[Foto di Colin Behrens da Pixabay.]Non di rado, da qualche tempo a questa parte, alcuni pongono la questione della sostenibilità del diritto di voto universale nell’odierna era del populismo sfrenato, delle fake news, dei social eletti a nuovi testi sacri eccetera. Ovvero, per dirla in modo semplice: «Devono votare anche gli ignoranti?», intesi come tali non solo quelli che ignorano la realtà e le verità oggettive del mondo contemporaneo ma che pure si dimostrano carenti di cultura politica e civica, dunque inclini ad un “voto di pancia” sostanzialmente irrazionale e ingiustificabile. Tale questione viene spesso sostenuta con argomentazioni assolutamente meditate e plausibili (si veda il link lì sopra, ad esempio) le quali tuttavia, posta pure la loro scientificità, non riescono a evitare la correlata questione dell’incostituzionalità di un diritto di voto limitato e non più universale come le democrazie avanzate contemplano per proprie costituzioni, appunto – e nonostante, per il bene di quelle stesse democrazie, il buon senso al riguardo si sarebbe ormai spostato nella direzione opposta, paradossalmente ma inesorabilmente. Di contro, senza dubbio, togliere il diritto di voto politico in modo arbitrario, seppur plausibilmente e giuridicamente motivato, non appare come una gran bella cosa.
Dunque, come uscire da una così ostica antinomia?
Be’, semplice: eliminando i politici da votare. Il che ovviamente non significa virare verso l’autoritarismo totalitarista ma, all’opposto, significa rendere pienamente compiuta la democrazia, termine che – serve sempre ricordarlo – deriva etimologicamente dal greco antico δῆμος, démos,«popolo» e κράτος, krátos, «potere» e significa “governo del popolo”. Che può anche essere di natura consultiva ma non necessariamente legata a un sistema di potere politico costituito – visti poi i risultati concreti di ciò.
Una mera utopia, sosterrà qualcuno. Vero, lo ammetto, ma esattamente come lo sta diventando l’azione virtuosa delle classi politiche sovente elette in modi culturalmente e civicamente discutibili (vedi sopra, per ribadire). D’altro canto, già quasi due secoli fa il buon Thoreau aveva compreso, nel suo Disobbedienza Civile, che
Il miglior governo è quello che non governa affatto.
Forse, ma solo con una visione superficiale. Dacché il populismo non è affatto un atteggiamento che si oppone alla rappresentanza partitica della politica: infatti proprio certi partiti di oggi si fanno “baluardi” del populismo più sfrenato ma, in tal modo, accentuando la pressione del sistema di potere politico (non a caso i totalitarismi novecenteschi europei furono – e sono ancora oggi, dove si manifestano nel mondo – in principio iper-populisti nelle idee espresse e con le quali si sono imposti). In verità il mio orizzonte è ben diverso, e non a caso cito Thoreau in conclusione all’articolo – uno di cui si può dire tutto meno che fosse un populista, neppure in qualche forma antesignana. Anzi.
Nonostante la risposta, Luca, io continuo a cogliere l’antipopulismo dell’articolo esclusivamente facendo leva sul tono spesso ironico dell’intero blog. Diversamente, questioni così delicate possono essere facilmente fraintese.
Be’, lo posso capire, certamente. D’altro canto, pur se rivendico ancora l’ironica serietà della mia riflessione (il tono canzonatorio è ineluttabile, in tutti i mei scritti che trattano tali temi), in teoria non dovrebbe nemmeno sfuggire al lettore l’aspetto provocatorio delle mie parole. Che è evidente puntino a un qualcosa di sostanzialmente utopico, ma di contro il populismo non ha nulla di autenticamente provocatorio, semmai ha solo aspetti disgregativi e distruttivi. Infatti, ribadisco, è la base perfetta del totalitarismo.
Grazie delle tue osservazioni, naturalmente ne faccio tesoro! 😊
Il populismo soffre l’ironia altrui. 😉
mah, io farei votare tutti, ma metterei sulla scheda qualche domandina giusta. Se sbagli, via la scheda
Capisco l’ironia sottesa a questo editoriale.
Però potrebbe essere colta come una manifestazione assoluta di populismo.
Forse, ma solo con una visione superficiale. Dacché il populismo non è affatto un atteggiamento che si oppone alla rappresentanza partitica della politica: infatti proprio certi partiti di oggi si fanno “baluardi” del populismo più sfrenato ma, in tal modo, accentuando la pressione del sistema di potere politico (non a caso i totalitarismi novecenteschi europei furono – e sono ancora oggi, dove si manifestano nel mondo – in principio iper-populisti nelle idee espresse e con le quali si sono imposti). In verità il mio orizzonte è ben diverso, e non a caso cito Thoreau in conclusione all’articolo – uno di cui si può dire tutto meno che fosse un populista, neppure in qualche forma antesignana. Anzi.
Nonostante la risposta, Luca, io continuo a cogliere l’antipopulismo dell’articolo esclusivamente facendo leva sul tono spesso ironico dell’intero blog. Diversamente, questioni così delicate possono essere facilmente fraintese.
Be’, lo posso capire, certamente. D’altro canto, pur se rivendico ancora l’ironica serietà della mia riflessione (il tono canzonatorio è ineluttabile, in tutti i mei scritti che trattano tali temi), in teoria non dovrebbe nemmeno sfuggire al lettore l’aspetto provocatorio delle mie parole. Che è evidente puntino a un qualcosa di sostanzialmente utopico, ma di contro il populismo non ha nulla di autenticamente provocatorio, semmai ha solo aspetti disgregativi e distruttivi. Infatti, ribadisco, è la base perfetta del totalitarismo.
Grazie delle tue osservazioni, naturalmente ne faccio tesoro! 😊
Il populismo soffre l’ironia altrui. 😉
mah, io farei votare tutti, ma metterei sulla scheda qualche domandina giusta. Se sbagli, via la scheda