Per contrastare l’overtourism bisogna limitare la promozione turistica all’estero?

[Turisti a Lauterbrunnen, nell’Oberland bernese. Immagine tratta da thissplendidshambles.com.]
In Svizzera intorno al tema dell’overtourism è in corso già da tempo un dibattito piuttosto articolato, più che dalle nostre parti, anche in forza della peculiare geografia elvetica che rende molte località turistiche più fragili ed esposte ai rischi di degrado da sovraffollamento rispetto ad altre più capienti e attrezzabili al riguardo, ciò nonostante le infrastrutture e i servizi svizzeri siano notoriamente eccellenti e rappresentino un punto di forza nella gestione dei flussi turistici (basti pensare alla capillare ed efficiente rete dei trasporti pubblici, ferroviari e stradali, grazie ai quali si può raggiungere praticamente ogni villaggio del paese, anche nella più solitaria valle alpina).

Di recente un consigliere nazionale, David Roth, per cercare di contrastare l’eccesso di turismo ha proposto di limitare il più possibile la promozione della Svizzera all’estero. «La popolazione è messa sotto pressione da un turismo diventato eccessivo. Più promozione all’estero significa più pressione sulle risorse locali e sulla qualità della vita dei residenti» sostiene Roth. «Se le località sciistiche puntano sempre più su una clientela internazionale d’élite, i prezzi degli skipass aumentano anche per noi. Nelle città, invece, Airbnb contribuisce ad aggravare la penuria di alloggi.» Questioni per buona parte note anche in Italia, come saprete.

A Roth ha risposto un altro consigliere nazionale, Nicolò Paganini, che è anche il Presidente della Federazione Svizzera del Turismo, affermando che «Vietare la pubblicità sui mercati lontani non è efficace. Non bisogna dimenticare che alcune regioni, soprattutto quelle alpine, dipendono fortemente dal turismo. Soprattutto in bassa stagione, i turisti stranieri aiutano a riempire hotel e ristoranti, garantendo così posti di lavoro durante tutto l’anno

Da questo dibattito la testata elvetica “Tio.ch”, riportando le dichiarazioni dei due parlamentari, ha derivato un sondaggio: la domanda proposta e le relative risposte le vedete qui sotto.

Come si evince, la maggioranza degli svizzeri che ha risposto ritiene che sia giusto limitare la promozione e il marketing turistici della Svizzera all’estero.

Visto che anche l’Italia si impegna parecchio nella promozione turistica dei propri territori, pur se di frequente in modi piuttosto raffazzonati (ve li ricordate i pasticci della campagna “Open to meraviglia”? E il precedente fallimento del portale turistico “Italia.it” con conseguente spreco di soldi pubblici?), e posto che i fenomeni di iperturismo sono sempre più frequenti anche da noi, in particolar modo sulle nostre montagne, con conseguenti proteste frequenti dei residenti delle località coinvolte, quella di agire su un maggior controllo della promozione turistica potrebbe essere una delle possibili soluzione ai nostri problemi “overtourism”? Che ne pensate?

[Overtourism a oltre 3000 metri di quota al Gornergrat, sopra Zermatt. Foto di rhysara da Pixabay.]
Personalmente, dalle due risposte preponderanti del sondaggio, cioè chi da un lato ritiene che si debba agire per limitare le presenze turistiche e dall’altro chi rimarca (giustamente) l’importanza economica del turismo per molte località, trovo di dover ribadire nuovamente la necessità di non fare dell’industria turistica un elemento monoculturale e ancor più “monoeconomico” per i territori, rendendo invece il turismo uno degli elementi di un piano di sviluppo socioeconomico e politico (nel senso originario del termine, di gestione della cosa pubblica) organico dei territori, integrato e armonizzato con le altre economie locali, così che la più consona limitazione delle presenze turistiche derivi fisiologicamente dall’organicità politica suddetta, cioè dal fatto che il turismo non rappresenti l’economia fondamentale, dunque irrinunciabile, quindi per necessità costantemente crescente, ma una delle tante, importante come le altre per cui equilibrata con esse e con l’ambito nel quale si sviluppano, con il territorio e la comunità che lo abita. In parole povere: se un luogo vive di turismo ma anche di altre economie locali, è probabile che non sia così interessato a incrementare di continuo le presenze turistiche, non ne ha bisogno e, anzi, è attento a mantenerle entro un certo limite così che le altre economie attive in loco non ne vengano danneggiate.

Questa, dal mio punto di vista, dovrebbe oggi rappresentare una visione strategica di default per tutti i luoghi turistici. Invece non mi pare di vedere, nella stragrande maggioranza dei casi, né la predisposizione politica (nel senso più ordinario del termine, di chi amministra i territori) necessaria alla sua elaborazione né tanto meno la volontà di avviare una discussione concreta e ben strutturata al riguardo. Nel frattempo i fenomeni iperturistici peggiorano, i territori si degradano e le tensioni con le comunità locali aumentano: se non si fa qualcosa per rimettere in ordine la situazione, nella “miniera d’oro” che secondo molti è il turismo si rischia veramente di rimanere sepolti.

Opere olimpiche: c’è “chi fa su” (un gran disastro)!

Messo alle strette dalla pessima realtà di fatto delle opere olimpiche in Valtellina e non solo, l’Assessore alla Montagna di Regione Lombardia, uno dei referenti politici principali delle opere in questione, accusa con le solite frasi fatte quelli che, manifestando critiche ai progetti presentati, a suo dire avrebbero fatto «perdere tempo a tutti».

Peccato che se invece quelle opere fossero state progettate con adeguato buon senso e non calandole dall’alto per mere convenienze politiche, con competenza e con attenzione ai territori e alle loro peculiarità, con l’ascolto delle comunità locali e l’interlocuzione con gli abitanti dei luoghi coinvolti, molte di quelle critiche – inevitabili vista la situazione – non avrebbero avuto senso né forza e il tempo l’avremmo tutti risparmiato, non perso. Col rischio conseguente di perdere pure la faccia, di questo passo.

D’altro canto le prossime Olimpiadi milano-cortinesi la realtà delle cose l’hanno certificata da tempo: in Lombardia non «c’è chi fa» ma “chi fa su”, (cito di nuovo Giuseppe “Popi” Miotti, decano delle guide alpine valtellinesi, uno che la zona la conosce come pochi altri) come si dice qui per riferire di lavori pensati e fatti male, c’è un fare tanto per fare e per spendere soldi pubblici così da potersene poi vantare propagandisticamente, alle/sulle spalle dei territori e delle comunità, senza alcuna vera progettualità e visione del futuro.

[Un rendering del nuovo svincolo della Sassella, nei pressi di Sondrio, “opera olimpica” mai iniziata e per giunta bocciata dalla Soprintendenza del Ministero della Cultura per il suo impatto paesaggistico, come ho raccontato qui.]
Come ha certificato solo qualche giorno fa “MilanoFinanza”, quotidiano notoriamente ambientalista e antisistema (!), per le Olimpiadi di Milano-Cortina ad oggi sono pronte solo 8 opere sulle 98 previste e più di due terzi di esse verrà completato dopo il 2026, cioè quando delle gare olimpiche già in tanti se ne saranno dimenticati. E considerando quanto male siano state concepite e progettate, come proprio i “critici” messi alla gogna dall’Assessore lombardo hanno ben denunciato, viene quasi da desiderare che pure della realizzazione di queste opere olimpiche ci si possa dimenticare presto, già. Così da poterne pensare altre più sensate e consone ai bisogni dei territori e delle comunità locali, ecco.

A passi lunghi e ben distesi verso il disastro olimpico! (#3)

Da La Provincia-Unica TV”, 9 luglio 2025:

Secondo quanto riportato nell’interrogazione, le piattaforme «Open Milano-Cortina 2026» e «Oltre i Giochi 2026» non garantirebbero un accesso trasparente e conforme alle normative vigenti sui dati pubblici. Le informazioni non sarebbero esportabili in formati aperti e riutilizzabili, violando le disposizioni del Codice dell’amministrazione digitale e le linee guida dell’Agenzia per l’Italia digitale.
Anche sul fronte economico regna l’incertezza: se da una parte il dossier ufficiale della Regione Lombardia, aggiornato a novembre 2024, parla di un investimento di circa 4,97 miliardi di euro, il report indipendente «Open Olympics» ridimensiona il dato a 1,35 miliardi. Inoltre, secondo lo stesso report, solo il 55% delle opere sarà completato entro l’inizio delle gare, previsto per il 4 febbraio 2026. Il resto sarà terminato tra il 2026 e il 2032.
La denuncia più grave riguarda però le imprese che hanno anticipato spese consistenti e che, a distanza di mesi, non sono ancora state pagate, con il caso emblematico del parcheggio interrato del Mottolino a Livigno, uno dei 94 interventi affidati a Simico. Nonostante decreti ingiuntivi esecutivi e solleciti formali, le aziende coinvolte attendono ancora il saldo dei lavori eseguiti.

(Ciò per proseguire la serie di articoli che sto dedicando al disastro olimpico di Milano-Cortina 2026; quelli precedenti li trovate qui. E mancano ancora 7 mesi all’inaugurazione dei giochi…)

[Illustrazione di Michele Comi.]

A passi lunghi e ben distesi verso il disastro olimpico!

P.S. – Pre Scriptum: visto che di disastri olimpici riguardanti i Giochi di Milano-Cortina 2026 ne stanno saltando fuori quasi giornalmente (e mancano ancora molti mesi all’inizio della manifestazione!), è bene metterne in evidenza alcuni particolarmente significativi in grado di far ben capire che le prossime Olimpiadi, alla faccia della narrazione retorica e osannante già in corso e che monta ogni giorno di più, non saranno affatto un successo ma, a quanto si può già vedere, un deprecabile disastro. E come si diceva in quello spot pubblicitario di tanti anni fa: meditate, gente, meditate!

[…] In queste condizioni di opacità sono state diverse le ditte, nel tempo, che hanno invece abbandonato il cantiere di loro iniziativa proprio perché dopo avere sostenuto spese per il mantenimento di vito e alloggio delle proprie maestranze nella località turistica dell’Alta Valtellina non si sono visti neppure pagare gli interventi effettuati o le forniture di materiale. Sono diversi, infatti, gli imprenditori che si sono visti costretti a rivolgersi a uno studio legale per cercare di recuperare i loro crediti.
E, nei giorni scorsi, nel cantiere olimpico del “piccolo Tibet” si è presentato addirittura l’ufficiale giudiziario del Tribunale di Sondrio per la valutazione sul campo di alcuni pignoramenti. Non è proprio una bella immagine quella che sta arrivando dalla preparazione della manifestazione internazionale a cinque cerchi in Valtellina. La speranza, a questo punto, è che l’ad di Simico nel dichiararsi “disponibile a promuovere il più proficuo dialogo e collaborazione per limitare i disagi alle parti in causa” trovi, concretamente, il modo per evitare il rischio che diverse aziende falliscano con gravi perdite sul piano sociale per l’occupazione dei dipendenti. Senza aspettare i tempi che si temono lunghi della giustizia.

[Fonte della citazione: “La Provincia – UnicaTV”, 19 giugno 2025. Cliccate sul titolo della notizia per leggere l’articolo completo.]

(Nell’immagine, un cantiere “olimpico” di Livigno. Fonte: www.valtellinanotizie.com.)

Il turismo è veramente una risorsa per i territori?

Nell’immagine che vedete qui sopra, il titolo sui record del turismo a Bergamo introduce una notizia del 20 maggio scorso, quello sul commercio che va male del 23 maggio; la fonte è praticamente la stessa – “L’Eco di Bergamo” e “Bergamo TV” hanno la stessa direzione redazionale.

Insieme sembrano confermare ciò che molti analisti rimarcano da tempo nei riguardi del turismo di massa – e Bergamo, con i suoi 1,2 milioni di presenze nel 2024 a fronte di 119mila abitanti totali dei quali solo 2.700 nella Città Alta, la zona in cui si concentra la maggior massa turistica, è ormai prossima a una condizione di overtourism – cioè che il turismo non sostiene affatto l’economia dei luoghi che lo ospitano, se non per una minima parte strettamente legata al comparto, e di contro genera conseguenze negative che l’intera città subisce e non compensano affatto i vantaggi. Ciò nonostante non si faccia altro che ribadire che «il turismo è una risorsa», che è «il petrolio dell’Italia», che «ci renderà ricchi» eccetera, facendo di tutta l’erba un fascio sia nel bene che nel male.

Ma che il turismo non sia tutto ciò è una cosa della quale non ci si dovrebbe sorprendere. Come dicevo, già da tempo si denota la matrice “estrattiva” del turismo, nel senso che «estrae valore dalla risorsa» (Sarah Gainsforth, 2020) e comporta «la privatizzazione dei profitti e collettivizzazione degli effetti nocivi» (Rodolphe Christin, 2022), ma già nel 1962, agli albori dell’era turistica massificata contemporanea, Hans Magnus Enzensberger nel suo saggio “Una teoria del turismo” aveva ben compreso che il turismo faceva «del viaggio la merce da vendere»: il turismo alimenta il commercio di se stesso, non di altri.

[Un’immagine eloquente della “Corsarola”, la via centrale di Bergamo Alta, tratta da bergamo.corriere.it.]
Oggi, con il turismo di massa che sta sempre più estremizzando le fenomenologie attraverso le quali si manifesta – delle quali l’iperturismo è la più macroscopica ma non certo l’unica – appare sempre più chiaro che questo tipo di turismo non è una risorsa ma, posto che la vera risorsa è rappresentata dai luoghi e dal paesaggio (peraltro questo sì un patrimonio collettivo, mentre il turismo è un’industria privata), vi estrae valore e la consuma fino a degradarla dal punto di vista ambientale, sociale, economico, culturale.

Tutto ciò non significa che il turismo non possa rappresentare una componente fondamentale nell’economia di un territorio – e dell’intero paese – ma può esserlo solo se ben gestito da politiche nazionali e locali sensate, attente alla tutela dei luoghi e al benessere delle comunità e capace di integrarlo con tutte le altre economie locali, che devono essere parimenti supportate. Una “strategia” che un paese come l’Italia, così ricco di attrattive turistiche, doveva aver elaborato decenni fa, ai tempi del boom economico e, appunto, dalla nascita del turismo di massa. Invece non l’ha fatto e ora ne sta subendo le conseguenze, senza peraltro che la sua classe politica ne capisca il portato, a quanto pare.