pure le immagini che non li mostrano più, i ghiacciai, proprio perché non ci sono più. Il vuoto che si coglie tanto chiaramente da esse, se posso così dire, è un po’ il vuoto che c’è nella nostra anima di fronte ai cambiamenti climatici e del mondo nel quale viviamo, che probabilmente col passare del tempo diventerà sempre più un altro mondo, un altro paesaggio. Simile per certi aspetti, diverso per molti altri. C’è solo da augurarci che quel vuoto glaciale non rappresenti a suo modo anche il vuoto delle coscienze e delle volontà umane nel cogliere, comprendere e, per quanto possibile, agire. Affinché resti solo parziale, il vuoto, magari ancora colmabile, in qualche modo, e non diventi invece totale, definitivamente.