Il clima è di destra o di sinistra?

Nel dibattito pubblico sul clima, se c’è una cosa che trovo tanto significativa (dello “spessore” e della “qualità” del dibattito stesso) quanto insopportabile è la strumentalizzazione ideologico-politica dei temi climatici. La “sinistra” li arroga stoltamente per sé, d’altro canto avendo ormai svenduto ogni altra sua tipica battaglia; la “destra”, in modo altrettanto stolto, li avversa ritenendoli “di sinistra” e ne fa una battaglia antitetica. Entrambe recitano la solita parte del consueto, meschino teatrino politico che ben conosciamo, nel quale se una cosa è di là non è di qua e viceversa: un teatrino che serve solamente a proferire parole senza fare fatti, con un solo risultato conseguente: una situazione climatica sempre più grave e irrimediabile a fonte di un immobilismo cronico e scellerato.

Forse, se tutti fossimo in grado di capire che, riguardo il clima e la necessaria resilienza da sviluppare, la politica non è la soluzione possibile ma è una parte tra le più gravi del problema, e di conseguenza agissimo da comunità civile critica e consapevole – innanzi tutto di avere tra le mani il proprio futuro ovvero di quanto sia pericoloso lasciarlo in mani altrui – invece che da branco privo di coscienza e costantemente bisognoso d’un segno dall’alto, le cose comincerebbero a cambiare veramente.

D’altro canto mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici è ormai divenuta una pratica culturale, non solo e non più politica – ovvero non nel senso istituzionale del termine: una predisposizione mentale e spirituale collettiva che nel principio prescinde dalle decisioni del potere e semmai si fa potere, cioè volontà di fare, impegno ad agire fattivamente essendo consci che è possibile cambiare le cose. Senza aspettare i bei proclami diffusi dai media, appunto: quelli che sentiamo da decenni grazie ai quali siamo arrivati alla situazione attuale. Ecco.

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Cambiamenti climatici e staticità mentali

[Foto di lesserland da Pixabay.]
Giovanni Baccolo, che di mestiere si occupa di ghiacciai all’Università Milano-Bicocca dove al Dipartimento di Scienze Ambientali e della Terra studia i campioni di ghiaccio provenienti da tutto il mondo (cura inoltre il bellissimo blog storieminerali.it nel quale scrive di tali argomenti) e, dunque, di clima se ne intende come pochi altri, scrive un post sul proprio profilo Facebook che avrei altrimenti scritto io in modi paragonabili, oggi:

Penso sia la prima volta che provo una sincera ansia da clima. Se maggio 2022 è così, come sarà luglio 2040? Quali colture sopravvivranno a estati sempre più secche e calde? Quale energia alimenterà metropoli refrigerate altrimenti invivibili? Abbandoneremo davvero i luoghi non più adatti alla vita? Il fatto di non sentire mai davvero parlare di questi temi è a suo modo una risposta e non mi piace per niente.

Parole che condivido in toto, considerando pure la situazione ambientale in essere: caldo torrido come fosse luglio a maggio, pochissime piogge da mesi, neve invernale scarsissima, ghiacciai che si prenderanno una gran batosta, fiumi con portare risibili, campi agricoli inariditi, siccità generale… Che abbiano ragione quei climatologi considerati “catastrofisti” i quali ritengono che il punto di non ritorno climatico l’abbiamo già ampiamente superato, alla faccia dei 2° di aumento da non superare, e il collasso ambientale sia ormai imminente?

Be’, c’è da augurarsi che sul serio siano fin troppo allarmisti, quelli. D’altro canto siamo dotati di abbondante acqua corrente nelle nostre case – per il momento – e di aria condizionata ben accesa per sopportare la situazione climatica in corso, no? Già, peccato che, in questo caso, sopportare è sinonimo di trascurare, di dimenticare. Il clima forse non è ancora collassato, la nostra attenzione e la sensibilità sul tema invece temo di sì.

I Don Chisciotte del clima

Il vero problema, della razza umana rispetto ai cambiamenti climatici in corso o quanto meno di chi la rappresenta politicamente, non è che è il tempo per agire sta scadendo oppure che sia già scaduto o che altro. Queste sono osservazioni obiettive e evidenti, per molti aspetti, tuttavia io temo che per altri siano improprie, e ciò perché mi pare che vi sia un drammatico sfalsamento temporale alla base della questione.

Mi spiego: hanno ragione quelli che ritengono l’accordo raggiunto nella COP26 di Glasgow un “buon” o “accettabile” compromesso. Lo è – lo sarebbe, sì, se fossimo nel 1991. Di contro, stiamo disquisendo intorno a dati climatici molto probabilmente già superati, a partire dalla fatidica soglia dei 1.5° o 2° di aumento delle temperature rispetto all’era preindustriale da non superare e che invece è stata superata da tempo, almeno per certe zone del pianeta (tra le quali l’Europa), come ho cercato di spiegare già qui. Non solo: come ritengono molti esperti, noi oggi subiamo l’effetto di cambiamenti climatici la cui causa è da ricercare decenni fa, e questo perché il clima, pur nell’anormale rapidità del cambiamento attuale, varia sensibilmente nell’arco di qualche decennio, non certo da un anno con l’altro – infatti un ciclo di 30 anni è il periodo classico per calcolare la media delle variazioni climatiche, secondo la definizione dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale. Questo significa che se pure da subito riuscissimo a mettere in atto delle azioni effettivamente in grado di contenere l’aumento della temperatura negli obiettivi sanciti dalla COP21 di Parigi del 2015 in poi, per ancora molti anni subiremmo un peggioramento del riscaldamento del pianeta e delle conseguenti condizioni climatiche.

Insomma, come dicevo poc’anzi: sulla questione climatica, nel concreto, stiamo ragionando su piani temporali sfalsati e disequilibrati da tempo, che per come stanno le cose ben difficilmente si potranno riallineare per fare in modo che alle nostre azioni possano corrispondere reazioni rapidamente virtuose. Finché tale riallineamento non si verificherà, temo che nessun compromesso, accordo, intesa, strategia o quant’altro di (apparentemente) condiviso tra gli stati, anche il migliore possibile, genererà veramente buoni risultati.

Sia chiaro, non è una mera manifestazione di pessimismo, questa mia, ma l’invocazione di una visione rinnovata e più consapevole di una così fondamentale questione: bisogna probabilmente cambiare il paradigma di fondo delle “nostre” azioni politiche, riagganciandolo alla realtà scientifica di fatto e non a obiettivi che ormai appaiono solo funzionali a conseguire accordi di bella forma e scarsa o nulla sostanza. Ragionare sui 1.5° o 2° gradi, allo stato attuale delle cose e degli atti, è per molti versi pura retorica funzionale solo a poter dire ai media di aver conseguito qualche tipo di accordo in realtà privo di efficacia. Per agire sulla questione climatica dovremmo avere sulle nostre scrivanie il calendario del 2040 o 2050 e quello guardare. Invece abbiamo il calendario del 2021 ma lo interpretiamo come fossimo ancora nel 1991, appunto. Dovremmo avere la reale e concreta concezione del futuro, non una costante e anacronistica percezione del passato. Dovremmo avere qualcosa, insomma, che la politica contemporanea dimostra di non avere, ecco.

P.S.: nell’immagine in testa al post c’è la copertina del nuovo numero del “The New Yorker”, assolutamente sublime, come spesso accade, nel descrivere chiaramente e con artistica nonché immaginifica rapidità come stanno le cose.

Belle parole

[Foto di Steve Buissinne da Pixabay.]
Mi si consenta il seguente appunto.

Al summit virtuale sul clima convocato giovedì 22 aprile dal Presidente USA Joe Biden in occasione della Giornata della Terra, il leader del regime cinese Xi Jinping ha sostenuto che «Dobbiamo impegnarci per uno sviluppo verde, per un’economia sostenibile  per le future generazioni», dicendosi poi certo e ribadendo che «lasceremo un mondo verde alle generazioni future».

Belle parole, vero?

Peccato che nel 2020 in Cina la crescita del carbone, che ormai pure i sassi conoscono come un combustibile fossile tra i più inquinanti in assoluto, ha compensato le centrali spente nel resto del mondo, portando al primo aumento globale della potenza da carbone dal 2015. La Cina realizzato 38,4 GW di nuove centrali a carbone nel solo anno scorso, pari al 76% del totale globale (50,3 GW). Non solo: ha anche 88,1 GW di energia a carbone in costruzione, e altri 158,7 GW sono stati proposti per essere realizzati nei prossimi anni.

“Belle parole” quelle là, proprio vero!

Meditate, gente, meditate. Anche e soprattutto quando state/starete acquistando qualche prodotto e vedete stampigliata sopra la scritta “Made in China”, già.

Fa freddo, ma fa caldo

[Foto di Gerd Altmann da Pixabay.]
Era da qualche anno che in queste settimane di inizio inverno non compariva la neve in modo così frequente, sui monti ma pure in pianura, e con temperature apparentemente “ordinarie” per il periodo. Posto ciò, non è tardata la comparsa di qualche sapientone che ancora (ancora?!?) mette in dubbio o sminuisce la sussistenza del cambiamento climatico, quantunque mi pare che tali ottusi-ad-oltranza siano sempre più rari, fortunatamente, o dotati di sempre meno sicumera al punto da permettersi di sproloquiare pubblicamente le cose suddette senza apparire degli idioti.

Però ce ne sono ancora, e ciò dimostra quanto resti indispensabile continuare a coltivare una consapevolezza scientifica, culturale, civica e politica sui temi climatici (che saranno probabilmente “il” tema e il grosso problema del futuro prossimo terrestre, altro che pandemie e cose affini!) che abbia come base fondamentale il corpus di dati oggettivi che tutti gli enti che operano nel campo rilevano con assoluta (e drammatica) coerenza. Dunque, a quelli che «Ah, ma che freddo fa? Non c’era il cambiamento climatico?» è bene ricordare e rimarcare che

[…] Gli ultimi sei anni sono stati tra i più caldi mai registrati. Il 2020, in particolare, ha fatto registrare una temperatura media globale paragonabile a quella rilevata nel 2016 e considerata la più alta mai registrata. Nonostante le limitazioni sugli spostamenti imposte in molti paesi a causa della pandemia da coronavirus, non ci sono state riduzioni rilevanti di anidride carbonica nell’atmosfera e degli altri gas che comportano l’effetto serra, con conseguenze sulla temperatura media globale.
Utilizzando i dati raccolti da Copernicus è stato effettuato un confronto tra le temperature rilevate annualmente in diverse aree del pianeta e quelle medie sul lungo periodo calcolate nel periodo dal 1850 al 1900. Nel 2020 la temperatura media a livello globale è stata di 1,25 °C più alta rispetto al periodo pre-industriale: in Europa la temperatura ha superato di 1,6 °C quella media. Per il continente è stato l’anno più caldo mai rilevato.
Nel dicembre del 2020 la temperatura media è stata più alta del solito anche in vaste aree del Canada, della Groenlandia e della Scandinavia, come anche in ampie porzioni dell’Artico e nei mari circostanti: in alcune zone la temperatura è stata più alta di 3 °C rispetto alla media del periodo pre-industriale e in alcune zone lo è stata addirittura di 6 °C.
L’aumento di 1,25 °C è molto vicino alla soglia massima di 1,5 °C indicata dall’Accordo di Parigi come critica per evitare conseguenze ancora più gravi. […]

Già.
Perché, se pur sembra che faccia piuttosto “freddo” qui, in questi giorni, fa sempre più caldo che gli anni scorsi e, soprattutto, molto più che dentro la testa di quei poveri negazionisti, nella quale il gelo della ragione continua a regnare sovrano. Ecco.

(Cliccate sull’immagine in testa a questo articolo per leggere il testo completo, tratto da “Il Post”.)