Vi ricordo che l’incontro è libero e aperto a tutti, dunque, se potete e volete partecipare, credo (spero!) che ne uscirà qualcosa di parecchio interessante!
Cliccate sull’immagine per saperne di più.
Lunedì 27 febbraio, alle ore 15 presso l’auditorium del Liceo Scientifico Statale Paolo Frisi di Monza, interverrò nel secondo appuntamento dell’edizione 2022/2023 di “Viaggio verso l’altrove”, la rassegna dei pomeriggi culturali curata dal Liceo, in una conferenza intitolata Ghiacciai e montagna: l’altrove che ci riguarda. Tra storia, cultura e scienza: come li vediamo, come sono e come saranno. Con me ci sarà il paleoglaciologo Claudio Artoni e, a moderare l’incontro, lo scrittore e giornalista Luca Serenthà. Insieme proporremo un viaggio nello spazio e nel tempo attraverso le nostre montagne, esplorandone la relazione storica dell’uomo con esse, l’elaborazione culturale dei loro paesaggi, l’intreccio tra evidenze scientifiche e aspetti umanistici e riflettendo sugli immaginari attraverso i quali le vediamo e le frequentiamo, nel contesto della crisi climatica in corso e di ciò che ci aspetta nel tempo a venire. A guidarci in questo affascinante viaggio saranno i ghiacciai, da sempre elementi identitari e referenziali delle montagne oltre che soggetti scientifici fondamentali nello studio delle terre alte, che dal presente sanno raccontarci molto del passato e del futuro non solo dei monti ma pure di tutti noi.
La partecipazione all’incontro, come a tutti quelli della rassegna, è aperta e a ingresso libero per studenti, docenti, genitori e cittadinanza: dunque sono ben felice di invitarvi sperando che possiate partecipare e assicurandovi che, insieme, compiremo un viaggio alpino assolutamente intrigante.
Per saperne di più, sull’incontro e su tutta la rassegna in corso, cliccate sulla locandina lì sopra oppure qui.
Il giardino dell’uomo è popolato di presenze. Non sono ostili ma ci tengono d’occhio. Niente di quello che facciamo sfugge alla loro attenzione. Gli animali sono i guardiani del giardino pubblico, dove l’uomo gioca col cerchio credendosi il re. Era una scoperta, e nemmeno tanto sgradevole. Ormai sapevo di non essere solo.
Séraphine de Senlis era una pittrice dell’inizio del XX secolo, un’artista per metà pazzoide e per metà geniale, un po’ kitsch e non molto quotata. Nei suoi quadri, gli alberi erano cosparsi di occhi spalancati.
Hieronymus Bosch, il fiammingo dei retromondi, aveva intitolato una sua incisione Il bosco ha orecchi, il campo ha occhi. Aveva disegnato dei globi oculari sul terreno e due orecchie umane sul limitare di una foresta. Gli artisti lo sanno: il selvaggio vi tiene d’occhio senza che ve ne accorgiate. Quando il vostro sguardo lo scopre, lui sparisce.
[Sylvain Tesson, La pantera delle nevi, Sellerio, 2020, traduzione di Roberta Ferrara, pagg.50-51; orig. La panthère des neiges, 2019.]
N.B.: nell’immagine in testa al post, scattata dal fotografo naturalista francese Vincent Munier e tratta dal docufilm La pantera delle nevi, del quale ho scritto (e non solo) qui, c’è un animale selvaggio che vi sta guardando dritto negli occhi. Lo vedete?
Definizione dell’uomo: la creatura più prospera nella storia degli esseri viventi. In quanto specie, non ha nemici naturali: dissoda, costruisce, si espande. Dopo aver conquistato nuovi spazi, vi si affolla. Le sue città salgono verso il cielo. «Abitare il mondo da poeti» aveva scritto un poeta tedesco nel XIX secolo. Era un bel progetto, una speranza ingenua che non si era realizzata. Nelle sue torri, l’uomo del XXI secolo abita il mondo da coproprietario. Ha vinto la partita, pensa al suo avvenire, ha già messo gli occhi sul prossimo pianeta dove spedire gli esuberi. Presto gli «spazi infiniti» diventeranno la sua discarica. Qualche millennio prima, il Dio della Genesi (le cui parole erano state annotate prima che diventasse muto) era stato preciso: «Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta» (I, 28). Si poteva ragionevolmente pensare (senza offesa per il clero) che il programma era stato interamente svolto, che la Terra era stata «assoggettata» e che ormai era tempo di mettere a riposo la matrice uterina. Noi uomini eravamo otto miliardi. Restavano alcune migliaia di pantere. L’umanità non faceva un gioco corretto.
[Sylvain Tesson, La pantera delle nevi, Sellerio, 2020, traduzione di Roberta Ferrara, pagg.83-84; orig. La panthère des neiges, 2019.]
Il gioco scorretto che l’uomo pratica fin dall’inizio della sua civiltà, e in modo crescente negli ultimi secoli, si chiama antropocentrismo. È un gioco dove egli pensare di vincere senza alcun dubbio sconfiggendo chiunque altro costringa a giocare con lui, e questa sua convinzione è così forte, e altrettanto immotivata, da non fargli rendere conto che probabilmente egli verrà sconfitto prima di qualsiasi altro giocatore. Ovvero, forse, l’uomo ha già perso da tempo, cioè proprio da quando ha cominciato a credersi indubitabilmente vincitore. Già.
P.S.: a breve, qui sul blog, potrete leggere la personale “recensione” del libro di Tesson, dal quale è tratto l’omonimo film.
In molte contrade della natura noi scopriamo di nuovo noi stessi, con piacevole terrore; è quello il più bel sdoppiamento. Quanto deve essere felice colui che prova questa sensazione proprio qui, in quest’aria di ottobre costantemente soleggiata, in questo malizioso e giocondo gioco dei venti dall’alba fino a sera, in questa purissima chiarità e modesta freschezza, in tutto il carattere graziosamente severo dei colli, dei laghi e delle foreste di questo altipiano, il quale si stende senza paura accanto all’orrore delle nevi eterne, qui dove Italia e Finlandia hanno fatto alleanza e sembra trovarsi la patria di tutti gli argentei toni di colore della Natura; quanto felice colui che può dire: vi è certo molto di più grande e bello nella Natura ma questo è per me intimo e famigliare, mi è parente di sangue, anzi ancor di più.
Così Friedrich Nietzsche, nell’aforisma nr.338 de Il Viandante e la sua ombra (incluso in Umano troppo umano, vol.II, traduzione di Sossio Giametta, Adelphi, Milano, 1981), scrive della Penisola di Chastè, esile lembo di terra ricoperto di boschi che si prolunga per qualche centinaio di metri nelle acque cristalline del Lago di Sils, in Alta Engadina – località presso la quale il grande filosofo soggiornò per molte estati – sul quale amava recarsi a meditare in umana solitudine e al contempo in “compagnia” del grandioso panorama alpino engadinese. Ma non fu il solo a rimanere incantato dalla bellezza del paesaggio di Chastè, che conquistò altri grandi personaggi come Joseph Beuys e David Bowie.
P.S.: ove non indicato diversamente, le foto sono tratte dal sito Sils.ch, in particolare da questa pagina, che vi invito a leggere (è in inglese) per conoscere molte belle cose riguardo Chastè e il territorio di Sils.