Le mappe del mondo che abbiamo dentro di noi

[Alba su Lucerna, luglio 2021. Foto di Simon Infanger su Unsplash.]
«La mappa è il ricordo più antico che può essere scritto nel codice umano». Ha ragione Davide Sapienza (è sua, la citazione, tratta da Camminando, Lubrina Editore, Bergamo, 2014), forte della sua esperienza di viaggiatore della Terra, dello spirito e dell’ultratempo, la dimensione dove l’unica legge in vigore è il coraggio di ascoltare l’intelligenza dei piedi. Appena l’uomo ha imparato a camminare in modo umano, per così dire, ovvero facendo del moto un esercizio consapevole e didattico – e a ben vedere è stato primario anche più del vedere, del sentire o dell’afferrare qualcosa per farne strumento – ha subito preso a memorizzare il paesaggio che aveva intorno al fine di ritrovarsi in esso, per non sentirsi smarrito, per contestualizzarsi in forza del suo essere creatura potenzialmente dominante il paesaggio stesso – in senso virtuoso, intendo dire, al di là dunque di tutte le successive e deleterie devianze. Ha costruito nella propria mente, appunto, la mappa del mondo intorno a sé, dotandola di coordinate di principio ovviamente improvvisate, elementari, primordiali eppure già geo-grafiche nel senso moderno del termine, al fine di riconoscerlo e riconoscersi in esso: un atto fondamentale, questo, nella formazione dell’identità antropologica e poi, più tardi, sociologica e politica.
Sono certo che da subito l’uomo primitivo si sia reso conto di quanto fosse importante questo processo di identificazione olistica col territorio vissuto, e di come fosse necessaria la tracciatura d’una mappa di cammini, percorsi, itinerari lungo i quali a muoversi erano (e sono) tutte le molteplici forme dell’io: emozionali, intellettuali, istintive, animali, eccetera – capite bene che in fondo è da qui che nasce il concetto stesso di “viaggio” inteso come esercizio di esplorazione cognitiva del mondo. È grazie a questo processo, assolutamente valido anche oggi, che l’uomo ha generato il concetto di luogo, con accezione emotiva prima che geografica ovvero identificandolo su quella mappa inscritta nel codice umano e riconoscendo in esso la fonte e il fine di emozioni, ricordi, sensazioni, suggestioni, idee, visioni e quant’altro di affine e altrettanto profondo – al punto da far decidere all’uomo di scegliere un certo luogo come residenza permanente e propria sfera vitale nei cui orizzonti paesaggistici determinare i personali confini antropologici. Naturalmente, poi, tutto questo vale anche per il forestiero che si ritrova in quel dato luogo, rispetto al quale il processo è uguale e opposto: egli vi giunge seguendo una geografia (su di una mappa o semplicemente lungo una strada) e, una volta in loco, vi elabora il proprio valore emotivo, inscrivendolo in modo più o meno profondo negli stessi orizzonti.
I luoghi sono dunque riferimenti, sono input, stimoli, ambiti che identificano antropologicamente il moto verso di essi e poi in essi: d’altro canto sono espressioni del reale movimento metafisico, quello che muove fuori (nel mondo) il viaggiatore perché lo spinge a muoversi dentro (sé stesso).
Non è un caso, in fondo, se le parole normalmente utilizzate in tema di determinazione del patrimonio genetico umano siano mappa, mappatura (del genoma o quant’altro, appunto). Una coincidenza linguistica, forse, o forse no, semmai una inevitabile concordanza.
Per questo mi trovo totalmente d’accordo con quell’affermazione di Davide Sapienza citata poco fa: il concetto di luogo determina l’inevitabile necessità per l’uomo di costruirsi una mappa identificante di esso da imprimere “geneticamente” in sé, per così dire, e di contro lo stesso luogo è frutto della determinazione geo-mentale di quella mappa. Un processo virtuoso di causa-effetto dal quale, ribadisco, si generano poi la forma e la sostanza del legame che unisce l’uomo a quel dato luogo: in buona sostanza, si generano le coordinate antropologiche e culturali di esso, grazie alle quali l’uomo non solo lo può ritrovare facilmente sulla propria personale cartografia vitale, ma altrettanto facilmente si può ritrovare in esso, riconoscersi, identificarsi ogni volta come la prima volta ovvero, forse, ogni nuova volta un po’ di più.

lucerna_book1_800
Questo è un brano tratto dal mio libro
Lucerna, il cuore della Svizzera
Historica Edizioni 2016
Collana Cahier di Viaggio
ISBN 978-88-99241-94-0
Pag.167, € 10,00

Cliccate sul libro qui accanto per saperne di più!

Lucerna, città ineluttabilmente letteraria

[Foto di Fuyu Yeo su Unsplash.]

C’è, forse, un modo “letterario” per cercare di capire, o almeno di percepire, se un luogo – una città o un altro nucleo di forte presenza antropica, in particolar modo – sta smettendo di essere vivo: quando la sua “vita” viene narrata sempre meno dagli scrittori e sempre più dai cronisti, ecco.
Gli scrittori possono narrare la realtà ovvero la fantasia, a volte entrambe debitamente amalgamate, e possono raccontare del passato, del presente ma pure, immaginandolo con più o meno creatività, del futuro; i cronisti devono sostanzialmente narrare il presente-presente, riportandone le evidenze con la maggiore obiettività e la minore creatività possibili. Sono due attività diverse, certo, ma a ben vedere la loro diversità si manifesta soprattutto nel risultato finale e nella relativa funzionalità, che altrove: entrambi raccontano, in fondo, al punto che vi possono essere cronisti del tutto attinenti alla realtà dei fatti e profondamente letterari, nel racconto offerto, così come scrittori che pongono in secondo piano il valore letterario del testo al fine di conseguire la massima razionalità narrativa possibile.
Tuttavia ciò che conta è il racconto, la narrazione che non sia vincolata al mero resoconto di una realtà del tutto ordinaria, talmente ordinaria da palesare la propria ristagnante insignificanza, anche quando così non sembri. La città è primariamente un racconto, di natura realista ma pure immaginativa: contiene certamente anche la cronaca, che riferisce della sua realtà oggettiva quotidiana, ma non credo vi possa essere una tale realtà senza un racconto urbano dal quale possa scaturire. In altre parole: non vi potranno essere cronisti che riferiscono della realtà cittadina senza scrittori che l’abbiano costruita e plasmata, raccontandone le storie e, in tal modo, determinandone l’identità del momento.

(Autore ignoto, “Veduta della città di Lucerna con sullo sfondo la Rigi”, 1820-1825 circa. Fonte: Biblioteca Nazionale Svizzera, GS-GUGE-ANONYM-B-2.)

Lucerna non ha tale problema, inutile che lo denoti – non avreste questo libro in mano, d’altra parte. Da secoli ha ispirato scrittori, sia indigeni che forestieri, che hanno trovato indispensabile raccontarla ovvero narrarla attraverso le storie che in essa ambientavano. Ciò ha contribuito a costruire la sua aura cittadina, la sua essenza estetica, culturale, antropologica, dalla quale scaturisse la più ordinaria vita urbana quotidiana i cui fatti sono divenuti campo d’azione e di relazione dei cronisti. Ma, in fondo, non c’entra che Lucerna possa godere e far godere chiunque d’una strabiliante bellezza paesaggistica e architettonica – o meglio: conta, senza dubbio, ma non è ciò che possa realmente spingere gli scrittori a scriverne. Contano di più altre cose: conta di più, ad esempio, che prima che dagli scrittori la città venga narrata nelle storie private degli innamorati che la percorrano mano nella mano e, sulle sue forme architettoniche come disegnate dal vibrare delle loro emozioni, vedano rispecchiata la fervida passione che li infiamma. O che la racconti a sé stesso e ai suoi piccoli amici il bambino che nelle vie cittadine si senta un antico cavaliere conquistatore di quel reame fantastico protetto da un grande fossato liquido entro cui faccia buona guardia lo stesso drago che all’alba del 26 maggio 1499, dopo un temporale terrificante, emerse dalle acque selvagge della Reuss, nei pressi della Spreuerbrücke – come racconta la leggenda. Oppure ancora che Lucerna venga descritta, perché no, dall’immigrato giunto in città da chissà quale lontano e diversissimo paese – per cultura, costumi, usi, visioni e quant’altro – il quale nella propria descrizione a sua volta diversa dacché basata su metri di giudizio differenti e ancora vibrata da inquietudini, timori o incertezze, consapevolmente o meno cominci a mettervi una primigenia, confusa eppure percepibile sensazione di casa, di parvenza domestica, di nascente reciprocità urbana prima ancora che sociale e culturale.
Se tutto ciò avviene, se tutte queste e tante altre narrazioni elementari scaturiranno da chi, in un modo o nell’altro, avrà a che fare con la città e ne dovrà riferire il personale dialogo, allora potrà scaturire ogni altra narrazione più strutturata, approfondita, articolata ovvero letteraria. Perché dalla città scaturirà vita, appunto, fatta non tanto di meri e ordinari accadimenti quanto di frementi istinti vitali e di sentimenti, emozioni, passioni, fantasie, illusioni: allora gli scrittori racconteranno la città e ne continueranno la “costruzione” materiale e immateriale, preservando nel tempo la sua bellezza, il fascino, l’attrattiva, il mistero. A beneficio di tutti quelli che, lettori o meno, decideranno di visitarla, conoscerla e venirne quanto più intensamente ravvivati.

lucerna_book1_800
Questo è un brano tratto dal mio libro
Lucerna, il cuore della Svizzera
Historica Edizioni 2016
Collana Cahier di Viaggio
ISBN 978-88-99241-94-0
Pag.167, € 10,00

Cliccate sul libro qui accanto per saperne di più!

Tallinn, una città “speciale”

Mentre la gran parte dell’Europa è sottoposta a un’ondata di caldo che definire “anomalo”, visto il periodo dell’anno in cui siamo, è minimizzante, Tallinn appare innevata (anche se non tanto e come poteva accadere fino a qualche anno fa) e con un clima più consono al periodo. A suo modo la città si mostra anche in questa occasione “speciale”, un po’ come l’ho raccontata io nel mio Tellin’ Tallinn facendone un luogo che racchiude in sé tanti luoghi, tanti paesaggi e altrettante relazioni umane con essi, come quella che personalmente ho cercato di elaborare e intessere con la città nel corso del periodo in cui ci sono stato per poter dire di esserci veramente stato, ossia facendo di quel viaggio a sua volta un’esperienza speciale. Come potrebbe e dovrebbe essere ogni viaggio autentico verso qualsiasi luogo verso cui decidiamo di andare, cioè proprio come ho cercato di raccontare nel mio libro:

Tellin’ Tallinn. Storia di un colpo di fulmine urbano
Historica Edizioni, 2020
Collana “Cahier di Viaggio”
Pagine 170 (con un’appendice fotografica dell’autore)
ISBN 978-88-33371-51-1
€ 13,00
In vendita in tutte le librerie e nei bookstores on line.

Potete scaricare la scheda di presentazione del libro qui, in pdf, e qui, in jpg, oppure cliccare sull’immagine del libro per saperne di più.

Ufficio stampa, promozione, coordinamento:

 

[L’immagine in testa al post è tratta da una livecam: cliccateci sopra per vederne le immagini in diretta.]

Il ponte con una città intorno

[Foto di Simon Infanger da Unsplash.]

Il Kapellbrücke. Forse unico vero monumento lucernese in senso identitario e identificante, il “Ponte della Cappella” serpeggia appena a valle dell’effluenza della Reuss dal lago con il suo strano andamento sghembo, la struttura coperta in legno, i pannelli triangolari dipinti con scene storiche e mitologiche elvetiche (una specie di cartoon didattico del XVII secolo) e la torre ottagonale, un tempo tesoreria cittadina e prigione, oggi negozio di souvenir (che i lucernesi potevano francamente evitare: è un po’ come vedere un tale in bermuda e ciabatte ad una cena di gala!)
Ma il suo valore non è tanto dato da quanto offra architettonicamente e artisticamente, semmai dalla sua storia recente. Il 18 agosto 1993 il ponte venne quasi totalmente distrutto da un incendio, che ridusse in cenere anche molti dei pannelli dipinti; meno di 8 mesi dopo, venne riaperto al pubblico, ricostruito tale e quale l’originale. Lucerna senza il suo Kapellbrücke era ferita, sfregiata, monca – come immaginarsi il David di Donatello decapitato, o la Primavera del Botticelli con uno squarcio nel mezzo: un’offesa che i lucernesi non potevano sopportare troppo a lungo.
È, il ponte, prova d’orgoglio della città e parimenti di cruccio (buona parte dei pannelli distrutti non vennero sostituiti e ora sul ponte si presentano vuoti, a ricordare quanto accaduto e quale monito a come basti un nulla per rischiare di perdere qualcosa di tanto prezioso per gli occhi e, soprattutto, per l’animo), e rappresentazione d’un discernimento e di un pragmatismo di stampo antico e di sapore ancora vagamente devozionale genetici, direi, messi nel freezer della storia dal passare del tempo e della vita ma ineliminabile retaggio posto oggi al servizio delle convenienze del presente, quello che vede frotte di turisti ingolfare e far vibrare le lignee strutture sospese sull’energica Reuss. In effetti, percorrere il Kapellbrücke è un po’ come transitare per l’aula dell’ONU durante un’assemblea plenaria, e fa capire perfettamente quanto Lucerna sia ritenuta e divenuta meta turistica ambita in ogni angolo del pianeta, per ogni razza, cultura, civiltà. Tutte a passeggio leggero e spensierato dentro l’aorta cittadina, senza crucci e, temo, in certi casi pure senza orgogli.

Sì, questo è un altro brano tratto da

Luca Rota
Lucerna, il cuore della Svizzera
Historica Edizioni, 2016
Collana Cahier di Viaggio
ISBN 978-88-99241-94-0
Pag.167, € 10,00

Cliccate sul libro qui accanto per saperne di più al riguardo.