La (solita) politica delle patate

Qualche anno fa il presidente dell’Iran Mahmud Ahmadinejad, giunto a fine mandato e desideroso di farsi rieleggere, per conquistare il voto degli elettori iraniani fece distribuire 400mila tonnellate di patate, soprattutto tra le classi meno abbienti del paese le quali peraltro già rappresentavano la sua principale base elettorale. Per la cronaca, Ahmadinejad vinse le elezioni, ma poi le cose per l’Iran e la sua gente non andarono proprio benissimo: lo possiamo ben constatare oggi.

Quella mossa elettorale di Ahmadinejad, che sembrò (e sembra tutt’oggi) così rozza e anacronistica, risulta in fondo tipica dei sistemi politici dei paesi meno civicamente e culturalmente progrediti, nei quali all’assenza di competenza democratica diffusa nella società si sopperisce da sempre con elargizioni ben più materiali dunque più facilmente comprensibili, meglio ancora se in grado di generare tornaconti terzi. Ovviamente, per l’Iran di Ahmadinejad non erano tanto importanti le patate in sé e il fatto che fossero cibo utile ma la loro elargizione e l’inesorabile riconoscenza (per così dire) generata.

Ecco. Ogni eventuale riferimento a cose accadute, persone esistenti o paesi altri non è così puramente casuale.

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Una soluzione

[Foto di Colin Behrens da Pixabay.]
Non di rado, da qualche tempo a questa parte, alcuni pongono la questione della sostenibilità del diritto di voto universale nell’odierna era del populismo sfrenato, delle fake news, dei social eletti a nuovi testi sacri eccetera. Ovvero, per dirla in modo semplice: «Devono votare anche gli ignoranti?», intesi come tali non solo quelli che ignorano la realtà e le verità oggettive del mondo contemporaneo ma che pure si dimostrano carenti di cultura politica e civica, dunque inclini ad un “voto di pancia” sostanzialmente irrazionale e ingiustificabile. Tale questione viene spesso sostenuta con argomentazioni assolutamente meditate e plausibili (si veda il link lì sopra, ad esempio) le quali tuttavia, posta pure la loro scientificità, non riescono a evitare la correlata questione dell’incostituzionalità di un diritto di voto limitato e non più universale come le democrazie avanzate contemplano per proprie costituzioni, appunto – e nonostante, per il bene di quelle stesse democrazie, il buon senso al riguardo si sarebbe ormai spostato nella direzione opposta, paradossalmente ma inesorabilmente. Di contro, senza dubbio, togliere il diritto di voto politico in modo arbitrario, seppur plausibilmente e giuridicamente motivato, non appare come una gran bella cosa.

Dunque, come uscire da una così ostica antinomia?

Be’, semplice: eliminando i politici da votare. Il che ovviamente non significa virare verso l’autoritarismo totalitarista ma, all’opposto, significa rendere pienamente compiuta la democrazia, termine che – serve sempre ricordarlo – deriva etimologicamente dal greco antico δῆμος, démos,«popolo» e κράτος, krátos, «potere» e significa “governo del popolo”. Che può anche essere di natura consultiva ma non necessariamente legata a un sistema di potere politico costituito – visti poi i risultati concreti di ciò.

Una mera utopia, sosterrà qualcuno. Vero, lo ammetto, ma esattamente come lo sta diventando l’azione virtuosa delle classi politiche sovente elette in modi culturalmente e civicamente discutibili (vedi sopra, per ribadire). D’altro canto, già quasi due secoli fa il buon Thoreau aveva compreso, nel suo Disobbedienza Civile, che

Il miglior governo è quello che non governa affatto.

Perché non esiste, in buona sostanza.

Ecco.

 

Liberarsi dai governi

Non sono molti i momenti in cui vivo sotto un governo, persino in questo mondo. Se un uomo è libero nel pensiero, nella fantasia, nell’immaginazione, in modo tale che ciò che non è non gli appare mai per molto tempo come ciò che è, non è detto che governanti o riformatori stolti riescano a ostacolarlo.

(Henry David ThoreauDisobbedienza civile, a cura di Franco Meli, traduzione di Laura Gentili, Milano, Feltrinelli Editore, 1992-2018, pag.44.)

Perché Thoreau, e perché questa citazione? Perché sì, a prescindere. Leggere Thoreau, considerare il suo pensiero e rifletterci sopra, sono pratiche che dovrebbero risultare quotidiane, o più frequenti possibile, per qualsiasi individuo libero e con lo sguardo rivolto al futuro. Ugualmente, lo dovrebbero essere per qualsiasi individuo che voglia rendersi libero da certi elementi del tutto antitetici ad un buon futuro, per se stesso e per il mondo in cui vive.

Ma certo, riguardo questa citazione nello specifico, e constatando le azioni dei governi di molti stati del mondo di oggi, stolte a dir poco, mi pare che il suo messaggio diventi ogni giorno più importante e necessario, ecco.

La legge non rende gli uomini più giusti

La legge non ha mai reso gli uomini più giusti, neppure di poco; anzi, a causa del rispetto della legge, perfino le persone oneste sono quotidianamente trasformate in agenti dell’ingiustizia.

(Henry David ThoreauDisobbedienza civile, a cura di Franco Meli, traduzione di Laura Gentili, Milano, Feltrinelli Editore, Milano, 2018, pag.11.)

Votare per il “giusto”

Perfino votare per il giusto è non fare niente per esso. È solo un modo di manifestare debolmente agli uomini il nostro desiderio che il giusto prevalga. Un uomo saggio non lascerà il giusto alla mercé del caso, né desidererà che esso prevalga attraverso il potere della maggioranza. C’è ben poca virtù nell’azione delle masse.

(Henry David ThoreauDisobbedienza civile, a cura di Franco Meli, traduzione di Laura Gentili, Milano, Feltrinelli Editore, Milano, 2018, pagg.16-17.)