Domani la “DOL dei Tre Signori” passa da Verderio!

Giovedì 11 maggio sarò a Verderio (Lecco), presso la bellissima Villa Gallavresi (in Via dei Tre Re n.31) che ospita la biblioteca comunale, per presentare la guida Dol dei Tre Signori con il collega di penna Ruggero Meles.

Con la bella stagione ormai imminente, sarà un’occasione ottima per presentare il meraviglioso itinerario escursionistico a tappe che percorre la «DOL – Dorsale Orobica Lecchese» tra Bergamo e Morbegno, il suo territorio montano ricchissimo di tesori e la nostra guida, lo strumento di viaggio ideale per affrontare la DOL e per conoscerne tutte le sue innumerevoli, affascinanti peculiarità.

Se siete di zona o se potete passare, vi aspettiamo alle ore 21.00. Tornerete a casa a preparare lo zaino e a lucidare gli scarponi, ve l’assicuro!

Pubblicità

La bella stagione lungo la DOL è ancora più bella!

Una nuova bella stagione è ormai alle porte, come sempre la più propizia per mettersi uno zaino con quanto di necessario sulle spalle, calzare gli scarponi e andare per sentieri di montagna a godere dell’insuperabile bellezza del paesaggio naturale in quota – e anche per sfuggire all’afa estiva che, ci si augura, quest’anno non sia così opprimente.

Torna dunque la stagione propizia per percorrere la DOL dei Tre Signori, uno degli itinerari escursionistici più affascinanti delle Alpi lombarde (e non solo), tra i pochi in Europa che partono e arrivano ovvero uniscono due città emblematiche come Bergamo e Morbegno, dunque la pianura iper antropizzata già prossima all’hinterland di Milano e la più importante valle lombarda ai piedi delle alte vette alpine, percorrendo una dorsale montuosa spettacolare e oltre modo ricca di paesaggi naturali, da quelli suburbani della partenza da Bergamo agli angoli prettamente alpini prossimi alla Valtellina, nonché d’una miriade di tesori naturalistici, artistici, storici e variamente culturali. Cinque tappe (per il percorso “classico”) che ne valgono cento e più, insomma, al cui termine lo zaino sarà ormai scarico di provviste ma stracolmo di esperienze, ricordi, visioni, emozioni e di gioia genuina.

Per tutto ciò (e per il tanto altro che la DOL offre), la guida DOL dei Tre Signori è sempre pronta e a vostra disposizione per guidarvi attraverso le meraviglie della dorsale e le sue innumerevoli narrazioni, che ne fanno una montagna affascinante da leggere conoscere e poi, mi auguro, indimenticabile da esplorare e percorrere.

Dunque, eccovi di seguito un brano dell’introduzione che apre la guida: per saperne di più al riguardo cliccate qui. Un piccolo assaggio che spero ingolosisca tanti e faccia loro fremere i piedi, vogliosi di incamminarsi lungo la dorsale, ma anche che riaccenda il ricordo e il desiderio di tornarci a chi l’abbia già percorsa, parzialmente o integralmente.

[© Moma Edizioni – Riproduzione riservata.]

[…] Vista dalla pianura bergamasca o dal Parco dei Colli di Bergamo, appena oltre la celeberrima Città Alta, la DOL si innalza come una scala che sale al cielo e fugge verso le montagne con una cresta elegante da cui è possibile vedere un’ampia parte della cerchia delle Alpi, la grande scacchiera della pianura e gli Appennini perdersi in un’azzurra lontananza verso Sud. A questo vanno aggiunte la bellezza e la varietà del paesaggio, la presenza costante di fauna e flora che accompagnano i camminatori lungo gran parte del percorso, la ricchezza dei segni culturali, artistici e rurali con cui le genti che la abitano ne hanno definito lungo il tempo l’identità peculiare.
La DOL va immaginata come un fiume di pietra e prati che scorre alto sopra le nostre teste, raggiunto da sentieri i quali, come affluenti che fluiscono verso l’alto, salgono da vallate ricche di storia e tradizioni: Val San Martino, Valle Imagna, Valsassina, Val Taleggio, Val Brembana, Valvarrone, Val Gerola e Valtellina. Nella guida al cammino della DOL cercheremo di suggerirvi degli spunti anche per cogliere l’intreccio che c’è stato nel corso del tempo tra uomo e Natura. È questo intreccio secolare e profondo che ha reso questi luoghi come li vediamo oggi e ne ha forgiato il carattere culturale.
Thomas Stearns Eliot scriveva che esiste un “provincialismo del tempo” che fa credere che tutto sia sempre stato così come noi lo vediamo nell’epoca in cui viviamo. Nello scrivere la guida, per sfuggire a questo tipo di “provincialismo”, cercheremo di fare in modo che appaiano evidenti agli occhi del lettore le più significative trasformazioni che la dorsale ha conseguito nel tempo e non solo: avremo addirittura la presunzione di tracciarne un virtuoso sviluppo futuro che sarà possibile solo se il lettore si lascerà coinvolgere nella riscrittura della storia del territorio. Come? Semplicemente percorrendo il cammino con attenzione e cura nei riguardi di tutto e tutti, acquisendo la consapevolezza del suo valore e di quello dei “tesori” che offre, acquistando cibo o altri prodotti nati sulla montagna o nelle vallate che dalla dorsale fluiscono verso la pianura.
Anche da lontano si possono scorgere, sparsi come manciate di perle sui crinali, contrade e borghi abbandonati negli anni Sessanta del secolo scorso, quando gli abitanti vennero incantati dagli scaltri pifferai magici del boom economico. Quasi sempre le strade tracciate per portare benefici alle montagne sono diventate vie di fuga da una vita troppo dura per reggere il confronto con quello che stava succedendo al piano e con gli agi che la vita laggiù sembrava offrire. Oggi, fortunatamente, alcuni di questi borghi stanno cominciando a rinascere sfruttando al meglio le innovazioni tecnologiche e la rivoluzione informatica che ha mostrato la capacità di sovvertire i fenomeni di degrado economico, culturale e sociale del quale le terre alte hanno sofferto per decenni, anche in forza di un turismo del tutto dissociato dal loro contesto storico. Finalmente le statistiche segnalano un lieve incremento legato in molti casi a giovani che mostrano non soltanto di voler ancora sognare, ma che stanno mostrando di saper tradurre il sogno di una vita più legata alla Natura in una realtà quotidiana sostenibile e consapevole.
È un processo di importanza fondamentale, questo, perché l’identità dei luoghi montani, e di un territorio così profondamente vissuto come quello percorso dalla DOL in particolare, vive della vita delle genti che li abitano e non solo facendone una mera residenza ma sapendo intessere una relazione intensa e armoniosa, il cui valore si riflette poi negli abitanti stessi e nel loro essere testimoni consapevoli e preziosi della bellezza dei monti su cui vivono. […]

Così tanti paesaggi, così poco tempo

[Foto di Tom Morel su Unsplash.]
«Così tanti libri, così poco tempo». Così, pare, un giorno disse Frank Zappa: e se in tale affermazione io mi ci trovo alla lettera, una versione simile l’ho fatta mia e la interpreto in modo che diventi un principio ineludibile: così tante montagne, così poco tempo. Ma anche – in “geoextended version” – così tanti paesaggi, così poco tempo.

Quando sono in viaggio – ovunque mi trovi, a partire dal primo millimetro al di fuori dell’uscio di casa fino in capo al mondo – e osservo senza sosta i territori che attraverso cercando di coglierne più dettagli possibile, mi sorge spesso il pensiero che di spazi e di luoghi da scoprire, esplorare, conoscere, ve ne sono così tanti che veramente un’intera esistenza sembra pochissima cosa. È ovvio e banale dirlo, lo so, ma forse lo è meno se si considera che questo esercizio elementare e ordinarissimo non è così praticato nonché se si reputa che è da una cosa così semplice e ovvia come l’osservare ciò che abbiano intorno che si genera la relazione fondamentale con il mondo che viviamo.

D’altro canto da sempre guardo al territorio come fosse un grande libro sulle cui pagine di roccia e di terra che sono i versanti e le varie forme morfologiche che lo configurano, si possono leggere le sue principali peculiarità e non solo: se quel territorio è antropizzato, vi si può leggere anche la storia che vi hanno inscritto le genti che lo hanno abitato lungo i secoli, raccontando il legame reciproco attraverso i “segni” della loro presenza – le case, i villaggi, le strade, le coltivazioni, i muri, i modellamenti del terreno e finanche le piccole cose, le staccionate, i sentieri, le pietre di confine, gli ometti di pietra…La lettura di tutto ciò è la narrazione del paesaggio, che è sempre un costrutto mediato tra elementi naturali e antropici.

Ma in questa “biblioteca” infinita che è il mondo, può ben essere “paesaggio” anche una piccola valletta nascosta dal bosco, un modesto rilievo roccioso, una semplice radura apparentemente simile a tante altre… Non solo dalle più grandi e imponenti montagne può nascere il paesaggio, seppur qui lo si possa cogliere nei modi più compiuti e spettacolari: anche nei minimi spazi si può riscontrare qualcosa di peculiare, un microambiente che si anima di tante relazioni infinitesimali il cui compendio traccia una narrazione peculiare di quel luogo minimo, che aspetta solo di essere còlta e letta.

Da ciò in fondo nasce quella mia sensazione di illimitatezza dei paesaggi in relazione al tempo a disposizione per esplorarla in maniera soddisfacente. Ma al riguardo mi torna in mente un’altra affermazione letteraria alquanto significativa, di Jules Renard che disse «Quando penso a tutti i libri che mi restano da leggere, ho la certezza d’essere ancora felice». Ecco, quando penso a tutti i luoghi, i paesaggi, le montagne, i territori che mi restano da scoprire e conoscere, ho la certezza di non dover preoccuparmi troppo per la mancanza di tempo e di poter essere ancora, e sempre, felice.

Passeggiare nelle leggende – delle Dolomiti e non solo

[Foto di Francesco Cirelli da Pixabay]

Provate a immaginare una serie di racconti in stile “fantasy”, una serie di narrazioni con tanto di nani, streghe, belle ondine e silfidi, creature mostruose e antropomorfe. Aggiungete a questi racconti i veri nomi delle cime dolomitiche, i toponimi di boschi, prati e sorgenti che potete visitare concretamente, e otterrete un’idea abbastanza seducente delle leggende delle Dolomiti. A differenza di altri corpi mitologici o dei racconti fantastici, le leggende delle Dolomiti non riducono la loro offerta di suggestione e incanto al solo approccio intellettuale. Una passeggiata in un bosco diventa infatti più affascinante se possiamo riconoscere in una radura il luogo di un’antica battaglia di cavalieri o la dimora di una strega; ed è viceversa più coinvolgente conoscere una leggenda quando in essa sono racchiuse le descrizioni di paesaggi, luoghi e situazioni che ricordiamo e di cui possiamo progettare una viva esperienza.

[Giovanni CenacchiDolomiti cuore d’Europa, Hoepli Editore, 2021, postfazione e cura di Giuseppe Mendicino, pag.56. La mia “recensione” dei libro è qui.]

Proprio come scrive Cenacchi per le Dolomiti – ambito montano particolarmente vocato alla manifestazione del “leggendario”, stante la loro peculiare, affascinante bellezza – tutte le montagne sono ricche di racconti fantastici, e la loro sussistenza nella nostra epoca “iper razionale” (invero spesso tale in modo parecchio presunto e alquanto irrazionale, paradossalmente), che da molti è intesa con superficialità, quasi che si trattasse solo di favolette per bambini, è invece fondamentale per la stessa sussistenza del valore culturale delle montagne, soprattutto se considerato dal punto di vista antropologico. Tanto più che quasi sempre nelle leggende sono cristallizzate storie, memorie, credenze e saperi ancestrali sui quali si fonda l’essenza più profonda dei luoghi montani in questione e che rappresentano la “voce” del Genius Loci: sottovalutarle superficialmente, ignorarle o dimenticarle è la prima banalizzazione che si rischia di imporre alla montagna e l’atteggiamento meno consono a cogliere e godere di tutto il suo fascino. Il quale va ben oltre la mera razionalità intellettuale, che semmai può e deve essere strumento per percepire cosa c’è oltre: ed è moltissimo, ben più di quanto si possa immaginare o, per meglio dire, fantasticare, ecco.

C’erano una volta le castagne “solidali”

[Foto di Sergio Cerrato – Italia da Pixabay.]

I castagni erano considerati piante preziose per quel che davano: legname ottimo per mobili e suppellettili, per fare i pali delle vigne e le recinzioni, per trasformare le foglie in ottima lettiera per gli animali, per ottenere la farina dalle castagne e trasformarla in pane dei poveri. Castagne che venivano anche date in dono assai gradito ai contadini delle alte valli interne, dove il castagno non era mai arrivato a mettere radici.

[Franco FaggianiLe meraviglie delle Alpi, Rizzoli/Mondadori, 2022, pag.158.]

Trovo assolutamente significativo questo passaggio del libro di Faggiani – che fa riferimento al “Sentiero del Castagno”, percorso escursionistico altoatesino tra Bressanone e Bolzano – non solo perché rimarca l’importanza storica assoluta delle selve castanili per le genti di montagna, ma pure per come le castagne divenissero oggetto di una peculiare e emblematica forma di sostentamento condiviso tra montanari che si può ritrovare un po’ ovunque, nelle nostre terre alte, non necessariamente mirato alla reciprocità. Dalle mie parti, ad esempio, nelle selve un tempo assai vaste di Colle di Sogno (che in effetti vaste lo sono tutt’oggi ma purtroppo non vengono curate come un tempo), era in vigore un’antica usanza condensata nell’adagio vernacolare «Dopu San Martì depertöt gh’è mì!» (“Dopo San Martino dappertutto è cosa mia!”) per la quale dopo l’11 novembre a chiunque veniva consentito di entrare nei castagneti di proprietà degli abitanti del borgo e raccogliere i frutti ancora rimasti sugli alberi e sul terreno: una forma di generosa solidarietà della quale lassù approfittavano soprattutto i contadini del fondovalle e della pianura alto milanese, i cui campi in quel periodo già risultavano ormai improduttivi, che salivano sui monti di Colle di Sogno per accaparrarsi una così preziosa riserva di pane dei poveri – come le castagne venivano diffusamente chiamate proprio in forza dell’importanza del sostentamento da esse ricavato per le classi meno fortunate. D’altro canto la manifestazione di queste forme di microeconomia vernacolare rappresentavano anche occasioni di scambi socioculturali tra gli abitanti delle montagne e dei territori ad esse prossimi: una dimensione di metromontagna arcaica e elementare eppure già di grande valore e importanza, che può ben diventare nozione per l’auspicata, rinnovata metromontagna contemporanea in grado di rivitalizzare e riequilibrare il rapporto tra montagne e città stemperando la condizione di marginalità alla quale le prime sono state per troppo tempo costrette – peraltro in modalità antitetiche al secolare passato, come visto.

E, per chiudere il “cerchio castanile” qui tracciato in modo letterario, sappiate che lo stesso Colle di Sogno con le sue montagne è citato nel libro di Franco, in un capitolo precedente e per altri motivi. Ma è una circostanza non così casuale, mi viene da pensare.