2025.02.16

Anche questa sera, come è stato per l’intera giornata, veli di tulle nebuloso giacciono sui fianchi dei monti nascondendone le forme, impigliati tra i rami degli alberi, avvoltolati nelle vallette, ammassati nelle conche.

I panorami sono invisibili ma l’atmosfera è magica, potrei dire fiabesca se pensassi che le fiabe esistano nella realtà. Ha ragione l’amico Franco Michieli quando dice che «col bel tempo c’è meno verità», che «la bellezza assoluta è amante del nascondimento»[1] e che certe condizioni meteorologiche che abitualmente definiamo “brutte” in realtà acuiscono e esaltano il mistero insito nel paesaggio naturale, quello che noi a volte non sappiamo più cogliere e comprendere.

Anche ai Piani Resinelli, dove siamo stati oggi a passeggiare (i miei acciacchi fisici al momento mi impediscono di fare di più), l’intera zona era avviluppata dai veli nebbiosi, impigliati alle guglie della Grignetta e da lì distesi sulle faggete, le abetaie, le case, i prati, le strade e i viottoli campestri… una dimensione straordinariamente affascinante dalla quale ogni tanto, quando le velature nebbiose si sfilacciavano per pochi attimi, la mole della Grignetta appariva come un miraggio, dando l’impressione di una montagna ciclopica la cui vetta era così elevata da sparire a quote himalayane nel cielo, in alto terso e azzurrissimo.

E, devo ammetterlo (non me ne vogliano i ristoratori locali), l’atmosfera era affascinante anche perché il tempo apparentemente incerto ha fatto sì che non ci fosse troppa gente in giro, troppe macchine a ingolfare i parcheggi, troppo rumore, troppi schiamazzi. Un tale fascino così peculiare non ammette fracassi: esalta l’amenità del luogo perché smorza ciò che lo disturba.

D’altro canto i Piani Resinelli sono un luogo di bellezza veramente emozionante. A pochi passi dal caos di Lecco, e in vista dei grattacieli di Milano, condensano e fondono diverse nature tipicamente alpestri generandone un paesaggio armonioso, speciale come pochi altri. C’è la Grignetta, una vetta alpina fatta di “pezzi” di Dolomiti, ci sono le abetaie e le faggete maestose, le radure prative punteggiate di case e baite, le pareti verticali e i sentieri placidi, c’è la storia del turismo, dell’alpinismo, dello sci, c’è un’anima vibrante, un Genius Loci che racconta la propria vita su un palcoscenico di raro prestigio.

I Resinelli sono un luogo che deve essere conosciuto e visitato da tanti ma non da troppi, che merita di essere scoperto, esplorato, compreso, amato, non semplicemente fruito e tanto meno goduto, consumato, sperperato. Non come alcuni di quelli che hanno in gestione le sorti politiche dei Piani vorrebbero, per i quali ciò che conta del luogo sembra siano solo i posti auto a disposizione.

No, non sono i posti auto a disposizione che contano, ai Resinelli, ma la pre-disposizione di chi vi sale a coglierne tutta la bellezza peculiare. È un luogo nel quale non si sta ma si è perché genera ben-essere in chi sa percepirlo e farlo proprio.

Sarebbe un peccato, anzi, un disastro lasciarlo in mano al turismo più becero e fracassone. Anche se ci fosse il più bel “bel tempo” immaginabile, ecco.

Intanto il segretario Loki ci sta mettendo un sacco a espletare il suo ultimo bisognino quotidiano. È stanchissimo, ci siamo fatti due passeggiate in due giorni sulla neve e Loki quando vede la neve si entusiasma (e di conseguenza corre e zompa pazzamente) come farebbe un alcolista indefesso se trovasse per strada una chiave sulla cui etichetta ci fosse scritto “Ingresso enoteca”. Già.

Buonanotte.

[1] Le Vie invisibili, pagina 86. Trovate la mia “recensione” qui.

Senza sapienza non c’è nemmeno preveggenza

[Immagine tratta dal video della canzone Are You Lost In The World Like Me? di Moby & The Void Pacific Choir.]

Sarebbe impossibile eliminare per un tempo prolungato tutta la tecnologia, quindi anche abiti, scarpe, viveri conservabili, alcuni semplici utensili e attrezzi, il controllo del fuoco, in quanto la nostra specie, chiamata con presunzione Homo Sapiens, è nata in una condizione in cui queste tecnologie erano già disponibili, ereditate da altre specie di Homo; senza di esse le nostre sole doti naturali non basterebbero alla sopravvivenza. Non è mai esistito un Sapiens in grado di vivere senza utensili, per quanto semplici; ed è un fatto su cui riflettere, perché la crisi che provochiamo al pianeta, oltre che a noi stessi, parte da qui. La sapienza, se ci fosse, comprenderebbe la capacità di limitare lo sviluppo tecnologico entro limiti non autodistruttivi. E se davvero esistessero inventori geniali, nel produrre un’innovazione l’accompagnerebbero con gli antidoti atti a risolvere gli squilibri che essa provocherà. L’uomo non è nato con questa preveggenza.

[Franco Michieli, Le vie invisibili. Senza traccia nell’immensità del Nord, Ponte alle Grazie, 2024, pag.24.]

Veramente c’è da riflettere sul fatto che non è mai esistito un Sapiens in grado di vivere senza utensili come suggerisce Franco Michieli, naturale o meno che sia. Ovvero su come la tecnologia, da elemento in grado di sancire l’effettiva superiorità dell’essere umano su ogni altra specie terrestre, sia per molti versi un fattore che ha generato un inopinato degrado della sua sapienza. Stiamo per sbarcare su Marte ma ci sentiamo persi se restiamo senza smartphone: forse una delle due cose non è così contestuale all’altra e rivela una certa profonda stortura nella nostra evoluzione. Anche per come entrambe le tecnologie, nella loro essenza, spesso e volentieri le utilizziamo per distruggere la Terra più che per renderla un posto migliore da vivere – non solo per noi.

No, decisamente senza sapienza non c’è nemmeno preveggenza.

Franco Michieli, “Le vie invisibili. Senza traccia nell’immensità del Nord”

È ancora possibile esplorare qualcosa sul nostro pianeta, oggi che sul web esistono innumerevoli strumenti i quali ne rivelano qualsiasi minimo angolo, anche il più lontano, in certi casi dando quasi l’impressione di esserci stati per la gran quantità di informazioni che mettono a disposizione?

Verrebbe da rispondere di no a questa domanda, sia perché, se esplorare significa scoprire cose nuove, di spazi sconosciuti sulla superficie della Terra ormai non ce ne sono più, sia perché obiettivamente non serve più farlo, appunto, avendo altri mezzi che lo consentono con raffinatezza suprema – i satelliti e le loro mappature super dettagliate, ad esempio – senza dover rischiare la pelle.

D’altro canto, forse la situazione appena descritta e in generale l’evoluzione scientifica alla quale siamo giunti rendono la domanda suddetta fuorviante e non più corretta. Ovvero: chiusa l’era dell’esplorazione geografica propriamente detta del mondo, oggi c’è probabilmente bisogno di altre “esplorazioni” atte a (ri)conoscere il pianeta sul quale viviamo, che come ogni spazio possiede certamente una finitezza e dei limiti materiali ma, ancora per chissà quanto tempo, non ne avrà di immateriali – in effetti credo che nessuno possa dire di sapere tutto ciò che c’è da conoscere del nostro mondo, anzi, di cose da scoprire ce ne sono un’infinità, non è così difficile immaginarlo. E una delle nozioni fondamentali che ancora conosciamo molto poco o, per meglio dire, della quale ignoriamo la gran parte del valore culturale (e non solo) che possiede, riguarda noi – esseri umani, Sapiens – rispetto al mondo che viviamo, la nostra relazione con esso, con i suoi ambienti, con i suoi paesaggi. In parole povere: abbiamo esplorato praticamente tutto il mondo, ma quanto abbiamo esplorato ed esploriamo noi stessi in relazione a questo nostro mondo?

Franco Michieli, che “esploratore” propriamente detto lo è e tra gli italiani più rinomati – oltre che geografico, alpinista, scrittore – ha intrapreso la propria attività esplorativa ai quattro angoli del mondo sviluppandone col tempo un’elaborazione interiore che si è fatta prima complementare a quella meramente geografica e poi preponderante: una nuova modalità di esplorazione lungo le vie (spesso invisibili, appunto) che corrono tra i paesaggi esteriori e quelli interiori le quali dei primi si fanno rappresentazione sempre più intensa e profonda fino a che, per così dire, la dinamica si ribalta e sono i secondi a “rielaborare” i paesaggi fisici. Questo lungo percorso di duplice affinamento della pratica esplorativa Michieli lo ha soprattutto sviluppato nelle terre del Grande Nord, percorse fin dall’età di vent’anni e poi innumerevoli volte, così diventate territori dell’anima più di ogni altro, con i quali ha sviluppato un legame particolare e profondo. Alcuni dei suoi più significativi viaggi iperborei Michieli li ripercorre in Le vie invisibili. Senza traccia nell’immensità del Nord (Ponte alle Grazie, 2024): dalla Norvegia alla Groenlandia, dalle Lofoten alle Shetland all’Islanda, prima attraverso una modalità esplorativa tradizionale con carte e bussola e poi, come accennato, elaborando la propria peculiare “nuova” esplorazione, senza più alcun strumento di navigazione e con il solo uso dei segni naturali, dei sensi, dell’istinto e di eventuali mappe mentali, esattamente come facevano gli esploratori fino a qualche secolo fa, nell’epoca precedente all’invenzione degli strumenti suddetti []

(Potete leggere la recensione completa di Le vie invisibili cliccando sulla copertina del libro lì sopra, oppure visitate la pagina del blog dedicata alle recensioni librarie. Buona lettura!)

A dire «montagna», ecco i primi personaggi che vi sono venuti in mente

[Foto di Erich Wirz da Pixabay.]
Qualche giorno ho proposto agli amici che leggono le mie cose sul web di citarmi il nome di un personaggio al quale per primo si pensa in mente a sentire la parola «montagna». Una figura che per ciò che è stato o è, ha fatto, ha detto, ha rappresentato, vi si possa identificare un’idea compiuta di montagna. Una sorta di “primo ambasciatore” delle terre altre, per così dire, o colui che meglio di altri potrebbe aver dato o dare forma, mente e anima al loro Genius Loci.

Innanzi tutto grazie di cuore a chi è stato al gioco – perché di ciò si trattava, non certo di un sondaggio con pretese demoscopiche ma più una “chiacchierata” tra amici: anche se le risposte, ben 150 (spero di non averne persa qualcuna!), formano un quadro sì giocoso ma comunque parecchio significativo. Le ho raccolte nell’istogramma che vedete qui sotto (cliccateci sopra per ingrandirlo) ordinandole alfabeticamente (nome-cognome) e non per quantità di citazioni, proprie perché non c’era alcuno scopo di comporre graduatorie di preferenza. Anche se la proposta iniziale era di indicare un solo nome di personaggi reali, ho inserito tutti quelli citati, anche quelli più “bizzarri”: perché ogni vostra risposta ha valore e in effetti risulta variamente interessante e significativa. Grazie ancora per averle espresse!

Posto ciò, potete liberamente ricavare dalle risposte ottenute le vostre considerazioni, mentre io qui ne rimarco alcune personali: se per molti versi la quantità di citazioni per Walter Bonatti poteva essere prevedibile, trovo significativo che il secondo personaggio più citato sia stato Mario Rigoni Stern (ribadisco, non importano il numero di voti o lo scarto): il primo una figura che incarna soprattutto la dimensione alpinistica e esplorativa della montagna, il secondo invece principalmente quella culturale e umana, i due ambiti fondamentali attraversi i quali l’uomo ha vissuto le montagne dai secoli scorsi fino al presente, seppur sia Bonatti che Rigoni Stern hanno poi elaborato il proprio legame con i monti anche in altri modi – così come hanno fatto ulteriori personaggi citati, conosciuti soprattutto come alpinisti ma la cui relazione con le montagne non si è manifestata solo attraverso la conquista delle vette e la sfida alle loro verticalità (Reinhold Messner, per dirne un altro tra i più citati).

Ugualmente interessanti sono le numerose citazioni a personaggi che invece poco o nulla si legano all’alpinismo così come quelle a figure familiari, mentre inesorabilmente poche sono le donne citate: se l’alpinismo si è spesso contraddistinto per la propria dimensione patriarcale, nella quale la frequentazione femminile delle vette spesso era ritenuta sconveniente, non solo la sua storia è ricca fin dall’inizio di grandi alpiniste ma in fondo è la montagna nei suoi tanti aspetti quotidiani a essere stata spesso “governata” dalle donne senza che ciò venisse loro adeguatamente riconosciuto. Così come oggi non esiste più un alpinismo “maschile” e uno “femminile” ma l’alpinismo e basta, credo che il Genius Loci montano non abbia genere. Che poi, a ben vedere, «montagna» è un sostantivo femminile che deriva dal latino mons mōntis, «monte», il quale è un sostantivo maschile, dunque: pari e patta!

Ancora una volta grazie per le vostre risposte!