[Un’immagine di oggi da una delle webcam posizionate all’Alpe Motta, sopra Madesimo, con tanta neve caduta al suolo in poche ore come mai ce n’è stata per tutto l’inverno dove fino a ieri c’erano prati ormai verdi.]Devo proprio manifestare la mia solidarietà ai gestori dei comprensori sciistici i quali, dopo un altro inverno assai avaro di neve naturale che li ha “costretti” a sparare neve artificiale a gogò, con gran consumo di acqua, energia e conseguente gran dispendio di soldi, si vedono arrivare dal cielo la più cospicua nevicata da parecchi mesi a questa parte in queste ore, a primavera inoltrata, con gli impianti e le piste chiuse e la stagione turistica ormai finita. Se mai potessero esistere divinità preposte al governo del tempo meteorologico, verrebbe da pensare che ce l’abbiano con l’industria dello sci su pista!
Se qualcuno vuole percepire dell’ironia in queste mie considerazioni, sappia che è solo incidentale: la neve naturale è sempre quanto mai benvenuta, soprattutto in questi tempi di inquietante siccità, e lo dovrebbe essere sempre, non solo per evitare il ricorso a quella bruttura assoluta – a mio modo di vedere – che è la neve artificiale. Ne gioirebbero ampiamente in primis gli impiantisti, che vedrebbero allargarsi parecchio i margini della loro attività imprenditoriale (è inutile ricordare quanto costi la produzione di neve artificiale, strategia di adattamento principale ai cambiamenti climatici, per le stazioni sciistiche, ma strumento di dissesto finanziario pressoché inesorabile per i loro bilanci) e ne gioirebbe la montagna in generale, ecologicamente, ambientalmente, culturalmente nonché, senza dubbio, economicamente, per come la neve rappresenti un “tesoro” oltre modo prezioso per la montagna, non solo paesaggisticamente.
Detto ciò, certo fa specie vedere così tanta neve ormai quasi a maggio e così poca in pieno inverno; è accaduto di frequente anche in passato ma dopo stagioni climaticamente regolari, mentre oggi rappresenta evidentemente l’ennesimo segnale di un disequilibrio ambientale in corso, giunto chissà a che punto del suo divenire. Godiamocela, questa benefica neve tardiva, e poi cerchiamo con il nostro agire collettivo di salvaguardare la speranza, ecco.
P.S. – Pre Scriptum: il testo che leggete qui l’ho steso qualche tempo fa, verso metà febbraio. Stavo recandomi in Valtellina per un evento e lungo la strada, uscendo dall’ultima galleria della “variante di Morbegno” all’altezza di Ardenno, mi sono ritrovato davanti la visione panoramica di buona parte del solco vallivo valtellinese, da lì pressoché rettilineo, fino ai monti ormai prossimi al bormiese. Monti già piuttosto elevati, in alcune vette prossimi ai 3000 metri di quota, ma inopinatamente spogli di neve, scarsamente presente solo molto in alto o nei canaloni più profondi. Sembrava una visione tardo primaverile e invece era la metà di febbraio, periodo nel quale quelle montagne dovevano apparire completamente bianche di neve fino a quote basse. È stato sgomentante constatare tutta quella miseria nivale, e inquietante pensare che era (è stato) già il secondo inverno così avaro di neve, con gravi ripercussioni sulla presenza di acqua nei fiumi e sullo stato dei ghiacciai, che infatti la scorsa estate si sono fusi come mai era accaduto prima.
Da tutto ciò sono nati i pensieri che poi, uniti ad altri che il mio sguardo sui monti elabora di continuo, hanno portato al testo che leggerete. Forse avrei dovuto pubblicarlo prima, in periodo invernale; d’altro canto anche la primavera sarebbe stagione propizia, alle quote medio-alte, per nevicate abbondanti e salvifiche, ma in fondo la mia – per quel poco che pare e per quanto banale possa essere – è una sorta di invocazione che, stante la realtà che stiamo vivendo e probabilmente vivremo sempre più negli anni futuri, assume un valore atemporale costante. Nell’ovvia speranza che venga esaudita, per il bene delle montagne e di noi tutti.
Speriamo veramente e non dico una nevicata ogni tanto, magari copiosa ma che rapidamente il clima trasforma in un ricordo bello e un po’ triste. Speriamo invece che torni con abbondanza e con costanza ad ammantare le montagne, a regalare loro il fascino più gelido e al contempo più fervido che vi sia, a coprire con metri e metri di sublimi preziosi cristalli ogni cosa, sui monti.
Speriamo che torni e vi si possa sciare sopra senza più quella terribile piaga della neve artificiale, deleteria imitazione che offende le montagne per rallegrare chi non le rispetta, e per divertirsi con essa come con nessuna altra cosa fin da bambini e ancora da grandi possiamo e sappiamo fare. Speriamo che torni per ridare alla montagna d’inverno la sua peculiare bellezza, la sua dignità, la sua insostituibile identità, e per ridarle il suo tempo più naturale ritmato dal variare delle stagioni.
Speriamo che torni per curare e nutrire i ghiacciai, per dare vita persistente e spumeggiante ai ruscelli, ai torrenti, ai fiumi, per far scintillare pienamente i laghi, per dissetare ogni creatura vivente e allontanare qualsiasi arido e sterile incubo.
Speriamo che la neve torni così da farci riconoscere le montagne per ciò che realmente sono e saranno ancora, non per quanto sembrano ma non sono o per ciò che erano e non sono più.
Speriamo che torni portando con sé la compagnia del freddo, che ci potrà far rabbrividire fuori ma al contempo ci farà comprendere quanto sia importante essere caldi dentro, e speriamo che torni perché chiunque, anche i bambini di oggi, possano restare sommamente affascinati, sorpresi, stupiti, bocca aperta nell’ammirare il volteggiare infinito dei fiocchi che dal cielo fluttuano verso terra.
Speriamo che torni perché la montagna senza neve è come un capolavoro pittorico privato del colore, col rischio che qualcuno ce ne metta dell’altro che non c’entra nulla e lo abbruttisca, facendogli perdere buona parte del suo valore e della sua bellezza.
Speriamo che torni, la neve, quanto prima. E che torni quando saremo ancora qui, ma anche se non sarà così non fa nulla: l’importante è che torni, prima o poi, e che le montagne d’inverno si possano imbiancare come prima e più di prima, che le loro vette possano scintillare nel cielo gareggiando con la luminosità diurna e stellare, ammantate del bianco che come nessun altro è sintesi e compendio assoluti di qualsiasi colore che può avere la vita.
A chiunque domani sia in zona Milano o, per la precisione, in zona Liceo Scientifico Piero Bottoni e ne abbia le possibilità, consiglio caldamente di partecipare alla conferenza di Giovanni Baccolo della quale leggete qui sopra. Giovanni è uno scienziato del ghiaccio di grande competenza e sensibilità, la cui professione glaciologica non è che la manifestazione accademica del suo profondo legame con le montagne: anche per questo la materia glaciologica da lui raccontata diventa oltre modo affascinante, oltre che fondamentale da conoscere al meglio nei suoi aspetti concreti rispetto alla realtà – non solo ambientale – e al mondo che viviamo. In pratica Giovanni è veramente un ottimo portavoce dei ghiacciai che grazie a lui raccontano, come è ben scritto lì sopra. Dunque, se siete in zona, non mancate l’appuntamento!
Eccovi un altro evento parecchio interessante in tema di montagne, ghiacciai e cambiamento climatico, la cui sede nel bel mezzo della pianura lombarda rende per certi versi ancora più affascinante. D’altro canto l’acqua che scorre (siccità permettendo!) nelle rogge tra i campi della pianura è sempre e comunque figlia, per gran parte, delle vette alpine lontane a settentrione, della neve e dei loro ghiacciai, che la lontananza e le foschie rendono di frequente invisibili ma che non per questo non sono parte fondamentale dello stesso ecosistema idrico padano. Il quale dalle Alpi fornisce acqua e vita all’intero bacino settentrionale del Po e che dunque è bene conoscere, senza dubbio, ancor più se in modi suggestivi e intriganti come quello proposto dalla mostra di Cremona.
Per saperne di più, cliccate qui oppure visitate il sito web del Servizio Glaciologico Lombardo, qui. Per ingrandire l’immagine della locandina, cliccateci sopra.
Il riscaldamento non è uniforme. È maggiore nelle regioni polari, e in particolare nell’Artico, come pure nelle regioni montane a medie latitudini, incluse le Alpi. In Svizzera, ad esempio, l’aumento della temperatura è il doppio della media mondiale.
La nostra società si è sviluppata per vivere nel modo più ottimale nelle condizioni attuali. Se ci sono dei cambiamenti, la situazione diventa problematica. Lo scioglimento del ghiaccio può avere ripercussioni a livello locale. Penso ad esempio alle conseguenze sulla produzione idroelettrica in Svizzera. Se però consideriamo le regioni polari, le conseguenze sono globali poiché lo scioglimento favorisce l’innalzamento del livello del mare.
È impossibile preservare tutti i ghiacciai svizzeri. L’unico modo è ridurre le emissioni di CO2 e attenuare il più possibile il riscaldamento climatico. Ma i ghiacciai rispondono lentamente e anche se risolviamo la crisi climatica oggi continueranno a ritirarsi per alcuni decenni. È però possibile intervenire in singoli casi per ridurre lo scioglimento.
Con l’aumento delle temperature, la quantità di acqua di scioglimento continuerà ad aumentare per i prossimi 10-20 anni. Poi inizierà a ridursi e fra 50-100 anni i ghiacciai saranno in gran parte scomparsi. Sarà un problema. L’unica soluzione è fermare il riscaldamento globale.
Sono parole di Johannes “Hans” Oerlemans, 72 anni, climatologo olandese, tra i ricercatori sul clima più influenti al mondo secondo l’agenzia di stampa Reuters, tratte dall’intervista contenuta nell’articolo “L’unico modo per salvare i ghiacciai è fermare il riscaldamento globale” e pubblicata su “Swissinfo.ch” il 27 dicembre 2022. Potete leggerla nella sua interezza cliccando sull’immagine in testa al post.