Essenziale è comprare molti libri che non si leggono subito. Poi, a distanza di un anno, o di due anni, o di cinque, dieci, venti, trenta, quaranta, potrà venire il momento in cui si penserà di aver bisogno esattamente di quel libro – e magari lo si troverà in uno scaffale poco frequentato della propria biblioteca. Nel frattempo può darsi che quel libro sia diventato irreperibile, e difficile da trovare anche in antiquariato, perché di scarso valore commerciale (certi paperback sembrano sapersi dissolvere rapidamente nell’aria) o anche perché è diventato una rarità e vale molto di più. L’importante è che ora si possa leggere subito. Senza ulteriori ricerche, senza provare a trovarlo in biblioteca. Operazioni laboriose, che conculcano l’estro del momento.
Strana sensazione, quando si aprirà quel libro. Da una parte il sospetto di aver anticipato, senza saperlo, la propria vita, come se un demone sapiente e malizioso avesse pensato: «Un giorno ti occuperai dei Bogomili, anche se per ora non ne sai quasi nulla». Dall’altra un senso di frustrazione, come se non fossimo capaci di riconoscere ciò che ci riguarda se non con un grande ritardo. Poi ci si accorge che quella doppia sensazione si applica anche a molti altri momenti della nostra vita. Valéry una volta ha scritto che «siamo fatti di due momenti, e come dal ritardo di una “cosa” su se stessa».
È un brano tratto dall’ultimo libro di Roberto Calasso, deux ex machina di Adelphi e senza dubbio una delle figure fondamentali (in senso positivo, dacché sapete bene che ci sono anche sensi assai negativi, al riguardo) dell’editoria italiana, che ricavo da questo articolo de “Il Post” e nel cui testo mi ci ritrovo molto. Io sono certamente tra quelli che quasi mai acquista un libro per cominciare a leggerlo il giorno stesso o comunque a breve dall’acquisto, e non solo perché compro più libri di quanti ne possa leggere (di questa sorta di malattia compulsiva, della quale vado molto fiero, ne ho scritto anche qui) ma pure perché penso da sempre che il libro, ovvero ciò che contiene, abbia bisogno di un periodo di decantazione, di durata variabile ovvero dipendente da tanti fattori, in primis da quell’indeterminabile momento nel quale il mio occhio, che scorre sugli scaffali della libreria di casa per cercare il prossimo libro da leggere, cade proprio sul suo dorso e accende una specie di lampadina nel cervello, una luce rossa che si mette a lampeggiare illuminando la scritta “VAI!” e mi segnala che sì, è giunto il momento di leggere proprio quel libro. Magari acquistato cinque anni prima, forse anche di più ma non importa, appunto, e sovente non è importante nemmeno che quel libro tratti un tema del quale per i miei progetti mi stia occupando: a volte va così, per ovvi motivi, altre volte no, la scelta di lettura è istintiva se non istintuale, impulsiva, basata su fattori razionali dietro ai quali comunque si nasconde almeno in parte l’inconscio e le sue (apparenti) irrazionalità.
In fondo è bello che sia così, proprio come scrive Calasso: il «demone sapiente e malizioso» che cita alla fine si rivela quasi sempre un ottimo angelo custode della miglior cultura letteraria personale.
(Cliccate sulla copertina del libro, lì sopra, per saperne di più.)