La Rigi, una montagna dai tanti record

Il Monte Rigi – o per meglio dire la Rigi, come la chiamano gli svizzeri e la denominerò io, qui – è senza dubbio una delle montagne più celebri delle Alpi e tra le più rinomate a livello mondiale, non a caso soprannominata fin dal Cinquecento Regina Montium, la “Regina delle Montagne”. Questo non per l’altitudine, che raggiunge solo i 1798 metri alla massima sommità della Rigi-Kulm, più facilmente per la bellezza assoluta del suo paesaggio: la montagna è posta praticamente al centro della Svizzera e di quel meraviglioso accrocco lacustre composto dal Vierwaldstattersee, il Lago dei Quattro Cantoni con i suoi tanti rami, dallo Zugersee, il lago di Zug, e da altri bacini minori. Un paesaggio affascinante come pochi altri che infatti ha attratto artisti, poeti, letterati – Victor Hugo, Mark Twain, William Turner, Goethe, Tolstoj, Jean-Jacques Rousseau solo per citarne alcuni – i quali poi lo hanno decantato e così eternato nelle loro opere.

Quest’anno la Rigi celebra un anniversario storico importante e emblematico: i 150 anni dalla messa in servizio della ferrovia a cremagliera Arth-Rigi nella sua linea completa che nel 1875 raggiunse la vetta, un simbolo del genio ingegneristico svizzero e del turismo alpino moderno. Ma a ben vedere la Rigi di record ne detiene parecchi altri.

Innanzi tutto la ferrovia Arth-Rigi, che quest’anno compie 150 anni, non fu la prima in assoluto sulla montagna: fu preceduta dalla Vitznau-Rigi, che entrò in servizio nel 1871 diventando così la prima ferrovia a cremagliera d’Europa. Inoltre i bagni termali di Rigi Kaltbad, a quasi 1500 metri di quota sul versante occidentale della montagna, vennero aperti nel 1574 e furono probabilmente le prime terme di concezione moderna in quota sulle Alpi. D’altro canto ciò dimostra che la Rigi già secoli fa veniva considerata una meta per lo svago, così nel 1816 lassù venne aperta la prima locanda turistica della Svizzera e tra le prime delle Alpi. Anzi, si potrebbe persino affermare che sulla Rigi si siano manifestati i primi casi di overtourism: già nel 1819 più di mille persone al giorno raggiungevano la vetta per godere della visione del suo strepitoso panorama, nel 1848 furono oltre 50mila le presenze annue, nel 1880 le sue ferrovie trasportarono quasi 140mila passeggeri che nel 1910 divennero più di 180mila.

[Souvenir della Rigi (1870 circa) con gli hotel presenti all’epoca nelle località di Rigi Scheidegg, Rigi Kaltbad, Rigi Staffel, Klösterli e Kulm.]
Proprio in forza di tale ingente afflusso di turisti, solo qualche anno prima la Rigi aveva registrato un altro doppio record: nel 1848 al posto della locanda originaria venne costruito l’Hotel Rigi Kulm, primo vero albergo in quota delle Alpi, con ben 130 posti letto che in poco tempo divennero 200, quindi, nel 1875 sulla stessa vetta venne aperto il Grand Hotel Schreiber, primo albergo di lusso costruito in altura sulle Alpi (già all’epoca dotato di ristoranti, biblioteca, sala da biliardo, musica dal vivo, illuminazione e acqua corrente) che, oltre agli artisti sopra citati, ospitò regnanti, nobili e aristocratici vari, industriali e altri personaggi di spicco dell’epoca. Tutti che salivano per godere del paesaggio eccezionale e del citato strabiliante panorama, tra i più vasti dell’Europa, magari assistendo al sorgere del Sole da dietro le Alpi come riferì Mark Twain in un suo celebre racconto. Come accade ancora oggi ma senza l’uso di mezzi a motore, dei quali vige il divieto di circolazione sull’intera montagna: anche questo in effetti è un significato “primato” della Rigi.

Insomma, la Rigi se l’è ben meritato, il titolo di “Regina delle Montagne”, e tutt’oggi continua a giustificarlo con la sua grande bellezza, goduta annualmente da oltre un milione di turisti. Magari quest’estate qualcuno di voi, durante le proprie vacanze, la visiterà e vi salirà in vetta: nel caso sarà un piacere ascoltare le impressioni e le suggestioni di chi vivrà tale esperienza, molto “svizzera” eppure da sempre profondamente cosmopolita.

N.B.: tutte le foto che vedete sono tratte dalla pagina facebook.com/RigiOfficial, corrispettiva del sito www.rigi.ch.

Soprattutto le Alpi hanno bisogno di rispetto

[Foto di Mihály Köles su Unsplash.]

Contrariamente a quanto si pensi e sembra per la loro altezza, estensione e imponenza, le Alpi sono un territorio fragile, continuamente assediato dalle pianure circostanti per carpirne le ricchezze. Le Alpi hanno da secoli subito la rapina di legname, minerali, acqua, energia, sono state solcate da strade, ferrovie, funivie, gallerie, gasdotti, elettrodotti, sono state invase da stazioni turistiche che riproducono il peggio delle città, e da un turismo fracassone e inquinante.
Ora hanno bisogno di un nuovo turismo, di una nuova agricoltura più umana e aiutata dall’intervento pubblico, di servizi e trasporti pubblici, scuole, uffici postali, biblioteche, centri di ricerca sulla loro cultura, sovvenzioni per costruire nel rispetto della tradizione e anche per abbattere quanto è stato costruito male.
Soprattutto le Alpi hanno bisogno di rispetto.

[Alberto Paleari, L’attraversamento invernale delle Alpi. Dal lago Maggiore al lago dei Quattro Cantoni, MonteRosa Edizioni, 2017, pagg.80-81.]

Ciò che sulle Alpi scrive qui Paleari – che la catena alpina la conosce e l’ha vissuta (e vive) con intensità e sensibilità rare anche tra i più assidui frequentatori – è d’altro canto quello che pure il visitatore meno abituale ormai coglie della realtà delle nostre montagne, alpine ma pure appenniniche: basta che egli mantenga attivo il più semplice, ordinario, umano buon senso. Dal quale guarda caso scaturisce anche una delle forme più alte di rispetto, per chiunque e qualsiasi cosa.

Ci stavo pensando giusto di recente: io studio i paesaggi montani, il frutto dell’interazione tra elementi naturali e presenze antropiche mediato dai bagagli culturali specifici, e in tale categoria fondamentali i paesaggi possono essere definiti diversamente, in base alle peculiarità più identificative che li caratterizzano. Ma c’è una categoria altrettanto fondamentale, solo apparentemente immateriale, con la quale mi viene di definirli nel caso in cui l’interazione suddetta risulti considerabilmente equilibrata: paesaggi di buon senso. La quale categoria definisce in automatico anche l’opposta, i paesaggi senza senso, quelli dove l’uomo rompe ogni equilibrio generando danni d’ogni sorta materiali e immateriali, sovente irreparabili, dimostrando così non solo scarsa o nulla sensatezza ma pure assenza sostanziale di relazione con i territori montani, nei quali a volte abita pure.

Una condizione che è inevitabile generi qualche disastro, prima o poi, il quale ricadrà presto contro chi l’ha cagionato. È ciò che succede quando non si usa il buon senso, d’altronde.

Montagne di arte

Johann Wilhelm Jankowski, Blick auf den Pilatus mit Tomlishorn und Esel, (“Veduta del Monte Pilatus con Tomlishorn e Esel”) olio su tela, 1866.

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