L’incessante e impunita distruzione dei sentieri da parte dei motociclisti

Nelle immagini, riprese di recente dallo scrivente, potete vedere i danni causati ai sentieri in zone boschive dal transito di motociclette, in particolar modo quelle da trial. Sentieri, inutile affermarlo, al cui inizio c’è in bella mostra il divieto di transito alle motociclette. Cliccate sulle varie immagini per ingrandirle.

Le gomme tassellate estirpano la superficie erbosa, scavano il terreno e spargono ovunque il terriccio, spostano i massi che formano il fondo calpestabile e divelgono le pietre che bordano i gradoni che agevolano il cammino. Tutto ciò ancor più se ha piovuto di recente e il terreno risulta ancora ammorbidito; appena torna la pioggia, l’acqua scorre nei canali e nelle piccole trincee scavate dalle gomme delle moto, le amplia e le approfondisce sempre più dissestando di conseguenza in modo crescente il sentiero per l’intera ampiezza, così rendendo sempre più difficile il cammino per gli escursionisti. Figuratevi in presenza di un nubifragio, come quelli che il clima attuale rende frequenti e viepiù violenti: con pochi passaggi delle motociclette l’agevole sentiero di un tempo si trasforma nel letto di un ruscello caratterizzato da un dissesto crescente e inarrestabile.

Una situazione del genere è ancora più ignobile se constatata – come è il caso documentato dalle mie immagini – lungo una mulattiera storica che presente ancora molte parti selciate nella tecnica tipica della zona, sicuramente vecchie di qualche secolo, come si vede in una delle immagini lì sopra*: una via rurale di grande valore culturale che andrebbe protetta, salvaguardata e manutenuta, non lasciata in balìa della demenza motorizzata dei trialisti e di quelli della stessa risma, che ovviamente se ne fottono della bellezza e della valenza storico-culturale dei tracciati che distruggono.

Purtroppo queste sono situazioni ancora drammaticamente diffuse sulle nostre montagne, anche perché godono di sostanziale impunità; se poi si considera che in Lombardia come in altre regioni alcuni politici ignobili agevolano tale impunità con provvedimenti a ciò funzionali, sostenuti dai vertici regionali, capite bene a quale devastante pericolo siano sottoposti i sentieri e chi li voglia percorrere. I Carabinieri Forestali e le altre forze di polizia aventi competenze al riguardo possono fare ben poco senza cogliere i vandali motorizzati sul fatto. Che resta da fare, dunque? Giustizia privata? Non è mai cosa auspicabile, certamente: ma quei motociclisti, per i danni che si divertono a cagionare a un patrimonio di tutti e anche per i modi prepotenti che a volte manifestano, in qualche modo la devono pur pagare. Ineluttabilmente.

*: per chi se lo stia chiedendo, si tratta della mulattiera che da Olginate sale verso Consonno, sul versante orientale del Monte di Brianza (provincia di Lecco), territorio della quale si ha la certezza della frequentazione antropica fin dall’anno Mille. La zona è da anni in preda a tali sevizie motociclistiche, come denunciato diverse volte sui media locali dalle associazioni di tutela del territorio e che manutengono i sentieri locali, ad esempio qui.

Il clima che cambia sui monti e la Coppa del Mondo di sci che invece no (e le conseguenze si vedono)

[La surreale situazione a Garmisch Partenkirchen sabato 27 gennaio 2024, durante le gare di Coppa del Mondo di Sci.]
Lunedì 12 febbraio “Il Post ha pubblicato un articolo intitolato Lo sci sta diventando impraticabile a livello agonistico? nel cui sottotitolo si denota, significativamente, che «I frequenti infortuni tra gli atleti stanno alimentando ormai da tempo una riflessione sulle ripercussioni del cambiamento climatico sugli sport invernali».

Ecco alcuni passaggi dell’articolo:

La recente caduta della sciatrice italiana Sofia Goggia, che si è fratturata tibia e malleolo tibiale della gamba destra durante un allenamento a Ponte di Legno, in provincia di Brescia, è stata citata da diversi commentatori come un esempio di infortuni sempre più frequenti tra sciatrici e sciatori professionisti. Parte della responsabilità delle cadute è attribuita dagli stessi commentatori a cause eterogenee, ma che nella maggior parte dei casi hanno a che fare con gli effetti diretti e indiretti del cambiamento climatico: effetti che sono già da anni oggetto di un esteso dibattito sul futuro degli sport invernali.
Nelle settimane e nei mesi prima dell’infortunio di Goggia si erano fatti male diversi altri atleti e atlete di alto livello, tra cui lo sciatore norvegese Aleksander Aamodt Kilde. A fine gennaio anche la statunitense Mikaela Shiffrin, la più vincente sciatrice nella storia della Coppa del Mondo di sci alpino e una delle più forti di sempre, era caduta nella discesa libera di Coppa del Mondo a Cortina d’Ampezzo. Shiffrin, peraltro fidanzata di Kilde, era stata nel 2023 – insieme all’italiana Federica Brignone, lo stesso Kilde e altri atleti – tra le principali firmatarie di una lettera indirizzata alla FIS per sollecitare un maggiore impegno della Federazione nel pianificare gli interventi necessari per garantire la sostenibilità ambientale degli sport invernali. La lettera citava come ragioni delle preoccupazioni crescenti da parte degli atleti e delle atlete il frequente annullamento delle gare per mancanza di neve, la riduzione delle possibilità di allenamento prima delle gare, dal momento che «i ghiacciai si stanno ritirando a una velocità spaventosa», e l’impossibilità di produrre neve artificiale a causa dell’aumento delle temperature.

Ciò che l’articolo de “Il Post” descrive è una situazione che già moltissime persone, e in primis gli appassionati di cose di montagna, hanno notato e segnalato, ovvero come anche la Coppa del Mondo di Sci, un tempo lo strumento di promozione della disciplina e ancor più delle località sciistiche che ne ospitavano le gare (ma di rimando di tutto il comparto turistico dello sci alpino) si stia sempre più trasformando nella manifestazione di un vero e proprio accanimento terapeutico, di natura ormai ben più commerciale che agonistica, nei confronti delle montagne (come ho scritto già qui). Sicuramente molti ricorderanno quanto accaduto per due autunni di fila sul Ghiacciaio del Teodulo, tra Zermatt e Cervinia, scavato e spianato per consentire le gare di apertura della Coppa del Mondo poi annullate per la mancanza di condizioni meteoclimatiche adatte, le irregolarità rilevate dagli organi istituzionali svizzeri, le proteste di buona parte dell’ambiente – atleti della Coppa del Mondo inclusi – e gli scantonamenti tentati dai referenti della FIS – Federazione Internazionale dello Sci dalle proprie responsabilità. Da lì in poi la stagione in corso (come d’altronde già le precedenti da alcuni anni) si è protratta tra mille problemi legati alla situazione climatica, con molte gare annullate, condizioni difficili quando non pericolose – come rileva “Il Post” – e comunque inaccettabili ai fini della regolarità delle gare, senza contare la tristezza di veder gareggiare ormai di frequente i più forti sciatori del mondo su nastri di neve artificiale stesi tra i prati, malamente nascosti dietro le installazioni pubblicitarie degli sponsor della Coppa del Mondo. Insomma: una pessima promozione – salvo rari casi – per lo sci, le località sciistiche, le montagne e per tutto l’indotto a ciò correlato. Eppure da parte degli organi federali internazionali sembra si faccia ancora orecchie da mercante, comportandosi come se nulla stesse accadendo per tentare di star dietro al proprio business a prescindere da ogni altra cosa: i risultati di tale atteggiamento deprecabile purtroppo si sono visto rapidamente, e spesso a scapito della salute degli atleti, appunto.

Fatto sta che pure la Coppa del Mondo di Sci è ormai diventata una chiara e inequivocabile prova della necessità, per tutto il comparto sciistico, di cambiare i propri paradigmi per adattarsi, dove possibile, alla realtà climatica in divenire o per convertirsi a pratiche più consone e sostenibili sia dal punto di vista ambientale che da quello sociale, economico e culturale, anche per salvaguardare il più possibile la manodopera che lavora nel comparto e l’indotto ad esso legato. Evenienza che potrà essere criticata quanto si vuole, da chi da dentro il comparto sciistico teme di perdere privilegi acquisti in passato, ma d’altro canto inevitabile (a meno di palesare demenze piuttosto gravi) e infinitamente meno dannosa del perseverare con il sistema sciistico industriale come nulla fosse. Lo fa la FIS con la Coppa del Mondo di Sci e, come visto, i suoi atleti si fanno male; lo farà l’industria dello sci e in questo caso a farsi male saranno tutte le montagne con chi le abita.

P.S.: mi sono occupato altre volte del tema di cui avete appena letto, ad esempio un anno fa in questo post.

Bormio si sta giocando con un bluff il proprio paesaggio?

Lo scorso 11 agosto pubblicavo un articolo intitolato “La piana dell’Alute a Bormio è salva. Forse.” a seguito della notizia circa la sospensione dell’iter burocratico per la realizzazione della “tangenzialina dell’Alute”, la famigerata nuova strada che, nella località dell’Alta Valtellina sede olimpica dei giochi di Milano-Cortina 2026, al fine di collegare più rapidamente gli impianti sciistici alla viabilità ordinaria distruggerebbe l’omonima piana, unica area agricola rimasta nella conca bormina, degradandone il paesaggio e rendendo possibili (se non pressoché certe) future cementificazioni immobiliari – probabilmente il vero motivo alla base d’una tale strada altrimenti pressoché inutile.

Scrivevo forse, già, e nell’articolo rimarcavo che «Sembrerebbe una buona notizia, senza dubbio, ma siamo in Italia e avendo a che fare con le istituzioni nostrane i verbi al condizionale sono d’obbligo: infatti ho scritto che “per il momento” l’iter è sospeso. Leggendo tra le righe delle dichiarazioni rilasciate dagli amministratori pubblici sul tema, contraddistinte dalla solita inquietante fumosità, i dubbi sulla reale presa di coscienza civica riguardo la pericolosità dell’opera (che già ha fatto guadagnare a Bormio la “Bandiera Nera” di Legambiente) non si dipanano affatto. Anzi.»

Difatti, ecco qui:

D’altro canto non serve essere dei Nostradamus per prevedere che certi politici contemporanei basino la loro attività amministrativa locale su false promesse, pressapochismo, voltagabbanismo, incompetenza politica, scarsa onestà intellettuale nonché, se interrogati per chiedere conto di tali loro comportamenti, sul rifiuto del dibattito democratico. Ancor più ciò accade quando di mezzo vi siano tanti soldi da spendere e grazie ai quali farsi belli di fronte alla stampa – che in vista delle prossime Olimpiadi invernali sarà non solo locale o nazionale ma internazionale.

Peccato che quei soldi da spendere siano denaro pubblico, dunque di noi tutti; peccato che la strada dell’Alute la si voglia realizzare in «aree dalla pericolosità alluvionale classificata come “scenario frequente” del Frodolfo (come accaduto nell’agosto 2023, n.d.L.) o in dissesto idraulico e idrogeologico. La rotonda d’ingresso alla strada ricadrà addirittura all’interno della fascia di rispetto del Frodolfo di 10 metri, e parte del territorio in cui insisterà la tangenziale è classificato come “area prioritaria per la biodiversità” nonché “insieme paesistico di eccezionale importanza”» (per avere maggiori dettagli al riguardo potete leggere l’articolo di “Altreconomia” cliccando sull’immagine lì sopra); peccato quindi che quei soldi saranno l’ennesimo spreco di risorse pubbliche per un’opera non solo inutile ma pure mal progettata oltre che degradante il territorio e foriera di ulteriori spese pubbliche per i danni che inevitabilmente potrebbe subire.

Peccato che i destini delle nostre montagne, dei loro territori meravigliosi tanto quanto delicati, dei paesaggi preziosi e inestimabili e delle comunità che li abitano e li vivono quotidianamente siano nelle mani di amministratori locali così palesemente disinteressati ad agire con buon senso e con autentica sensibilità verso quelle (loro) montagne. Il Comune di Bormio si sta giocando a poker sul tavolo olimpico il proprio territorio e vuole bluffare: ma se perde lui, in concreto perderà tutto il territorio e la sua gente, nessuno escluso, con conseguenze la cui gravità è difficile prevedere.

[Come si evince dalla mappa nell’immagine sopra, la strada dell’Alute passerebbe proprio dove il torrente Frodolfo è esondato la scorsa estate. Immagine tratta dall’articolo di “Altreconomia” citato nel post.]
Il Comitato “Bormini per l’Alute”, che con numerose iniziative sta promuovendo la salvaguardia della piana, ha già annunciato che ricorrerà legalmente contro le decisioni dei Comune. Una decisione doverosa, ovviamente. Tuttavia, come rimarcavo qualche giorno fa in questo altro post, è desolante e irritante constatare che in Italia, stato di diritto e costituzionalmente democratico (quella Costituzione che all’articolo 9 «Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni», è bene rimarcarlo), per dirimere questioni per le quali basterebbe il più ordinario buon senso bisogna ricorrere alle vie legali e affidarsi al sostegno di un buon avvocato.

È una questione non tanto e non solo politica o giuridica ma soprattutto culturale. Di manifestazione d’una autentica cultura della montagna, di valide e consapevoli competenze, di attenzione, cura, sensibilità, visione verso i territori montani e le loro comunità. Tutte cose indispensabili che tuttavia troppo spesso la politica non è proprio in grado di manifestare, con le tristi conseguenze che puntualmente ci si trova a dover constatare.

La piana dell’Alute a Bormio è salva. Forse.

Il comune di Bormio ha per il momento sospeso l’iter burocratico per la realizzazione della “tangenzialina dell’Alute”, la famigerata nuova strada che per collegare più rapidamente gli impianti sciistici alla viabilità ordinaria distruggerebbe l’omonima piana, unica area agricola rimasta nella conca bormina, degradandone il paesaggio e rendendo possibili future cementificazioni immobiliari – ne ho parlato in questo post di qualche giorno fa, quando lo stesso comune aveva negato il consenso al referendum sulla questione nonostante le migliaia di firme raccolte al riguardo.

Sembrerebbe una buona notizia, senza dubbio, ma siamo in Italia e avendo a che fare con le istituzioni nostrane i verbi al condizionale sono d’obbligo: infatti ho scritto che “per il momento” l’iter è sospeso. Leggendo tra le righe delle dichiarazioni rilasciate dagli amministratori pubblici sul tema, contraddistinte dalla solita inquietante fumosità, i dubbi sulla reale presa di coscienza civica riguardo la pericolosità dell’opera (che già ha fatto guadagnare a Bormio la “Bandiera Nera” di Legambiente) non si dipanano affatto. Anzi.

Riporto di seguito le considerazioni dell’amico Angelo Costanzo, che da tempo segue la vicenda al fianco del Comitato “Bormini per l’Alute” e conosce bene lo stato effettivo delle cose, in superficie e dietro le quinte:

«Avevo invitato, attraverso un post, il Sindaco di Bormio, l’Assessore Regionale Sertori e Regione Lombardia a fermarsi per riconsiderare l’opportunità della realizzazione della tangenzialina nella piana dell’Alute. Il momentaneo stop, alla realizzazione dell’opera annunciato dal Sindaco di Bormio, è una buona notizia, ma non definitiva. Detto questo, non si può che rimanere stupiti da quanto emerge dalla stampa rispetto all’incontro istituzionale svoltosi martedì 8 agosto a Bormio: “Iter procedurale ancora lungo che aumenta il rischio di ritrovarsi con un cantiere aperto durante le olimpiadi” – “In questo momento dobbiamo concentrarsi su opere quali la Ski arena, il parcheggio di Porta con passerella e rotatoria, l’area sportiva al Pentagono e quelle sulla pista Stelvio che richiedono tutto l’impegno, nostro di amministratori e degli uffici comunali, per rispettare i tempi e farci trovare pronti per le Olimpiadi….” – “Prendiamo atto della grande responsabilità nei confronti dell’evento olimpico, quindi per il momento ci fermiamo, ravvisando l’esigenza di dare priorità alle altre opere”. Ma con quanta approssimazione si prendono decisioni importanti e divisive della popolazione. Un’opera che costa sette milioni di euro e che era considerata collaterale, ma fondamentale per le Olimpiadi. Ma prima questi problemi che emergono ora in una riunione a poche ore dalla manifestazione e che si terrà in difesa della piana dell’Alute, non sono si potevano valutare. Per il momento ci fermiamo?  Effetto annuncio ma nessun atto concreto. Le procedure degli espropri dei terreni stanno andando avanti! Sostanzialmente si prende tempo, sperando che il dissenso rispetto alla realizzazione dell’opera si stemperi e si demanda in un futuro momento l’avvio dei lavori. Se invece è il modo, per il Sindaco,  per cadere in piedi rispetto al forte dissenso che, grazie al comitato locale è emerso, va bene. Ma deve essere uno stop definitivo. Se è una furbata per prendere tempo no! Se il Sindaco di Bormio Silvia Cavazzi, l’Assessore Regionale Massimo Sertori e Regione Lombardia che finanzia l’opera hanno cambiato idea ne sono felice. Nella pubblica amministrazione contano gli atti, non le dichiarazioni stampa. Ci sono atti istituzionali di Regione Lombardia, della conferenze di servizi, delibere del Consiglio comunale di Bormio che ritenevano fondamentale costruire la tangenzialina. Si revochino quegli atti e si metta definitivamente una pietra tombale rispetto ad un’opera divisiva che devasterebbe un patrimonio ambientale, paesaggistico e storico della Magnifica Terra.»

Quale sarà dunque la sorte di Bormio? Diventerà l’ennesimo modello di sfruttamento insensato e di cementificazione della montagna a favore del turismo di massa e a danno degli abitanti del suo territorio? Oppure, almeno per tale questione, saprà salvarsi e magari prendervi spunto per sviluppare una visione ben più equilibrata e proficua per il proprio futuro?

Un’opera che farà di Bormio un posto piuttosto sgradevole

(A Bormio) un referendum abrogativo poteva decidere le sorti di un’opera pubblica fortemente divisiva tra la popolazione bormina e non solo. Il paesaggio della piana dell’Alute, quello che vediamo quando usciamo dall’ultima galleria della Statale 38, che ammiriamo dalla cima di Monte Scale, non è un patrimonio ambientale esclusiva disponibilità dei bormini, ma dell’intero arco alpino. L’Alute è il migliore biglietto da visita di un territorio che fa del turismo il motore della propria economia. La realizzazione della tangenzialina investe le coscienze di chi ha a cuore la salvaguardia dell’ambiente. Quell’opera è un simbolo negativo di come si intende valorizzare un territorio. Un modello turistico vecchio, superato, di un’equazione, più strade meno traffico. Una scelta in contraddizione ad un turismo sostenibile che fa del patrimonio ambientale, paesaggistico un valore fondante nella scelta delle località in cui trascorrere le vacanze. Una scelta che non tiene in considerazione, i cambiamenti climatici, la crisi nei prossimi decenni dello sci, come core business turistico di Bormio. Con questa tendenza dell’innalzamento delle temperature, nemmeno la neve artificiale reggerà ai cambiamenti climatici. Gli esperti parlano con maggiore frequenza della crisi del modello della neve. Allora che senso ha una infrastruttura che viene realizzata proprio in funzione di un evento olimpico invernale? Il fascino della conca di Bormio, dell’Alute è un simbolo di come l’agricoltura di montagna nei secoli ha plasmato e conservato un territorio facendolo diventare un paesaggio che contribuisce al valore turistico della magnifica terra. Credo che nel Consiglio comunale si sia scritta una pagina triste della partecipazione democratica.

Questo è un brano tratto da un lungo articolo di Angelo Costanzo che dà conto del rifiuto opposto dal Consiglio Comunale di Bormio alla richiesta di un referendum popolare per decidere la realizzazione o meno della cosiddetta tangenzialina dell’Alute, una delle opere apparentemente secondarie nel piano delle infrastrutture per le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026 ma nell’idea che la sostiene tra le più inutili, deprecabili e impattanti, per come il nuovo stradone sostanzialmente distruggerebbe la piana dell’Alute, ultima area a vocazione agricola della conca di Bormio, storicamente e tradizionalmente vocata a ciò nonché – come scrive Costanzo – meraviglioso biglietto da visita paesaggistico per chi giunga a Bormio dalla Valtellina e da Milano. Una strada che si vuole imporre come opera al servizio del turismo sciistico (e già solo per questo insensata perché inutile) ma che in realtà puzza lontano chilometri di prossime conseguenti lottizzazioni immobiliari ovvero consumo di suolo e cementificazioni, che degraderebbero non solo la zona ma, per quanto sopra detto, cancellerebbero la stessa identità culturale della conca bormina asservita definitivamente alle più bieche logiche politiche, commerciali e finanziarie nascoste dietro il paravento olimpico. Probabilmente anche per questo il Consiglio Comunale di Bormio ha negato il diritto referendario agli abitanti sulla questione: per la palese ipocrisia del progetto e l’evidente paura di un possibile diniego popolare alla tangenzialina, o forse perché, pur essendo del posto, i consiglieri favorevoli all’opera concepiscono la montagna come un luogo da cementificare, asfaltare e rendere il più possibile vendibile ai migliori offerenti, che siano turisti danarosi, immobiliaristi, imprenditori, faccendieri o altre figure del tutto aliene alla dimensione della montagna, pur di ricavarci qualche buon tornaconto. Alla faccia delle montagne sulle quali abitano, dei loro concittadini e della bellezza assoluta del paesaggio locale.

Potete leggere l’articolo di Angelo Costanzo nella sua interezza cliccando qui (ma la trovate anche pubblicata e commentata su “Il Dolomiti”) e lo ringrazio di cuore per aver citato nel testo alcune mie considerazioni in tema di salvaguardia del paesaggio. Invece per saperne di più sulla famigerata nuova opera bormina potete visitare il sito web del Comitato “Bormini per l’Alute” qui.

N.B.: quest’anno la tangenzialina dell’Alute ha fatto anche “guadagnare” a Bormio la “Bandiera Nera” di Legambiente «Per la decisione di portare avanti progetti vecchi che prevedono investimenti importanti sulla viabilità della Valtellina, in assenza di un vero piano della mobilità regionale, solo in vista dei cospicui finanziamenti previsti per l’imminente appuntamento olimpico» – questa la motivazione. Per saperne di più cliccate qui.