Sankt Moritz, una sfilata di moda nel bosco scatena le proteste di molti. Giuste, ma “sbagliate”.

[Immagine tratta da “La Provincia di Como“.]
Sankt Moritz, qualche giorno fa, sera, bosco: cento e più modelle/i sfilano tra luci laser, musica in sottofondo, un cannone spara-neve e un sistema di ventilazione, in mezzo a un pubblico di vip per presentare la nuova collezione di un noto marchio della moda (come mostra il video sottostante), e subito scatta la polemica. Inesorabile, inevitabile.

«Quello che sta accadendo qui è scandaloso», «Credo che questo sia il posto sbagliato per organizzare un evento del genere», «Il sito in questione è un importante rifugio per gli animali selvatici, in particolare per i caprioli!», «Per i soldi si fa tutto… anche il patto col diavolo!» e così via… contestazioni – leggibili sui media elvetici, ad esempio qui – che arrivano non solo dai residenti e dagli ambientalisti ma pure da soggetti istituzionali come la Fondazione per la protezione del paesaggio, l’Ufficio grigionese della caccia e della pesca e pure dall’Associazione venatoria di St. Moritz. Alle quali gli amministratori locali rispondono per voce del Sindaco della località engadinese affermando che «tutto si sarebbe svolto nel rispetto di norme rigorose: no alberi abbattuti, potati o feriti, nessun pericolo per gli animali, riduzione al minimo di luci e rumore. Tanto che il progetto era stato di fatto ritenuto compatibile con le norme di edilizia, urbanistica e ambientali».

Personalmente trovo che sia stato un evento “interessante” e per certi molti aspetti emblematico, e che le proteste suscitate siano giuste, ma sbagliate.

Mi spiego.

La zona la conosco piuttosto bene (no, non perché sia così ricco da poter frequentare il jet set di Sankt Moritz ma da mero e ordinario – anche come conto in banca – escursionista che sale i monti d’intorno) e mi pare che i rischi paventati di disturbo alla fauna selvatica siano abbastanza fuori luogo: la parte di bosco nella quale si è svolta la sfilata è una limitata porzione silvestre stretta tra case, strade e sorvolata da una funivia, prossima a un rifugio-ristorante, ad altri impianti di risalita e piste da sci e a poche centinaia di metri dal centro cittadino (vedi mappa e fotografia aerea, tratti da https://map.geo.admin.ch/), senza contiguità boschiva con le altre zone forestali dei dintorni. Non esattamente l’angolo di Engadina più incontaminato, insomma.

Che abbia provocato disturbo non tanto al posto in sé ma alla zona in generale posso crederlo bene; ma, temo, non più di quanto lo possano fare tutte le altre numerose infrastrutture turistiche e residenziali, le strade, gli elicotteri e gli aerei (quasi tutti privati) diretti al vicino aeroporto. Insomma, un problema di inquinamento acustico – e non solo – la zona ce l’ha sicuramente e da decenni, ma proprio per questo mi viene da pensare, e sperare, che buona parte della fauna selvatica sia la prima a rendersene conto e a starsene lontana da lì.

Per quanto finora detto, sarebbe stato ben peggio se il tutto si fosse svolto dalla parte opposta della valle (ad esempio nei boschi di Giand’Alva o nella zona del Lej da Staz; chi conosce la zona capirà), meno antropizzata e nella quale sono già presenti da tempo degli spazi di tutela faunistica, per i quali ad esempio è vietato fuoriuscire dai tracciati sciistici.

Che poi un evento del genere si tenga a Sankt Moritz, o per dirla in altro modo che la località accetti di ospitarlo e ne faccia anche un “vanto”, mi pare quasi scontato – seppur ovviamente ciò non significhi che possa anche essere giusto. Ma, appunto, è un luogo che prospera anche su queste cose e che con esse costruisce da sempre la propria immagine: che sia poi affascinante e attraente oppure discutibile se non rivoltante ognuno lo può stabilire liberamente. È più prevedibile assistervi lì che in un altro villaggio engadinese meno turistificato, in pratica, presso il quale il danno sarebbe a ben vedere maggiore – posto che non può non esserci un qualsivoglia “danno”, quando si va a intervenire nei territori di montagna e nei loro ambienti naturali: una cosa della quale purtroppo ci si è pressoché dimenticati da svariati decenni.

Invece, quello che io trovo parecchio irritante e parimenti inquietante, in un evento del genere – o meglio, non nell’evento in sé ma nel come è stato realizzato – è la palese manifestazione di un’ennesima strafottenza nei confronti dell’ambiente montano, nuovamente considerato come un bene liberamente usufruibile – anche in modo quanto meno pacchiani: basta pagare! – e consumabile, banalizzato, volgarizzato e degradato nel suo valore culturale il quale c’è sempre, anche nel lembo di natura più soffocato dalla presenza umana. Sankt Moritz può essere anche il posto più in, cool, vip, trendy eccetera del mondo e su questo costruire la propria ricchezza ma non può dimenticare di essere (con tutto ciò che gli dà forma e lo caratterizza) parte di un territorio e di un paesaggio che, se così posso dire, detiene gli stessi diritti del luogo e di chi lo anima. Che se può animarlo come fa, da abitante, villeggiante, turista più o meno vip, è proprio grazie a quel territorio e alle sue peculiarità naturali. Utilizzarlo come è stato fatto nell’evento in questione è stato un po’ come prenderlo in giro, sbeffeggiarlo, degradarlo alla stregua di un set scenografico che sarebbe potuto essere tranquillamente riprodotto in qualsiasi studio cinematografico, ricavandone di contro un’immagine pubblica per nulla valorizzante il luogo e anzi umiliante per esso.

Dunque, ribadisco: l’evento modaiolo di Sankt Moritz è stato per certi versi “legittimo” (virgolette necessarie” tanto più lo sono state le contestazioni necessarie che ha provocato: andando oltre quelle che sono state maggiormente mediatizzate, con questo mio articolo ho cercato di fornire una più ampia e articolata considerazione di quanto accaduto, a mio modo di vedere indispensabile per consentire al riguardo riflessioni più approfondite e opinioni maggiormente obiettive, con una conseguente maggior consapevolezza al riguardo. Detto ciò, penso che l’alta Engadina e la zona di Sankt Moritz non meriti di essere visitata e apprezzata tanto per la sua frequentazione super vip ma per la bellezza assolutamente peculiare, per molti aspetti unica nelle Alpi, del suo paesaggio, le cui montagne offrono al visitatore quella che resta la “sfilata” più meravigliosa e affascinante alla quale si possa desiderare di assistere.

Un altro mondo

Nonno ogni tanto trascorre qualche giorno da una delle figlie, a San Moritz da Ottilia o a Sent da Hermina. Quando viene da noi si porta sempre anche la falce per dare una mano sui prati. Solo che ormai fa fatica, si stanca da morire, sparisce nell’erba alta e non va avanti. «Riposati un po’», gli dice mamma; lui si siede ai bordi del prato e si asciuga il sudore. Una volta arriva anche a San Moritz con la falce e la famiglia si mette a ridere. Lui sembra completamente perso: non ha pensato che là non c’è praticamente niente da tagliare. San Moritz, sebbene sia nella stessa vallata, è un altro mondo. Già i grandi alberghi come palazzi, il traffico, le fisionomie straniere. Per la strada la gente non si saluta, non si vedono mucche né capre, ma cavalli e vetturini, si sente lo scampanellio delle slitte. Ogni tanto lui si ferma e le guarda passare.

(Oscar PeerIl rumore del fiume, Edizioni Casagrande, 2016, traduzione di Marcella Palmara Pult, pag.107. Cliccate sull’immagine qui sopra per leggere la mia “recensione” e, se non conoscete Peer, leggete qualche suo libro: è uno scrittore sublime, quanto le montagne che ha raccontato nelle sue storie.)

Un luogo come nessun altro al mondo

Caro vecchio amico, sono di nuovo in Alta Engadina, per la terza volta, e di nuovo ho la netta sensazione che questo luogo come nessun altro al mondo sia la mia vera patria e il mio focolaio d’ispirazione.

[Friedrich Nietzsche, lettera a Carl von Gersdorff, 1883. Cliccate sull’immagine per ingrandirla.]

Quando l’Engadina non “esisteva” ancora

[St. Moritz agli inizi del Novecento. Foto di Bruno Wehrli (1867–1927) – Biblioteca Nazionale Svizzera, pubblico dominio, fonte: commons.wikimedia.org.]

Le strade dell’Engadina sono piene di buche che, nonostante l’abbondanza di pietrisco granitico, le autorità insistono nel riparare con fango liquido, così che dopo mezz’ora di vento engadinese nuvole di polvere nascondono metà della valle.

Edward Lisle Strutt, alpinista inglese autore di numerose grandi salite nelle Alpi e che negli anni Trenta fu presidente dell’Alpine Club, la più prestigiosa associazione alpinistica del mondo, così descriveva le strade dell’Engadina a fine Ottocento, epoca nella quale la regione svizzera era già diventata una rinomata meta di villeggiatura ma nella quale, con tutta evidenza, ancora mancava la mentalità turistica assolutamente “elvetica” (nel senso più redditizio del termine) che nel corso del Novecento l’ha resa uno dei luoghi simbolo delle vacanze del jet set mondiale e della relativa sfarzosa mondanità. Al punto che Strutt, nello stesso testo, auspicava che al riguardo «la Svizzera mostrasse un po’ di buon senso»… Be’, c’è da dire che di buon senso (turistico) ne ha sviluppato e di strada (senza più buche) in tal senso la Svizzera ne ha fatta parecchia da allora, eccome!

N.B.: la citazione è tratta dall’articolo Edward Lisle Strutt (1874-1948). Giorni memorabili, fra storia ed alpinismo, di Raffaele Occhi, tratto dal numero 58 – autunno 2021 della rivista “Le Montagne Divertenti”.

 

L’Engadina necessaria

[Foto di Jörg Vieli da Pixabay.]
Tra le prime immagini viste sui social, questa mattina, ve n’era una assai suggestiva dei laghi engadinesi ormai quasi del tutto ghiacciati e subito ho pensato, più con l’animo che con la mente, che l’Engadina è uno di quei luoghi che, quando ci sei, non vorresti più andare via, e quando ne sei lontano vorresti andar via da dove stai per tornarci immediatamente. È una Heimat assoluta, ineluttabile, a prescindere da ogni altra possibile e pur importante, foriera d’una bellezza ontologica che ti sorprende per come metta in armonia ogni cosa nel tuo intimo.

Per anni l’ho esplorata palmo a palmo, d’estate e d’inverno, ho salito molte delle sue vette, esplorato valloni reconditi, visitato i più ignorati nuclei rurali e ogni volta, prima di svalicare dal Maloja e tornare a casa, mi sono fermato lungo le rive del Lago di Sils, in un angolino lontano dal traffico, dai turisti e da ogni altro rumore, e sono rimasto lì una mezz’oretta, seduto, in silenzio, semplicemente a osservare il paesaggio. Una contemplazione sospesa tra realtà e sogno senza capire quale fosse l’una e l’altro e, in fondo, senza volerlo capire. Un esercizio minimo ma necessario, vitale. Che ora, per vari motivi, impegni, impellenze, è da tempo che non faccio più e mi manca. Molto.