Vi avviso fin da subito: questa è una “non recensione”. O, per meglio dire, non sarà una “recensione” del libro in questione nel senso classico del termine. Non perché non abbia nulla da scrivere al riguardo – in verità ho già scritto tanto su Arto Paasilinna e sui suoi libri, le cui edizioni italiane ho letto quasi per la loro interezza, e le relative “recensioni” le trovate nella pagina del blog ad esse dedicata. D’altro canto di cose da scrivere su Paasilinna ce ne potrebbero essere ancora moltissime: nel pur variegatissimo panorama letterario nordeuropeo, l’autore finlandese rappresenta un unicum, una sorta di dimensione narrativa e stilistica a se stante – anche se perfettamente inserita in quel panorama e pienamente rappresentativa di esso – uno scrittore i cui libri, una volta appurato che al lettore piacciano, si possono tranquillamente comprare a scatola chiusa ovvero senza nemmeno leggerne la presentazione in occasione della pubblicazione: perché Paasilinna è Paasilinna, punto.
Dunque, riguardo questo Un uomo felice (Iperborea, Milano, 2021, traduzione di Nicola Rainò; orig. Onellinen mies, 1976), ultimo romanzo di Paasilinna in ordine di tempo a essere pubblicato da Iperborea in Italia, potrei rimandarvi a quanto ho scritto degli altri suoi libri letti, posto che la sinossi di quest’ultimo la trovate nel sito della casa editrice o altrove, così come potete facilmente rintracciare numerose recensioni “classiche” in giro per il web. Potrei aggiungere solo che Un uomo felice mi pare uno dei romanzi più “politici” di Paasilinna, ovvero un testo nel quale il suo peculiare stile tanto umoristico quanto disincantato viene intrecciato più di altri alla situazione sociale e politica reale della Finlandia dell’epoca, un posto peraltro nel quale certi aspetti della società di cinquant’anni fa sono più o meno gli stessi di oggi e sono suppergiù assimilabili a quelli di altre zone di questa parte di mondo («tutto il mondo è paese» no?): perché ovunque, nello stato più avanzato come in quello più scalcinato, vi sono disuguaglianze e disparità sociali, ingiustizie più o meno grandi, politici furbeschi e compari marpioni e tutt’intorno una comunità civile che ama coltivare luoghi comuni e conformismi facendone la base del proprio modus vivendi quotidiano senza troppo considerare che siano cose nobili e sensate o viceversa spregevoli e illogiche – sapete bene che «vox populi vox dei», per citare un altro adagio popolare.
Detto ciò, metto Un uomo felice da parte e torno nell’ambito della mia suddetta “non recensione” […]
(Potete leggere la recensione completa di Un uomo felice cliccando sulla copertina del libro lì sopra, oppure visitate la pagina del blog dedicata alle recensioni librarie. Buona lettura!)