Mirella Tenderini. D’arte e di montagna

È stato veramente bello, ieri sera a Lecco, assistere alla prima di Mirella Tenderini. D’arte e di montagna, il docufilm realizzato da Paola Nessi e dedicato a una figura semplicemente meravigliosa, sotto ogni punto di vista, la cui vita – come proprio la regista ha affermato durante la serata – è così affascinante da non poter non essere raccontata. Paola Nessi l’ha fatto da par suo, con quella sensibilità e quella cura per i personaggi narrati, oltre che con la sua capacità artistica, con cui ha intessuto un racconto vividissimo e emozionante da “leggere” sfogliando con gli occhi e col cuore “pagine” che sono i fotogrammi (se ancora si può usare questo termine) del film, ciascuno dei quali per quel racconto rappresenta un brano intrigante e evocativo.

Poi, certo, Paola aveva a che fare con una persona, una donna, un personaggio talmente affascinante e così importante per ogni ambito nel quale è stata presente – la montagna in primis ma non solo – che, appunto, c’era solo da trovare il modo migliore per raccontarlo e per fissare nelle immagini e nell’audio l’esperienza profonda di una vita rara come quella di Mirella Tenderini, alla quale deve andare l’ammirazione costante e la gratitudine massima di chiunque abbia avuto la gran fortuna di conoscerla, di leggere i suoi libri, di ascoltarla nelle sue conferenze o anche solo di incrociare il suo volto sempre sorridente, così in grado di infondere fiducia, cordialità, affetto, valore umano.

Serata indimenticabile, insomma, da tenersi perennemente a mente e nel cuore.

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Walter Bonatti, il più grande

Walter Bonatti, 13 settembre 2011, undici anni fa.

Il più grande, sempre.

E trovo sia doveroso ricordarlo attraverso le parole della sua amata Rossana Podestà, colei che divenne una parte fondamentale e inscindibile dell’uomo-Walter Bonatti e nonostante ciò venne allontanata dai medici della clinica privata cattolica dove Bonatti era stato improvvidamente ricoverato perché non erano sposati. Anche per questo è giusto e bello ricordarli insieme, e insieme saperli felici tra le montagne dell’infinito.

[Il video è stato realizzato da Vinicio Stefanello (Planetmountain.com) e Francesco Mansutti (Studio Due) per l’edizione 2012 dei Piolets d’Or.]

Appartenere al punto di vista dei vagabondi

[Foto di Sergey Pesterev da Unsplash.]

La mattina del 24 agosto iniziava il secondo mese di cammino attraverso le Alpi. Fin qui, nella mia ricostruzione, ho voluto raccontare il viaggio quasi passo passo, giorno per giorno, per consentire al lettore di immergersi nella trasformazione emotiva di ragazzi che affrontano il distacco dal mondo cittadino per diventare viandanti della montagna, in cerca delle molte risposte che la civiltà umana non sa dare. Come capii allora, avendone conferma in occasioni successive, dopo circa un mese di traversata – nelle condizioni di isolamento dalle cronache del mondo civile che si viveva all’epoca – si apre una nuova porta esperienziale e cognitiva: ormai si appartiene al punto di vista dei vagabondi, la natura è la propria casa e gli schemi di pensiero tipici della vita urbana sono dimenticati, quasi che non dovessero mai più riguardarci.

(Franco Michieli, L’abbraccio selvatico delle Alpi, CAI / Ponte alle Grazie, 2020, pag.156.)

L’importanza fondamentale di conservare in noi, esseri tecnologici fondamentalmente stanziali, la natura vagabonda ovvero l’impulso al nomadismo, nelle parole e nell’esperienza di Michieli. Una dote che come poche altre ha reso l’uomo un Sapiens e lo ha relazionato al mondo vissuto ma che oggi appare quasi del tutto dimenticata, nella sua accezione originaria e antropologica. Ne riparlerò a breve, di questo tema.

Carlo Viano. Forme volumi trame

C’è una bella mostra in corso al Museo Nazionale della Montagna di Torino: Carlo Viano. Forme volumi trame, dedicata all’originale produzione figurativa iperrealista con la quale l’architetto torinese ha ritratto le montagne alpine.

Come si legge nella presentazione della mostra, «Muovendo dal fascino per le cartografie alpine e le rilevazioni scientifiche realizzate nella seconda metà dell’Ottocento da Eugene Viollet-Le-Duc, Viano ha elaborato una ricerca del tutto personale, in cui i riferimenti al metodo architettonico si fondono con la ritrattistica di paesaggio. La specificità del suo lavoro risiede tuttavia nel metodo: Viano “fotografa” la montagna, e la materia minerale di cui è fatta, rappresentandola mediante una tecnica di carattere iperrealistico. Il dato fotografico è punto di partenza e guida affidabile per una ricerca sulla forma, mediante la quale Viano dà vita a un processo di conoscenza minuzioso del paesaggio. I dipinti prendono vita su carta da acquerello, supporto sul quale Viano riproduce la grammatica della carta millimetrata, che diventa elemento tecnico al contempo strumentale e strutturale per le rappresentazioni  di montagne, ghiacciai e materia minerale.»

Le opere di Viano, così minuziose, sembrano quasi immagini a corredo di studi e report scientifici, dando l’impressione di, leggo ancora nella presentazione della mostra, «Una montagna “sorvegliata speciale”, oggi più che mai oggetto di misurazioni scrupolose e osservazioni costanti», tuttavia la natura pienamente artistica delle sue opere e la rappresentazione della bellezza del paesaggio alpino fa di esse una sorta di profondo e appassionato atto di sensibilità verso le montagne, colte da uno sguardo che nella meticolosità della raffigurazione sembra voler tentare di cogliere tutto ciò che le montagne sanno offrire all’occhio più attento, caratteristica che denota uno spirito parimenti attento e sensibile.

La mostra è aperta fino al 15 maggio prossimo: cliccate sull’immagine in testa al post per saperne di più. Se siete in zona, secondo me una visita la merita, senza contare tutto il resto di interessante e affascinante che il Museo Nazionale della Montagna sa offrire ai suoi visitatori.

Il CAI, Bonatti e il K2: ma quale “verità”!

Trovo alquanto utile e significativo l’articolo Una verità che arriva da lontano pubblicato sul numero di dicembre 2021 di “Montagne360”, la rivista del Club Alpino Italiano, col quale l’autore, Presidente Generale del sodalizio, torna sulla vicenda CAI-Walter Bonatti-K2.

È un articolo particolarmente utile non perché rimarchi che, a dire dell’estensore, il CAI fin dal 1994 «avesse appoggiato la versione di Bonatti» – cioè la verità sulla vicenda – ma proprio per come riesca a ottenere l’effetto opposto, ovvero evidenziare che per 40 anni il CAI (con alcune eccezioni ma mai “ufficiali”) abbia sostanzialmente dato del bugiardo e del millantatore a Walter Bonatti, cagionandogli sofferenze e dispiaceri che solo chi l’abbia realmente conosciuto è conscio della drammaticità – lo stesso Bonatti, ne Le mie montagne, le descrisse come «fin troppo crude per i miei giovani anni».

Quarant’anni di infamia che in verità sono anche di più, per come la risoluzione finale della vicenda arrivò solo nel 2004 con la cosiddetta “Relazione dei tre saggi” poi ratificata in vari modi negli anni successivi. Dunque sono 50 gli anni effettivi di falsità del CAI nei confronti di Walter Bonatti. Cinquanta. Non solo: è bene ricordare che ancora nel 2003 – dunque non nel 1994 – Bonatti dichiara (intervista a “La Repubblica” del 8 ottobre 2003, pagina 15) che «Io sul K2 in una notte del ‘54 sono quasi morto, ma quello che mi ha ucciso è questo mezzo secolo di menzogna» e che in K2 La verità. 1954 – 2004 (Baldini Castoldi Dalai Editore, ristampato nel 2021 da Solferino Libri), pubblicato nel 2007, così scrive alle pagine 206-207 proprio in riferimento a quel 1994 della “verità” così celebrata dal CAI:

Siamo giunti al quarantesimo anniversario della conquista del K2, e il CAI, finalmente, annuncia la tanto attesa revisione storica dell’assalto finale alla grande montagna.
Ma è proprio qui che si manifesta il bluff del Club Alpino Italiano, ovvero l’inganno di considerare, come pretesa revisione storica, una motivazione niente affatto pertinente alla reale «pietra dello scandalo». Cosa quindi mai da nessuno ritenuta «sospetta».
Così il CAI Centrale si limita a «riconoscere a Bonatti il giusto merito per l’apporto alpinistico da lui dato alla vittoria del K2»… E chi mai, fin dall’inizio, ne aveva dubitato? Risultò insomma, tout court, una finta, assurda e persino ridicola revisione storica.

Dunque, dal mio punto di vista, quello pubblicato sull’ultimo numero di “Montagne360”, è un articolo mendace e ipocrita, anche per come cerchi maldestramente di scansare dati e vicende oggettive che ne minano qualsiasi eventuale valore “positivo” – in primis proprio nell’esaltare 17 anni di favore del CAI verso Bonatti (morto nel 2011, lo ricordo) a fronte di 40 anni di fango. Ovvero 7 anni contro 50, se si considera la “revisione” del 2004.

Ma è pure un articolo ruffiano, visto che sfrutta il traino (ritenuto funzionalmente propizio, con tutta evidenza) della docufiction su Bonatti andata in onda su Rai Uno lo scorso settembre, ed è anche sorprendentemente puerile, per come tenti di avallare la propria versione dei fatti mostrando l’immagine di una dedica di Bonatti all’autore dell’articolo quasi che con essa si possa indubitabilmente sostenere che Bonatti avesse concesso la propria totale riconciliazione al CAI – quando semmai quella dedica dimostra una volta di più la sua costante e grandissima signorilità verso tutti, una dote che chiunque lo abbia conosciuto avrà sempre riscontrato, anche nei suoi momenti più cupi.

Insomma, ribadisco: per quanto mi riguarda, Una verità che arriva da lontano è uno scritto idealmente esecrabile, che da un lato offende la memoria di Walter Bonatti sfruttandone il nome per rivendicare “verità” distorte e fallaci, ma dall’altro dimostra nuovamente la notevole dote del Club Alpino Italiano di palesare, appena dietro la propria prestigiosa immagine storica, il solito armadio pieno di scheletri tanto ipocriti quanto demoralizzanti per chi invece vorrebbe riconoscerne la reputazione e l’autorità riguardo tutto ciò che è “montagna” il più frequentemente possibile.

Quanto sopra, sia chiaro, con il pieno e immancabile rispetto personale e istituzionale delle figure che in questo mio scritto ho più o meno direttamente citato e coinvolto esclusivamente al riguardo degli argomenti disquisiti.