Il “Premio Marcello Meroni” non è un semplice “premio”

[Tutti i premiati con i candidanti dell’edizione 2025 e gli organizzatori del Premio.]
Il Premio “Marcello Meroni” non è un “semplice” premio. Non lo è perché intitolato a una persona veramente eccezionale come era Marcello Meroni, astrofisico, alpinista di livello eccelso, istruttore Nazionale di Alpinismo, persona di grandissima intelligenza e di altrettanta modestia. E non lo è perché dedicandosi a persone “eccezionalmente normali” che si sono contraddistinte per aver portato a termine iniziative di puro volontariato legate alla montagna e caratterizzate da originalità, valenza sociale, dedizione e meriti etici e culturali, ne riconosce le grandi qualità, che sono anche se non soprattutto umane.

Una prerogativa della quale mi sono nuovamente potuto rendere conto sabato scorso a Milano, partecipando alla premiazione dei vincitori del “Meroni” 2025 nella prestigiosa cornice della Sala Alessi di Palazzo Marino, e ritrovandomi in mezzo a gran belle persone, di valore prezioso, dai talenti molteplici, capaci di fare cose realmente eccezionali ma come fossero “normali” – tutta gente di montagna o sulla quale è di casa, per giunta, garanzia di consonanza intellettuale e spirituale. Donne e uomini, insomma, che è un inestimabile privilegio conoscere e frequentare, persone eccezionalmente normali – ma potrei dire per loro è l’eccezionalità a essere “norma” – che per ciò ringrazio di gran cuore: Nicla Diomede, Laura Posani, Luca Calvi, Flavia Cellerino, Anna Staffini Cammelli, Anna Giorgi, Claudio Gasparotti, tutti i vincitori delle varie categorie e le persone che hanno ricevuto la menzione d’onore e, last but non least, Marco Soggetto e Annamaria Gremmo la quale con me ha candidato e presentato il vincitore della sezione “cultura” del Premio, Giovanni Baccolo.

Perché ho deciso insieme ad Annamaria di candidare proprio lui? Be’, banalmente (per così dire) potrei rispondere perché ha scritto un libro fenomenale come “I ghiacciai raccontano, dove la narrazione della glaciologia e del fascinoso mondo dei ghiacci terrestri articolata da Giovanni è proprio “eccezionalmente normale”, cioè capace di raccontare cose a volte anche complicate con una chiarezza e comprensione divulgative più uniche che rare, che pure le persone “normali” (espressione sciatta ma comune, come sapete) possono comprendere.

Ma sarebbe una risposta fin troppo facile, appunto; in realtà c’è di più, dal mio punto di vista.

Nel 1994, il primo di agosto ai “Colloqui di Dobbiaco”, Alexander Langer (altra figura eccezionale, senza dubbio alcuno) proferì quella famosa riflessione, in verità una domanda: «La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile. Ma come può risultare desiderabile una civiltà ecologicamente sostenibile?» Conversione che già allora appariva necessaria per come le avvisaglie del cambiamento climatico in corso fossero sempre più evidenti. Be’, sono passati più di trent’anni ma quella riflessione, quella domanda di Langer è ancora senza una buona risposta. O per meglio dire: le risposte ci sarebbero, ormai ben definite, ma ancora non desideriamo di considerarle veramente.

Forse, questa nostra mancanza di responsabilità collettiva ci deriva anche dal fatto che non sappiamo e non vogliamo ancora renderci conto di ciò che da decenni fino a oggi ci dice la scienza, con i suoi dati tanto inequivocabili quanto scomodi, fastidiosi, indesiderati appunto. E forse è stata un po’ una mancanza della scienza, il fatto che ancora non si desideri ascoltare le sue verità nonostante siano le nostre verità, ciò che noi siamo e che è il nostro mondo.

Ecco, Giovanni Baccolo è uno scienziato che, proprio con uno degli elementi geografici del nostro mondo e delle nostre montagne fondamentale quale è il ghiaccio, ha proprio la capacità di farci desiderare di saperne sempre di più, di essere sempre più consapevoli di ciò che ci sta accadendo intorno e dunque di rimetterci in relazione autentica con il mondo che viviamo così da essere un elemento finalmente benefico, per quanto ci è possibile, e non più negativo come troppo spesso siamo stati, noi genere umano, fino a oggi. Se un cambio di paradigma potrà avvenire, riguardo la nostra presenza nel mondo e l’impronta antropica che vi generiamo, così determinante anche per la storia recente e futura dei ghiacciai, è anche grazie a persone “eccezionalmente normali” come Giovanni.

Per questo sono stato veramente felice che la giuria del “Premio Meroni” abbia accettato la candidatura di Giovanni ritenendola meritevole del riconoscimento. Perché se lo è meritato lui e, se così posso dire, ce lo siamo meritati noi che abbiamo la fortuna di poterlo ascoltare e di saper imparare da lui.

Ecco anche perché il “Premio Meroni” non è soltanto un “semplice” premio. È un premio eccezionale, perché riconosce – e fa conoscere – persone all’apparenza normali che viceversa fanno cose “fuori dal mondo”, da quel mondo ordinario dove invece troppo spesso viene ritenuta eccezionale la vacuità e che tuttavia potrà salvarsi – dostoevskijanamente – proprio grazie alla bellezza profusa da certe persone normalmente eccezionali.

Di nuovo grazie di cuore a tutti quelli che hanno contribuito in ogni modo, attivamente ma anche solo con la presenza nel pubblico in sala, a rendere l’evento così bello e potente.

P.S.: su “Fatti di Montagna” trovare un bel resoconto della cerimonia di premiazione, mentre nella sezione “Altri Spazi” del blog di Alessandro Gogna trovate le motivazioni dei premi assegnati.

Giovanni Baccolo, “I ghiacciai raccontano”

Ho passato tutte le estati della mia gioventù – dai due ai vent’anni, in pratica – in alta Valle Spluga, in una località a 1800 metri di quota dalla quale si potevano ammirare buona parte delle montagne, tutte superiori ai 3000 metri, che delimitano la valle verso la Svizzera: un panorama di grande bellezza che in me s’è fatto paesaggio interiore e luogo dell’anima, presso il quale torno spesso e volentieri. Di quel paesaggio i ghiacciai che adornavano le vette maggiori erano una presenza fondamentale e referenziale: non solo semplici macchie bianche tra i vivaci colori estivi che richiamavano l’inverno e sancivano il carattere autenticamente alpestre del luogo, ma elementi che ne determinavano l’identità e davano contenuto antropologico (oltre che estetico) alla relazione culturale che si intratteneva con esso. In parole povere: quelle vette erano ciò che apparivano proprio grazie alla presenza dei rispettivi ghiacciai, dunque la visione e la percezione del paesaggio locale dipendeva grandemente dalla loro realtà geografica glaciale.

Ci sono tornato varie volte lassù, come detto; più lungamente del solito nel 2022, e ciò mi ha concesso più tempo per osservare il paesaggio. Era fine agosto, l’inverno era stato parco di neve e l’estate torrida (ormai la normalità meteoclimatica degli ultimi anni). I ghiacciai così “presenti” e referenziali per le montagne della zona, così luminosi nei miei ricordi e importanti per il legame personale con il luogo, erano scomparsi, divenuti smorti o talmente esigui da sparire dietro le morfologie delle cime che ora mi apparivano in gran parte grigie, senza più il biancore nivoglaciale che le caratterizzava e rendeva luminosamente evidenti e dominanti lungo la dorsale che chiude la valle. Sembravano quasi altre montagne, diverse insomma; a osservarle in certe foto di grande formato che tutt’oggi adornano i ristoranti e i bar della zona, parevano comporre il panorama di un’altra zona alpina oppure raffigurate in immagini d’epoca di chissà quanto tempo fa. Invece il cambiamento, lassù come altrove sulle nostre montagne, è stato rapido oltre che in crescendo di anno in anno. Impressionante e straniante.

Stavo osservando una trasformazione epocale del paesaggio, che i ghiacciai della zona più di ogni altro elemento geografico manifestavano con forza, come mille parole non avrebbero potuto fare meglio. A modo loro mi stavano raccontando una storia, quei ghiacciai.

D’altro canto i ghiacciai possono apparire in questo modo, “soggetti narranti”, non solo perché rappresentano i più efficaci e infallibili indicatori di ciò che sta accadendo al clima dei monti che li ospitano (e non solo di quelli), ma anche perché dei monti sono gli elementi più “vivi”: si muovono verso valle, si gonfiano, si assottigliano, rumoreggiano, si spaccano… Ma se noi persone normali, pur appassionati di montagna, questa vitalità la possiamo cogliere ma non del tutto comprendere, è la glaciologia la scienza che ne studia il “battito”, la peculiare fisiologia, e che sa comprenderne appieno i “racconti”. Giovanni Baccolo, che glaciologo lo è e tra i più stimati d’Italia, mette per iscritto le narrazioni delle grandi regioni glaciali del pianeta in I ghiacciai raccontano (People Edizioni, 2024, con prefazione di Pietro Lacasella e illustrazioni nel testo di Betula Stuff), rivelandone l’incredibile quantità e l’affascinante qualità “narrativa”, cioè la capacità che i ghiacciai hanno di raccontarci molto di più di ciò che si potrebbe immaginare e legare al mero ciclo della neve e dell’acqua ghiacciata []

[Giovanni Baccolo in Groenlandia nel 2022. Immagine tratta da qui.]
(Potete leggere la recensione completa di I ghiacciai raccontano cliccando sulla copertina del libro lì sopra, oppure visitate la pagina del blog dedicata alle recensioni librarie. Buona lettura!)

 

(Siccome a breve si può tornare) Al ristorante

Per celebrare (be’, non è vero, ma facciamo funzionalmente finta) la riapertura dei ristoranti e la ritrovata possibilità di gozzovigli più o meno luculliani – sperando che ciò non provochi una ulteriore quarta ondata pandemica tra qualche settimana (non è uccellodelmalaugurismo, questo, è obiettività esperienziale!) – rispolvero il seguente ameno raccontino sul tema, facente parte d’una raccolta di simile tono che al momento è ancora inedita in quanto l’editore che la doveva pubblicare, leggendola prima di inviarla alla stampa, purtroppo è morto dal ridere.
Già.
Una circostanza che peraltro mi genera non pochi grattacapi: come posso inviare nuovamente la raccolta a qualche editore affinché ne valuti la pubblicazione senza poi rischiare di essere accusato di omicidio colposo?

Be’, ci devo pensare su un po’. Intanto, buona lettura!

[Raffaello Sorbi, Osteria del Piccione a Fiesole, 1889.]
Al ristorante

Robezio: «Ehi… la vedi quella tipa laggiù?»
Io: «Mm-m.»
Robezio: «Ho sentito da questi del tavolo qui accanto che è una tipa famosa… Paola Peroni, nota dj negli anni Novanta.»
Cameriere: «Signori, cosa vi porto da bere?»
Io: «Ahpperò! Una dj a tutta birra!»
Robezio: «Eh?! In che senso?»
Cameriere: «Solo birra? Per tutti?»
Io: «Noo, dicevo a lui!»
Robezio: «A me?»
Io: «Sì, a te! Era lì bell’e pronta su un piatto d’argento… Peroni, birra…»
Cameriere: « Dunque birra Peroni per tutti?»
Io: «Nooo, non intendevo quello!»
Robezio: «Non mi pare che qui usino piatti d’argento.»
Io: «Infatti non intendevo quello!»
Cameriere: «Ok, le bevande le facciamo dopo. Cosa avete scelto dal menu?»
Io: «Una battuta! La mia era una battuta.»
Robezio: «Aah, una battuta servita su un piatto d’argento!”
Io: «Eh, quello!»
Cameriere: «Mi spiace, signore, oggi la battuta non è in menu.»
Robezio: «Nooo, l’ha fatta lui!»
Cameriere: «Il signore è un cuoco?»
Io: «No! Battuta nel senso di Peroni, birra, dj… dj a tutta birra! Era servita su un piatto d’argento, appunto.»
Cameriere: «Peroni.»
Io: «Esatto!»
Cameriere: «Ok, dunque da bere birra Peroni per tutti. Vedo di trovarvi un vassoio d’argento, se così gradite.»
Robezio: «Ah, allora è vero che servono le cose su piatti d’argento!»
Cameriere: «No, in verità no, ma se lo chiedete espressamente…»
Io: «Ma noi non stiamo chiedendo assolutamente nulla!»
Cameriere: «Allora, signori, sono costretto a chiedervi di liberare il tavolo per altri clienti che invece intendono consumare. Grazie.»
Robezio: «Ecco, hai visto? Tu e le tue battute!»
Io: «Ma che vuoi da me?! Eccheccavolo! Eppoi io le battute le so fare!»
Robezio: «Beh, allora andiamo a mangiare a casa tua, così me la fai provare.»
Io: «Noo, non quelle batt… Umpff, m’è passata la fame!»
Robezio: «Beviamo almeno qualcosa, visto che siamo in giro. Non so… una birra!»
Io: «Ok, ma giuro che se ci servono una Peroni mi imbirrazzisco! Ehm… Imbizzarrisco, volevo dire.»
Robezio: «Mmm-mm.»

Proteste da protestare

[Immagine tratta da “Open.online“, cliccateci sopra per leggere l’articolo dal quale è tratta.]
Posto che le motivazioni alla base possano essere giuste, logiche, sostenibili, comprensibili, e sicuramente lo sono, trovo che forme di protesta come quelle raccontate nell’articolo che leggete cliccando sull’immagine qui sopra, da tempo piuttosto diffuse, siano ineluttabilmente rozze, incivili e assolutamente ingiustificabili, nonostante spesso sostenute e istigate da certe entità sindacali. Abbiano pure ragione di protestare, ma che ne sanno tali manifestanti che bloccando un’autostrada o qualsiasi altro servizio pubblico non arrechino danni anche peggiori dei loro a chi vi sta viaggiando? Che ne sanno che tra i mezzi bloccati non vi sia qualcuno che deve recarsi a una visita medica urgente, a trovare un parente che sta male, a un appuntamento di lavoro fondamentale per la propria carriera o a sostenere qualsiasi altro personale impegno inderogabile?

Difendere i propri diritti ledendo quelli altrui non è affatto una forma di libertà o di democrazia e nemmeno di buon senso: è pura e semplice maleducazione civica, che peraltro sposta dalla ragione al torto qualsiasi rivendicazione sostenuta. Ed è pure una palese forma di meschinità: non si ha il coraggio, volontà o cognizione per protestare contro i potenti, allora si protesta e si danneggiano dei concittadini incolpevoli. Be’, non so che ne pensiate, voi; dal mio punto di vista è qualcosa di intollerabile, ecco. D’altro canto, la storia di questo paese non ha ormai certificato che in innumerevoli casi l’intollerabile si trasforma rapidamente nell’ordinarietà?