Quando “ideologia” fa rima con “ipocrisia”

[Foto di Siamdragonshow, opera propria, CC BY-SA 4.0, fonte: commons.wikimedia.org.]
Nel frattempo, in relazione al post di questa mattina e alla cronaca sulla quale disquisisce, trovo sempre alquanto spassoso (seppur ingenuamente, forse, lo ammetto) assistere, sul consueto palcoscenico teatrale italico, al cabaret melodrammatico inscenato dai saltimbanchi politici locali, gran zuzzurulloni al loro solito.

Così assisto alle peripezie della “destra” che sostiene – in parte per retaggio almirantiano – a spada tratta Israele perché gli altri sono “biechi terroristi arabi islamisti” (riassumo così il concetto) nel mentre che numerosi suoi votanti non esitano a usare il termine “ebrei” nel modo più sprezzante possibile riallacciandosi a un modello ideologico e a figure di riferimento (LVI in primis, certamente) che i genitori di molti israeliani di oggi li ha mandati a morire nelle camere a gas, d’altro canto smarrendo di colpo (chissà come mai?!) tutto il proprio “forte sostegno” per Israele quando da esso e da suoi esponenti politici e civili si ponga l’accento sulle responsabilità storiche della Shoah.

Dall’altra parte (?) c’è una “sinistra” che, salvo qualche frangia pervicacemente radicale, da sua tradizione ormai consolidata dice “cose” vaghe a favore di “qualcuno” (oggi di Israele, pare) con la stessa convinzione e forza ideologica di un cacciatore chiamato a sostenere le tesi di un convegno di animalisti – i quali per giunta rischierebbero persino di addormentarsi, a sentirlo parlare – ma poi non esita a intestarsi la difesa della memoria della Shoah, sapendolo tema assai inviso alla destra. È comunque divertente, a proposito di quei duri e puri con la kefiah sempre al collo – anche in spiaggia ad agosto in Costa Smeralda – constatare come il loro sostegno altrettanto incondizionato alla causa palestinese e, in generale, alla “libertà dei popoli oppressi”, li rende sodali a uno come il leader turco Erdogan, paladino della causa palestinese nel mentre che elimina una a una le libertà civili nel suo paese e, appena possibile, guerreggia contro i curdi che invece la “sinistra” più radicale supporta convintamente.

Nel mezzo delle due parti restano quei guitti che, temo, se gli si chiede di indicare su un mappamondo la posizione di Israele e della Palestina faticano non poco a identificarla (sempre che la trovino), ergo la loro parte di copione è importante come quella di certi figuranti le cui battute sono coperte dalla musica e nemmeno si notano.

Il solito “bel” teatrino italico, insomma, anche in questa circostanza, già. E il titolo dello spettacolo è lo stesso di questo post, ecco.

(Nella foto in testa al post: a destra gli esponenti della “destra”, a sinistra quelli della “sinistra”, in centro gli altri. Come dite? Vi sembrano tutti uguali? Eh, ma pensate che caso, vero?)

 

Barzellette all’italiana

[Immagine tratta da qui, cliccateci sopra per ingrandirla.]
E così, pare che i due argomenti principali sui quali in questi giorni si concentra l’attenzione di buona parte degli italiani siano la crisi di governo e il Festival di Sanremo.
Be’, lo capisco: raccontarsi barzellette in fondo è uno dei tanti modi per tenersi su il morale a vicenda, in questo periodo così difficile. Anche se a volte sono barzellette un po’ volgari, ma tant’è.

P.S.: per chi fosse così giovane da non ricordarselo, quello nell’immagine è Gino Bramieri, comico assai rinomato e barzellettiere celeberrimo.

La verità, sulla politica contemporanea

[Illustrazione di Prawny da Pixabay.]
Suvvia, non meniamo(ci) tanto il can per l’aia: la verità più vera e palese, riguardo la politica – a livello globale, nei “macrosistemi” (gli Usa, per fare un esempio), e nei “microsistemi” (la Lombardia, sempre per fare un esempio che ho sotto gli occhi quotidianamente, ma nel frattempo c’è un’ennesima crisi del governo nazionale, in Italia) – è che la stessa, invece di essere l’ambito nel quale confluisce la parte migliore della società che rappresenta, col tempo e con frequenza crescente è diventata il ricettacolo della parte peggiore. Sempre meno persone di valore e con un alto senso civico e sempre più inetti, incompetenti, incapaci, lazzaroni, approfittatori, disonesti, furboni, cialtroni, esaltati, palloni gonfiati, deviati mentali, buffoni, bricconi se non autentici mascalzoni, che riescono a farsi eleggere e sovente a presentarsi come “leader popolari” solo in forza del degrado culturale, morale e civico che negli anni è stato agevolato e alimentato proprio dal corrispondente regresso della politica, funzionale proprio alla trasformazione di essa in un esercizio tanto reiterato quanto vuoto e dannoso del potere con mere finalità di parte. Uno sconcertante e pernicioso circolo vizioso che si è sempre più autoalimentato, fino a che popolo e governanti si sono specchiati in un’unica immagine, perfettamente speculare ma al contempo dividente – così che l’uno sia sempre più sottomesso e gli altri sempre più liberi, nonché autogiustificati, di sottometterlo ai suoi fini particolari, secondo un processo sociologico e antropologico ben risaputo e comune ad altri ambiti.

Dunque, se è sempre più vero che ogni popolo ha i governanti che si merita è perché il “governo”, in senso generale e in primis come espressione (della) politica, si è meritato – ovvero coltivato e costruito – il popolo che lo elegge a proprio rappresentante. Per questo, se una società culturalmente e civicamente avanzata (ammettendo che ve sia effettivamente una, da qualche parte) si fa inevitabilmente rappresentare dalla sua parte migliore (come, ad esempio, di una squadra di calcio diventa l’emblema il giocatore più forte, non uno di quelli mediocri), la società degradata finisce inesorabilmente per sentirsi rappresentata da chi esprima in modo più netto quel suo degrado, scambiandolo per “emblematico” ovvero per la parte migliore di sé, quando invece con tale processo rende palese la sua parte peggiore e il profondo degrado che l’ha determinata e l’alimenta.

Posto tutto ciò, vi sono solo due vie d’uscita, molto semplici, a tale situazione: una vera e totale rivoluzione nella classe politica, che ribalti radicalmente i deleteri meccanismi sopra esposti, oppure l’eliminazione della classe politica stessa ovvero della politica nell’accezione comune e attuale del termine. E, credo, al momento sono entrambe due buone definizioni del termine “utopia”; d’altro canto, e per citare di nuovo l’esempio calcistico sopra esposto, sarebbe come continuare con una squadra di brocchi assoluti convinti che possa vincere lo scudetto mentre la stessa sprofonda sempre più verso l’ultimo posto in classifica.

Tutto molto semplice, appunto.

 

Un dato di fatto

[Immagine tratta da andria.news24.it, fonte originaria qui.]
Non mi piace parlare di politica intesa come l’operato dei partiti (italiani) e dei loro esponenti, lo trovo un argomento profondamente cafonesco e triviale ma, suvvia, fatemelo dire, la verità fattuale sulla politica di questo paese è molto semplice: c’è una maggioranza cialtronesca e un’opposizione buffonesca, e non c’è una “crisi” di governo ma la crisi È il governo, ovvero i governi – tutti quanti – che si sono avvicendati negli ultimi decenni alla guida di questo povero paese.
Fine.

Ottimi motivi

Leggo che ieri sera c’è stato in TV un dibattito tra quei due noti “leader” politici in quel “famoso” talk show condotto da quel discusso “giornalista”, e penso che io da tempo non la guardo la TV e a volte mi verrebbe anche voglia di riaccenderla ma poi, devo ammetterlo, la stessa, coi suoi palinsesti, è bravissima a fornirmi di continuo ottimi e indiscutibili motivi per non farlo.

P.S.: per la cronaca, avevo peraltro mooooolto di meglio da fare che guardare la TV ovvero continuare a leggere il libro che sto leggendo in questi giorni, del quale ne saprete a breve, qui sul blog.