Io però, sinceramente, spiace dirlo, un po’ di pena la provo per tutti questi poveri giornalisti costretti ogni “benedetto” giorno, inevitabilmente, inesorabilmente, ineluttabilmente, giorno dopo giorno, a dover riferire, scrivere e dissertare dei politici italiani e di ciò che fanno – di tutto ciò che di sostanzialmente meschino “fanno” e dicono… sempre, tutti i giorni, dover fare la cronaca delle loro “azioni”, degli eloqui e degli sproloqui e poi pure commentarci sopra inventandosi ogni volta qualcosa di nuovo, di gradito a quelli o al proprio direttore (ovvero a entrambi) oppure di disapprovante (e idem ma al contrario con il direttore)… Ben sapendo d’altro canto che quegli stessi giornalisti in molti casi, ove non costretti a sottostare a queste imposizioni redazionali, siano persone dotate di ben maggiori capacità narrative oltre che di lucidità intellettuale e altrettanta indipendenza di pensiero e d’opinioni. Doti invariabilmente soffocate – dacché pure francamente inutili – quando essi debbano redigere i propri monotoni, ridondanti, vacui (loro malgrado) articoli quotidiani.
A suo modo una vitaccia, insomma, considerando il livello infimo (e col tempo in costante degrado) del dibattito scaturente da quell’ambito politico nostrano. E pensare che una volta quello del commentatore politico – poi anche definito politologo, in modo piuttosto altisonante – era uno dei ruoli più illustri e ambiti nelle redazioni! Oggi invece, nella sostanza, equivale a quello d’un corrispondente di (mal)costume o d’un commentatore di spettacoli teatrali di bassissimo livello, costretti a riferire e arzigogolare di cose che il più delle volte risulterebbero vuote di senso persino per un giornaletto scolastico.
Ma invariabilmente gli tocca, visto come pare che sia un dogma teologico a imporre che gli organi di informazione debbano sempre e comunque occuparsi con gran profusione di parole, prima di ogni altra cosa seppur ben più importante, delle avventure di lorsignori politici!
Che pena, appunto… che pena.