Migrazioni e politica, chiacchiere e meschinità

[Immagine tratta dal profilo Twitter dell’Agenzia Ansa.]
Da qualsiasi parte la si osservi e analizzi, la gestione europea della questione migratoria resta profondamente vergognosa e indegna di quella parte di mondo che si ritiene la più avanzata e civile del pianeta.

Gli ultimi drammatici episodi, dei quali il naufragio di Cutro è tra i più tragici ma niente affatto isolato (e di certo la tragicità di questi fatti non può essere determinata dal mero numero di morti, come se il problema sussistesse solo se accadono naufragi da un tot di decessi in su), hanno semplicemente rimesso in evidenza una volta di più la gravità della situazione in corso ormai da decenni. Ciò almeno fino a che i media avranno voglia di occuparsene, ovvero fino a che la politica fingerà di dibatterci sopra fornendo alla stampa le solite parole tanto belle e nobili quanto ipocrite e vuote di sostanza (se non slogan beceri e vergognosamente strumentalizzanti), nel frattempo facendo spallucce e semmai dando le colpe a quello che le schiverà e scaricherà a quell’altro e così via, funzionalmente a far che alla fine le responsabilità non siano di nessuno e tutto vada avanti come sempre – quello che tanti sperano in fondo. D’altro canto, a breve, qualche nuova questione più o meno emergenziale (delle quali l’Italia abbonda, lo sappiamo bene) devierà nuovamente lo sguardo della stampa e l’attenzione del pubblico e ogni cosa sarà dimenticata, con gran soddisfazione della politica.

Personalmente – da quel signor nessuno che sono, inutile dirlo – è da anni (si veda qui) che vado sostenendo che la questione dell’immigrazione non può e non potrà essere risolta e tanto meno gestita al meglio, a livello politico, finché non verrà compresa sul suo piano fondamentale che è quello antropologico, il quale ne sottintende altri – quello storico, quello geografico, sociologico, ambientale eccetera – ma che, appunto, appare come l’ineluttabile contesto entro il quale bisogna analizzare e comprendere la questione sì da trarne qualsiasi metodologia operativa sul campo, la più restrittiva come la più accogliente nel rispetto delle normative internazionali vigenti. Non li si vuole far arrivare sul suolo europeo? Bene, si faccia qualcosa in tal senso. Li si vuole accogliere e integrare? Bene, si faccia qualcos’altro in tal senso. Insomma: la questione non è più tanto attuare questa o quell’altra cosa ma fare qualcosa. Invece qui non si fa nulla, da decenni girando le spalle alla messe di morti di donne, uomini e bambini (26mila morti in dieci anni solo nel Mediterraneo) la cui unica colpa è stata quella di sperare in un futuro migliore, e che se ciò sia lecito o meno non è per nulla “motivo” per lasciarli morire come avviene, calpestando criminalmente qualsiasi loro dignità.

Ovvio che per fare quanto sopra occorre la combinazione di due cose parimenti fondamentali: competenza rispetto al fenomeno e volontà di gestirlo (ve ne sarebbe una terza che tuttavia non sarebbe nemmeno da citare: l’umanità). Invece, il mix strumentale di razzismo e xenofobia resta la forma mentis fondante del (non) agire politico, così come la pericolosità del mare (o del clima, su altre rotte continentali) resta il principale “metodo di gestione” dei flussi migratori: in pratica, più ne crepano e meno se ne hanno da gestire nei vari centri di accoglienza e da regolarizzare. Amen. Tutto il resto – la bieca “differenza” tra rifugiati politici e migranti economici, i corridoi umanitari sempre annunciati e mai realizzati, l’aiutarli a casa loro mai messo in atto, la persecuzione delle ONG che con i loro salvataggi evidenziano il menefreghismo delle istituzioni, eccetera – sono solo chiacchiere e meschinità.

Gli ammutinati della grande nave Mondazzoli: codardi, prudenti, eroi o che altro?

Il gruppo di "ammutinati Mondazzoli", ora equipaggio della nuova "Nave di Teseo" varata da Elisabetta Sgarbi.
Il gruppo di “ammutinati Mondazzoli”, ora equipaggio della nuova “Nave di Teseo” varata da Elisabetta Sgarbi.

Da bravo insider nel mondo editorial-letterario nazionale trovo parecchio significativo e divertente (ma pure inquietante, a osservare dalla parte opposta) quanto sta accadendo intorno a Mondazzoli, la nuova e possente corazzata dell’editoria italiana nata dalla fusione di Mondadori e Rizzoli per dominare senza rivale alcuno i mari editoriali nazionali. E mi pare divertente oltre che consono pure restare nella metafora nautico-marina, visto che pure altri ben più titolati di me hanno deciso di avvalersene.
Or dunque c’è in corso un bell’ammutinamento con relativo abbandono della nave: prima Antonio Franchini, considerato uno tra i migliori editor italiani ergo punta di diamante di Mondadori, che prima del varo della nuova corazzata ha preso il primo salvagente che ha trovato e se ne è fuggito verso Giunti, vascello da diporto solcante acque apparentemente (per ora) più sicure. Poi è stato il turno di Roberto Calasso, marinaio di lungo corso e grande esperienza delle agitate acque editoriali italiche, che ha calato in mare la propria raffinata scialuppa Adelphi ed è tornato verso (proprie) rive più tranquille. Prima ancora la stessa cosa l’aveva fatta Rosellina Archinto con la propria omonima barca, ancor più piccola e dunque ancor meno bisognosa di irruenti flutti mossi da prue di navi troppo grandi.
Ora invece è la volta di un folto gruppo tra marinai e ufficiali, al comando dell’ammiraglia Elisabetta Sgarbi, che non solo abbandona la corazzata Mondazzoli ma addirittura vara pure una nuova imbarcazione editoriale, La Nave di Teseo (ecco perché poco fa dicevo che la metafora nautico-marina in corso m’appare divertente e consona) sulla quale prendono in largo vecchi e giovani lupi di mare quali Umberto Eco, Sandro Veronesi, Furio Colombo, Pietrangelo Buttafuoco e molti altri – pure con esperienze di navigazione in mari più esotici, come Tahar Ben Jelloun, Michael Cunningham e Hanif Kureishi.
Insomma, tirando le somme di tutto ciò, un ammutinamento bello e buono, appunto. E perché, poi, questa fuga peraltro parecchio urgente da una corazzata così possente e apparentemente dominante, dunque in grado di offrire notevoli vantaggi e risorse per chi a bordo di essa solchi i mari assai agitati, appunto, dell’editoria nazionale, oltre che irti di scogli e secche pericolose? Per un improvviso e irrefrenabile bisogno di libertà di navigazione? Perché qualcuno teme che la pur possente nuova nave faccia la fine ingloriosa della Costa Concordia, e per motivi simili? Per mere ragioni politiche – come già supposto da qualcuno?
Forse, la risposta più valida a questa domanda sta classicamente nel mezzo, e compendia queste come altre ipotesi in merito. Sicuramente, poi, ogni “ammutinato” ha sue buone ragioni e convenienze particolari, vista anche la differente sostanza dei natanti fuggiti. Nel frattempo mi viene di pensare già al futuro, ovvero alle conseguenze di tutto quanto sopra raccontato, e specularci sopra, dacché in ogni caso è in corso una bella tempesta nel mare editoriale italiano, le cui ripercussioni potrebbero risultare pesanti oltre che, almeno al momento, impensabili. E comunque, appunto, volendo speculare, vi dico che a mio parere, tra un tot di anni, la situazione potrebbe essere la seguente: una corazzata Mondazzoli che finirà frequentemente in acque basse – se non in pericolose secche – con i suoi comandanti i quali, constatando di non poter solcare maestosamente i mari editoriali come desiderato, penseranno seriamente di vendere l’intero naviglio a qualche altro armatore – magari estero, magari dotato di una nave ancor più grande e in grado di trasferire tutto il carico sulla propria per mandare la prima allo smantellamento; e tanti piccoli/medi/grandi (ma non troppo) navigli che solcheranno le agitate acque suddette navigando (salvo qualche caso fortunato) sempre più a vista tra scogli, iceberg, onde anomale, magari pure qualche pericolosa mina inesplosa, in certi casi preoccupati di vedere sugli strumenti delle loro plance di comando segnali economici frequentemente rossi e inquietantemente lampeggianti, e angosciati nel vedere il livello delle acque intorno ai propri scafi sempre più basso.
Già, perché alla fine, che si navighi su imponenti corazzate o su instabili bagnarole, quello che conta è che ci sia dell’acqua su cui navigare, e che ce ne sia a sufficienza. E l’acqua in oggetto, in qualsiasi mare editoriale, è portata da fiumi che si chiamano lettori, lettura, buoni libri, bravi scrittori, cultura diffusa, supporto istituzionale… Se viene a mancare quest’acqua fondamentale, beh, appunto, c’è e ci sarà ben poco non solo di che navigare, ma nemmeno di che nuotare.

P.S.: ah, ma guarda… stupidamente mi rendo conto ora che pure il nome di battesimo dell’attuale comandante della corazzata Mondazzoli è “Marina“! La metafora nautica è completa, dunque!