Bergamo e Brescia capitali 2023 del più necessario buon futuro

Da bergamasco DOC quale sono (cognomen omen!), non posso che essere oltre modo felice di avere le città di Bergamo e Brescia capitali della cultura 2023 e augurarmi che – al netto di quel logo veramente sgraziato, ma è la mia mera opinione e vale quel che vale – i tanti eventi che nel corso dell’anno si succederanno, nel contesto delle due città e nell’accoglienza dei rispettivi Genii Loci, possano veramente spargere una quantità incommensurabile (d’altronde mai sufficiente) di cultura. Che resta una delle cose delle quali il paese più ha bisogno in assoluto, ad ogni suo livello (e spesso proprio a quei livelli nei quali la cultura dovrebbe rappresentare una dote immancabile e invece manca, eccome!), ovvero la base fondamentale per costruire il suo futuro e per esso una società realmente libera, progredita, avanzata, consapevole che vi possa tracciare la migliore e più fruttuosa strada, a vantaggio di tutti – anche di chi si mostra indifferente se non menefreghista verso la cultura, già. Ma chissà che non possa rinsavire, grazie a tutto ciò!

Cliccando sull’immagine in testa al post, potrete visitare il sito web ufficiale di Bergamo Brescia 2023, che diventeranno ufficialmente “capitali della cultura” dal prossimo venerdì 20 gennaio con la doppia inaugurazione. Dunque, che sia un grande, fortunato e proficuo anno culturale per Bergamo, Brescia e per tutta l’Italia!

Cose molto interessanti, venerdì prossimo

Venerdì prossimo, 13 gennaio, potrà essere un giorno alquanto proficuo per chiunque voglia approfondire la propria conoscenza delle montagne – in modi diversi ma tutti quanti interessanti quando non necessari – e si trovi a Firenze, Cortina d’Ampezzo o Lecco. Nei primi due casi, per avere coscienza e consapevolezza di realtà in corso che mettono a rischio la bellezza e l’integrità di due emblematici territori montani; nel terzo caso, per conoscere una persona che per la montagna ha fatto tantissimo, diventandone una delle figure di riferimento in senso assoluto:

Se sarete in zona, partecipate: sono eventi che sicuramente meritano tutta la vostra attenzione.

Strade militari, incisioni rupestri, streghe e impiccati

[Lo zigzagante tracciato della strada militare del Legnone nel tratto sovrastante l’Alpe Campo e il Rifugio Griera. Foto di Ricky Testa, tratta da www.orobie.it.]

Nella Val Varrone degli inizi del Novecento esisteva unicamente il tratto di strada carrozzabile che da Casargo portava al ponte di Premana, il cui abitato solo nel 1913 venne finalmente raggiunto da una strada. Pochi anni dopo, i timori del generale Luigi Cadorna sulla possibilità che truppe nemiche potessero attaccare la Lombardia passando dalla Svizzera e confluendo nella Valtellina o nelle vallate bergamasche lo spinsero alla costruzione della linea di difesa montana poi intitolata a suo nome, della quale ti abbiamo già detto. La guerra è guerra, con le sue strategie e i diktat patriottici: per tali esigenze militari si costruì in fretta e furia una strada che collegava Dervio, sulle rive del Lago di Como, con i paesi della Val Varrone che sino ad allora erano rimasti isolati.
In un paio d’anni (1915-1916) la strada venne realizzata e i paesi della Val Varrone videro cambiare la loro vita. Dopo aver superato i villaggi di Tremenico ed Avano, nei pressi della località Gallino a 980 m di quota, un gran numero di soldati, prigionieri, operai della zona assoldati per l’impresa e donne di Pagnona che facevano da collegamento si staccarono dal nutrito gruppo di lavoratori che proseguì la costruzione della strada in direzione Pagnona e puntò in alto, realizzando un tracciato carrozzabile atto a giungere quasi in vetta al Legnone e poi scendere in Valtellina. Puoi immaginare la gran confusione e i cambiamenti, a pieno titolo “epocali”, che sconvolsero l’intera Val Varrone: tutti gli uomini abili al lavoro vennero assunti come sterratori o muratori, la strada che hai appena incrociato si arrampicò sempre di più sullo scosceso versante sudoccidentale della grande montagna assumendo via via le sembianze di un autentico capolavoro ingegneristico, fino a conquistare i 2395 m di quota della Bocchetta del Legnone, traversare sino alle citate gallerie scavate nella montagna, scollinare sul versante valtellinese e scendere per la Val Lesina fino a Delebio. In tutto vennero tracciati 44 tornanti e a ciascuno venne dato un nome legato ad una storia particolare. Il cammino della DOL intercetta la strada militare al primo di essi, il “Tornant de Galiin”, che prende il nome dal lööch di Gallino; sappi inoltre che il quinto è il “Tornant dól Termen” dove si trovano i “sas dai cöor”, delle pietre ricche di incisioni in verità non molto antiche, come invece sembrerebbero essere coppelle ed incisioni rinvenute su altri massi nelle vicinanze, ad esempio in località Piöde dal Croos e in altri contesti della valle, facendo supporre, con il supporto di ritrovamenti risalenti all’età del bronzo presso Pagnona, ad una frequentazione antichissima di questi luoghi. Accanto a denominazioni oggettive e pratiche come “Tornant dal Fòo Gros” (del grande faggio), ve ne sono altre ben più inquietanti come per il tredicesimo tornante, che riferisce di un impiccato, mentre altri ancora raccontano di luoghi adatti ai ritrovi delle streghe. L’ultimo è il “Tornant dól Mocc”, dedicato ad uno sterratore di cognome Maglia che aveva scavato una piccola grotta in cui si sistemava per passare la notte.

Questo è un brano dalla guida Dol dei Tre Signori, il volume del quale sono autore insieme a Sara Invernizzi e Ruggero Meles dedicato alla Dorsale Orobica Lecchese, uno dei territori prealpini più spettacolari in assoluto, e al trekking che la percorre interamente da Bergamo fino a Morbegno. La strada militare del Monte Legnone è realmente un capolavoro ingegneristico assoluto, e come tutte le opere così ardite abbisogna di cura e attenzione da parte di chi la percorre e di manutenzioni pressoché costanti. Per questa seconda necessità, di recente dovrebbero essere stati appaltati dei lavori al riguardo, che mi auguro siano portati a compimento nel migliore dei modi; per la prima, ugualmente l’augurio è che i viandanti sulla strada ne riconoscano il valore molteplice e l’importanza della sua permanenza nel tempo, prezioso e emblematico esempio di antropizzazione montana – nonché patrimonio di noi tutti – che dà lustro ai numerosi tesori culturali che il territorio in questione sa offrire.
Per saperne di più sulla guida, cliccate sull’immagine del libro lì sopra e… buone camminate lungo la Dol dei Tre Signori!

Alla Culmine di San Pietro

[Una veduta dei dintorni della Culmine di San Pietro, col suo tipico paesaggio prealpino che offre fitti boschi secolari e ampi pascoli tutt’oggi monticati. Immagine tratta da lavalsassina.com.]

Alla Culmine di San Pietro, antico valico che collega la Valsassina alla Val Taleggio, vale davvero la pena di sedersi e immaginare l’importanza di questo luogo nei secoli scorsi. Fin dall’epoca carolingia è stato infatti un sito di transito e di sosta: un sacello dedicato proprio ai viandanti sorgeva dove oggi vedi la chiesa, costruita intorno al 1550. I documenti attestano questa frequentazione storica: ad esempio Cesare Cantù, nella sua Grande illustrazione del Lombardo Veneto, riferisce che «nel 1790 la Colmine aveva un Castello e contava 762 abitanti», mentre secondo diverse testimonianze storiche dell’Ottocento la località era abitata esclusivamente da famiglie di bergamini, le quali avevano a disposizione ampi pascoli da fine primavera ad inizio autunno quando con le mandrie scendevano nuovamente verso la pianura lombarda.
La “Colmine” era così legata alle abitudini nomadi dei bergamini da avere riconosciuta anche una parrocchia, istituita nel 1649 e anch’essa a suo modo “nomade”: infatti nella stessa era presente un curato e si celebrava la messa solo dalla primavera all’autunno, quando erano presenti i bergamini e fino a che, ritornando in pianura a fine stagione, abbandonavano il sito imitati gioco forza dal parroco, per poi tornare l’anno successivo. Gli anziani alpeggiatori ricordano ancora l’importanza della messa, un rito sentito al punto da generare numerose leggende narranti di tremende punizioni divine e degli inquietanti incontri in cui si poteva incorrere se non ne veniva rispettato il precetto. Presso la Culmine si narrava anche che lo spirito di un cacciatore di Cremeno si aggirasse pei i boschi con i suoi cani: una leggenda che riporta alla mente le molte narrazioni legate alla “caccia selvaggia”, tema mitologico e folclorico diffuso in tutta Europa che tra Valsassina e valli bergamasche si manifestava soprattutto nei pressi di ponti e valichi, luoghi tradizionalmente infestati da presenze demoniache. La caccia selvaggia veniva sovente citata con terrore dai pastori, perché accadeva che, nel suo furioso passare, la torma di morti accompagnati da cani demoniaci e figure spettrali che la componeva si portava via qualche armento o, peggio, la salute psichica (e talvolta la vita) di chi aveva la sventura di incapparvi. Quando tra i pastori si spandeva la voce che la caccia selvaggia stava per passare era un fuggi fuggi generale, ma se poi all’appello mancavano alcuni capi di bestiame il dubbio che fosse stata la scorreria dei morti a commettere le ruberie oppure l’opera di ben più terreni e scaltri ladri aleggiava sempre. D’altronde in Valsassina, come in Valle Brembana e Taleggio, erano famose alcune figure di banditi, a loro modo leggendarie e non di rado idolatrate dalla popolazione perché rappresentavano una sorta di Robin Hood nostrani, come il terribile Sigifredo Falsandri detto Lasco, il celebre Pacì Paciana, all’anagrafe Vincenzo Pacchiana, o il più moderno Simone Pianetti, il «diavolo della Val Brembana»: “briganti” divenuti tali spesso in forza di ingiustizie subite, che si occupavano di rubare ai ricchi per dare ai poveri o di punire chi s’approfittava iniquamente del proprio potere.

Questo è un brano dalla guida Dol dei Tre Signori, il volume del quale sono autore insieme a Sara Invernizzi e Ruggero Meles dedicato alla Dorsale Orobica Lecchese, uno dei territori prealpini più spettacolari in assoluto, e al trekking che la percorre interamente da Bergamo fino a Morbegno. Un cammino che per una buona parte può essere percorso anche d’inverno e che trova nella Culmine di San Pietro una meta sempre frequentabile – pure in presenza di neve, dato che la parte della DOL che va da Morterone fino ai Piani di Artavaggio è un percorso adattissimo all’escursionismo invernale e alle ciaspole, sostanzialmente privo di pericoli – e tra le più affascinanti di queste montagne oltre che, come avete letto, ricca di storie e di narrazioni secolari.
Per saperne di più sulla guida, cliccate sull’immagine del libro lì sopra e… buone camminate lungo la Dol dei Tre Signori!

La “Dol dei Tre Signori” a Calco, venerdì

Venerdì prossimo avrò l’onore e il piacere di essere ospite, insieme all’amico e collega di penna Ruggero Meles, della Sezione di Calco del Club Alpino Italiano per presentare la guida Dol dei Tre Signori, il volume da noi scritto con Sara Invernizzi – pubblicato da Moma Edizioni su iniziativa della rivista “Orobie” – dedicato al meraviglioso itinerario che percorre la Dorsale Orobica Lecchese, da Bergamo fino a Morbegno. Un cammino e un territorio di rara bellezza, ricco di tesori naturalistici, storici, artistici, culturali, sospeso prima sulla grande pianura lombarda e poi sui versanti tra il Lago di Como, le valli bergamasche e la Valtellina, con il Pizzo dei Tre Signori a fare da fulcro fondamentale e simbolo referenziale, che la guida racconta con uno stile tanto letterario quanto confidenziale accompagnando il lettore/viandante alla scoperta delle innumerevoli emozionanti peculiarità che queste montagne sanno offrire.

D’altronde, a ben vedere, non appare affatto esagerato definire la Dol dei Tre Signori uno degli itinerari escursionistici più spettacolari delle Alpi italiane, non solo di quelle lombarde: per la varietà e la particolarità di ambienti, territori, paesaggi e valenze naturalistiche, poi per la ricchezza dei tesori artistici, culturali, storici che offre, per l’insuperabile gamma di panorami e orizzonti che regala e non ultimo, per il piacere e il divertimento che dona il suo tracciato vario e sempre agevole, mai troppo difficile o pericoloso, in alcuni tratti percorribile anche nei mesi invernali. Ed è un patrimonio che chi abita l’alta Lombardia ha la gran fortuna di ritrovarsi poco lontano dalla porta di casa: per tutto ciò la Dol dei Tre Signori merita di essere scoperta, conosciuta, apprezzata in tutto il suo valore oltre che, naturalmente, camminata a piacimento!

Dunque, appuntamento a Calco presso la sede sezionale del CAI, alle ore 21; l’ingresso è gratuito. Se siete in zona, non mancate: sarà una serata che, mi auguro, vi affascinerà profondamente.