La stagione migliore per il Monte di Brianza

P.S. – Pre Scriptum: la recente “ospitata” presso il CAI di Calco per la presentazione della guida DOL dei Tre Signori mi ha riportato alla mente l’articolo che potete leggere di seguito e dedicato alla montagna di casa per gli amici calchesi e per chi abita le zone limitrofe, ovvero il Monte di Brianza. Un “piccolo” massiccio prealpino che sa regalare grandi sorprese, la cui scarsa elevazione altitudinale è inversamente proporzionale all’ampiezza di vedute panoramiche e di possibilità escursionistiche per le quali peraltro sono proprio i mesi invernali il periodo migliore, quando altre mete più prettamente montane sono irraggiungibili mentre qui il fascino intrigante dell’inverno prealpino si manifesta in tutta la sua suggestività. Ve lo ripropongo, dunque, insieme all’invito a conoscere e esplorare il Monte di Brianza: la sua bellezza e le peculiarità che offre vi sorprenderanno, ne sono certo.
Buona lettura.

Il fascino discreto (e un po’ magico) del Monte di Brianza

[Il Monte di Brianza dalla sommità del Monte Tesoro. Foto di © Alessia Scaglia; cliccateci sopra per ingrandirla.]
Il Monte di Brianza è uno dei quei luoghi per diverse “ragioni” (tutte assolutamente opinabili) troppo poco considerati e apprezzati. Vuoi perché troppo “facile” da raggiungere, così a ridosso della Brianza (come suggerisce il toponimo) e del milanese, vuoi perché monte dalle fattezze di tozza collinona boscosa priva delle più suggestive asperità tipiche della montagna “vera”, vuoi perché troppo bassa al cospetto dei monti vicini, ben più elevati e rinomati al confronto dei quali sembra appiattirsi intimorito. Be’, tutte cose oggettive ma fuorvianti, perché il Monte di Brianza è invece un luogo assolutamente affascinante e ricchissimo di numerosi piccoli e grandi tesori, un lembo di rigogliosa Natura inopinatamente poco contaminato e antropizzato a pochi km dall’ultracementificata (e inquinata) Brianza e dalla grande Milano, che veramente sembra galleggiare tra i troppi e disordinati segni dell’uomo in questo territorio come un’isola magica, misteriosa e attraente (si veda l’immagine notturna nella galleria fotografica qui sotto e la macchia scura del monte tra le mille luci dei paesi e delle città d’intorno, per cogliere una tale percezione), nella quale il vagare – tra i suoi boschi lungo sentieri e mulattiere secolari che raggiungono luoghi di delicata e antica bellezza – (ri)genera sensazioni piacevolissime, tanto imprevedibili quanto intense.

Ci si sente sospesi, sul San Genesio (altro toponimo del monte, dal nome di una delle sommità principali) in una sorta di piega dello spaziotempo, nella quale certamente giungono i rumori e le visioni della pianura ma sono come filtrati dai “bordi” della sfera ambientale che circonda la montagna e la separa, in modo geograficamente indistinto ma paesaggisticamente netto, dal resto del mondo d’intorno. Ci si trova a poche centinaia di metri in linea d’aria da impianti industriali e strade estremamente trafficate ma da essi ci si sente ben più lontani: forse proprio grazie al vivido e inatteso piacere di ritrovarsi in un’isola di virente quiete così bella e – per molti, ribadisco – inaspettata, che risintonizza i sensi su armonie diverse, fuori dall’ordinario.

Volendo lasciar libera la mente di vagare nei reami della fantasia, verrebbe da pensare che, muovendosi sul placido crinale del Monte di Brianza – che ha orientamento Nord-Sud, più o meno – lungo il sentiero che lo percorre interamente, ci si potrebbe credere in cammino lungo la schiena del Genius Loci del monte, il cui corpo si manifesti nelle fattezze di un ciclope addormentato a pancia in giù, appunto, la testa nascosta sotto il Monte Barro (l’altura adiacente a settentrione) e le gambe che affondano nelle pianure a Sud, verso le colline del Curone; un gigante placidamente a riposo ma assolutamente vivo, vibrante di energia e vitalità al punto da poterla percepire, camminandoci sopra, e sentirla come una forza naturale preziosa e benefica, di quelle che certi luoghi speciali sanno emanare consentendo a chi vi si trova di stare bene lì, di sentirsi ben accolti e compiaciuti di starci. E, a ben vedere, quanto vi ho appena raccontato può essere considerato un volo della fantasia solo nella sua forma metaforica dacché, al di là delle mere suggestioni “letterarie”, veramente il Monte di Brianza – o il suo Genius Loci – emana una propria vitalità peculiare: tenue, delicata, eterea più che altrove, in territori montani maggiormente scenografici (per l’immaginario comune), eppure nitida, a suo modo definita, che si può cogliere con un minimo di sensibilità in più rispetto all’ordinario.

Comunque, anche chi invece volesse far vincere la fantasia sulla razionalità e da essa lasciarsi piacevolmente irretire, sul San Genesio può farlo “a ragione”, viste le numerose leggende che sul monte si possono trovare, e che la fotografa Maria Cristina Brambilla ha raccontato sul numero di novembre 2020 della rivista “Orobie” e in questo suggestivo video:

Insomma: se non l’avete mai fatto prima, o non ancora con la più consona e sensibile attenzione, esploratelo, il Monte di Brianza. Per farlo in modo ben consapevole, potete consultare il sito web dell’Associazione Monte di Brianza (dal quale ho tratto anche le fotografie qui presenti), dove trovate ogni informazione utile al riguardo e molte altre suggestioni altrettanto utili e intriganti.

P.S. – Post Scriptum: sul Monte di Brianza ho scritto anche qui.

 

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Di antiche storie scritte “sul” Monte di Brianza

Questa volta io e Loki, il mio fidato segretario personale a forma di cane – sempre più abile nella sua mansione di «scovavecchisentieri» -, siamo andati a leggere antiche narrazioni di paesaggi antropici inscritti con caratteri selciati di vario stile sulle “pagine” del libro-Monte di Brianza, lì dove le prime propaggini prealpine si innalzano tra la pianura alto-milanese e la valle dell’Adda, le cui acque da poco uscite dal Lago di Como fluiscono verso Sud.

Anche qui, a poche centinaia di metri in linea d’aria da strade ipertrafficate e abitati rumorosi, boschi giovani ma già orgogliosamente rigogliosi nascondono e sovente inglobano nel proprio manto virente innumerevoli segni umani che oggi raccontano – a chi sa coglierle – di relazioni ormai dimenticate degli abitanti di queste zone con il monte e i suoi fianchi i quali, sempre aguzzando la curiosità e lo sguardo per intrufolarsi tra le ramature ombrose e i fitti cespugli, rivelano la presenza frequente di terrazzamenti e altri adattamenti che l’uomo ha invocato alla montagna e la montagna – d’altro canto qui del tutto bonaria e quasi del tutto priva di precipitevoli rudezze più classicamente alpestri – per secoli ha concesso.

Poi, anche qui come in innumerevoli altri posti, tutto è cambiato: per fortuna (forse) per gli abitanti, purtroppo per la montagna, che da inseparabile sodale di esistenza e resilienza quotidiana è diventata quasi del tutto estranea, all’improvviso lontana, quasi temuta con questi suoi boschi ora così densi e ombrosi da sembrare diffidenti verso chi ora li penetra.

Ma quassù, se pur a molti questo luogo suscita ormai un che di selvaggio, in verità c’è ancora un paesaggio, diverso da com’era un tempo ma nemmeno troppo. Il libro-territorio ha pagine polverose e un po’ sgualcite sulle quali tuttavia si possono ancora leggere piuttosto bene molte scritte, numerose narrazioni, diverse storie stese sul monte come sul tempo che raccontano il paesaggio e che consentono al viandante di farne parte, anche solo per qualche momento. Trovo sempre affascinante constatare la realtà di questi luoghi nei quali la Natura s’è rapidamente ripresa lo spazio che aveva concesso all’uomo, il quale in origine glielo aveva richiesto, a volte anche in modo pressante e poi, nel giro di breve tempo, ha deciso di disinteressarsene. Affascinante è il contrasto tra il bosco rigoglioso che ammanta la gran parte del monte e di primo acchito suscita sensazioni di vigorosa selvatichezza inglobando rapidamente ogni cosa, come se fosse lì da secoli, e la presenza comunque ancora lampante di tantissime tracce umane che raccontano d’un passato assai meno selvatico, appunto. Come la bellissima mulattiera selciata che io e Loki abbiamo seguito: nella prima parte assai deteriorata al punto da poter essere confusa con l’alveo di un ruscello in secca (ma che tale ritorna a essere nel caso di forti piogge, temo), la mulattiera rivela se stessa e la propria storia penetrando sempre più nel bosco e salendo in quota, quando comincia a diventare visibile l’artificialità della disposizione delle pietre che spuntano dal terreno le quali poi si conformano in una selciatura ormai evidente e particolare, diversa rispetto a quelle che si possono riscontrare a solo pochi km di distanza sui monti dell’altra sponda della valle dell’Adda (storicamente un altro mondo, tuttavia, che il fiume ha diviso politicamente e sotto certi aspetti anche culturalmente per molti secoli) e con peculiarità a volte insolite – come l’improvviso cambio di tipologia di selciato che si vede bene in una delle immagini che vi propongo qui.

Poi, la mulattiera – le cui origini, al di là della selciatura oggi visibile, sono sicuramente antiche, visto che porta a un nucleo abitato già citato su documenti dell’anno 1085, sbuca nel bosco e giunge nei pressi della propria meta, a suo modo del tutto emblematica rispetto – ovvero in antitesi – all’itinerario appena percorso e altrettanto parossistica riguardo la relazione tra l’uomo contemporaneo e la montagna che si è sviluppata dal dopoguerra in poi, quando l’ambiente naturale è spesso diventato uno mero strumento da sfruttare per ricavarne interessi e tornaconti del tutto avulsi dal contesto geografico, dalla sua storia e dal patrimonio culturale che il paesaggio conserva. Sto parlando di Consonno, sì: forse uno dei primi non luoghi in altura nel senso più significativo della definizione (quando la definizione non esisteva ancora, peraltro). Ma in effetti questa è un’altra (non) storia, ecco.

Stalle a drappelli, o distratte

[Stalle di Ferubar a Bosco Gurin, Canton Ticino, Svizzera. Foto di Cassinam, opera propria, CC BY-SA 4.0, fonte: commons.wikimedia.org.]

Stalle di sola pietra, o di legno con zoccolo, o tutto legno, scurito, quasi nero talvolta; a drappelli con respiro come avvii di villaggi, o isolate, quasi distratte, che l’occhio errando è contento di ritrovare. Le più famigliari hanno accanto una fontana senz’acqua, guardandola sembra di vedere il getto limpido uscire come una volta, scosso d’improvviso dal vento.

[Giorgio Orelli, Primavera a Rosagarda in Rosagarda, Edizioni Casagrande, 2021, pag.12.]

Le case fanno fatica a darsi la mano

Alla fontana in mezzo al villaggio mi sono accorto che dopo la rapida pulizia di questi anni le case fanno fatica a darsi la mano e sono meno allegre. Cede all’asfalto l’erba; amica dei nostri piedi nudi, dei nostri giuochi non solo infantili. Non si vede anima viva e anche a me sembra d’essere vivo per miracolo, uno che c’è e non c’è. Si muove una tendina nella vecchia casa dove zio Gaetano aveva il suo laboratorio di scultore in legno. Ombra, sgomento d’un attimo, presto l’occhio mi avverte che un vetro è rotto, così che il vento scosta la tendina come una mano invisibile. Nessuno è veramente assente in questo silenzio, e mio zio è là, nella stanza troppo stretta che si scrolla da tutti gli oggetti appesi polvere e polvere, ora che il tornio primitivo canta e traballa sotto le mani magre, abilissime.

(Giorgio OrelliLa morte del gatto in Rosagarda, Edizioni Casagrande, 2021, pagg.70-71. La foto in testa al post ritrae Savogno, borgo semiabbandonato nella Val Bregaglia italiana, in provincia di Sondrio. Crediti: clickfor_lombardia; fonte: in-lombardia.it.)

La montagna più “importante” della Valtellina

I milioni di turisti e viaggiatori che negli anni hanno percorso la Valtellina, una delle più belle e rinomate vallate alpine, avranno forse notato che il suo solco longitudinale rispetto alle catene montuose circostanti (altra interessante peculiarità valtellinese, visto che di contro la maggior parte delle valli alpine presenta andamenti trasversali ai monti che le contornano) ha un andamento sostanzialmente rettilineo salvo che, a poca distanza dalla città di Morbegno, la valle compie una strana “S” che rompe quella sua rettilineità.
Ecco, in corrispondenza di quella chicane si trova una delle montagne più importanti e affascinanti di Valtellina – ma non c’è da guardare troppo in alto, verso le spettacolari vette del Masino o i possenti gruppi orobici. No, la montagna in questione è in verità un collinone rotondeggiante e dal corpo pressoché boscoso che supera di poco i 900 m di altitudine, così soverchiato dai monti d’intorno da pensare che ben pochi, transitando da lì, lo possano notare (oggi ancor di più, visto che viene oltrepassato dalle recenti gallerie della Strada Statale 36). Invece, appunto, è tra le montagne fondamentali della Valtellina: perché è grazie al Culmine di Dazio – questo il suo oronimo, generalmente declinato al maschile, dunque “il Culmine”, aggiunto al riferimento del paese posto sul suo versante settentrionale, anche se è ugualmente diffusa la forma Colma di Dazio, femminile – dicevo, è merito suo se la valle è fatta in quel modo.

[Una mia elaborazione, su base Google Maps, che vi rende evidente la “chicane” della Valtellina provocata dal Culmine di Dazio.]
Come spiega bene il sempre ottimo Massimo Dei Cas – grande esperto di questi territori alpini – su “Paesi di Valtellina”, «le rocce della sua sommità sono costituite da un plutone granitico, il cosiddetto “granito di Dazio”, generato dall’intrusione di magma in una preesistente struttura di rocce metamorfiche. Ciò avvenne in tempi antichissimi, prima ancora che la catena alpina si fosse formata. Il monte, dunque, è un vero e proprio vegliardo, al cui cospetto le più alte ed eleganti cime del gruppo del Masino sono ancora giovani pivellini.»

Per tale motivo, una montagnetta dall’apparenza così dimessa rispetto alle cime che ha tutt’intorno possiede in verità una tempra geologica incredibile, al punto che il grande ghiacciaio dell’Adda, quello che ha “scavato” l’intera Valtellina e di seguito il bacino del Lago di Como (dunque non un ghiacciaietto dilettante, eh!) il quale se ne veniva prestante e baldanzoso dall’alta valle con andamento rettilineo dacché nessun ostacolo pareva poterne deviare l’avanzata, quando giunse al cospetto del Culmine di Dazio – che se ne stava lì già da milioni di anni, come detto – andò a sbattergli contro con tutta la potenza determinata dalla propria immane massa glaciale in movimento ma proprio non gli riuscì di spostarlo, disgregarlo o spianarlo. Il piccolo ma forzutissimo Culmine restò ben saldo nella propria ancestrale posizione e al grande ghiacciaio non restò altro che girargli intorno – chissà con quanto sconcerto e frustrazione, verrebbe da immaginare! – per poter poi continuare il proprio deflusso, nuovamente rettilineo, verso Occidente e la zona occupata dal Lago di Como. L’unica cosa che al grande ghiacciaio riuscì, nel vano tentativo di vincere la resistenza del Culmine, fu di levigarne almeno un poco il corpo roccioso, conferendogli la caratteristica forma arrotondata che lo distingue da tutte le altre montagne circostanti.

Dunque, se magari nelle imminenti vacanze d’agosto vi capiterà di soggiornare in Valtellina o di visitarla per qualche amena scampagnata sulle sue splendide montagne, e constaterete di essere nel punto in cui la valle (e la strada di conseguenza) zigzaga improvvisamente, date un occhio sopra di voi e rendete omaggio al piccolo/grande Culmine di Dazio. E se per questo non vi bastasse ciò che vi ho raccontato fino a qui, be’, sappiate pure che da qualche parte sul Culmine c’era un antichissimo castello oggi scomparso, dei misteriosi cunicoli sotterranei, alcune miniere di ferro e una di oro abbandonate da secoli e, persino, delle enormi “uova di drago”, già.

Insomma, il piccolo e all’apparenza umile monte ha carisma e fascino da vendere, ne converrete anche voi! Per saperne di più, sul Culmine di Dazio, cliccate qui, su “Paesi di Valtellina”, o sulle immagini presenti in questo articolo. Se poi deciderete di visitarlo, non posso che augurarvi buone esplorazioni sul «monte magico»!