P.S. – Pre Scriptum: questo articolo continua e sviluppa le riflessioni sul tema già indicato nel titolo elaborate qualche tempo fa in questo articolo.
Affinché un settore sia davvero decisivo per l’economia di un paese bisogna valutarne le potenzialità di crescere e di portare sviluppo, cioè se attrae investimenti, stimola l’innovazione, e se crea posti di lavoro ben retribuiti e vantaggi per la società nel suo complesso. Il turismo questo non lo fa, e non per una questione di scarse capacità imprenditoriali degli operatori italiani, ma proprio per le caratteristiche intrinseche del settore.
L’evidenza statistica dice che generalmente più è alta l’incidenza del turismo sul PIL di un paese e più è basso il livello di reddito procapite. I paesi più ricchi e avanzati non puntano a vivere di turismo, mentre lo fanno di solito i paesi più poveri e in via di sviluppo.
L’intuizione è che questi basano il loro modello economico sullo sfruttamento di ciò che hanno già, per esempio spiagge, montagne o luoghi culturali. È un qualcosa di simile a quello che succede ai paesi che vivono di risorse naturali, come il petrolio: sono in entrambi i casi risorse finite, il cui sfruttamento non può crescere all’infinito e può facilitare un’indolenza nello sviluppo di altri settori (con un fenomeno che in economia è chiamato “la maledizione delle risorse naturali”).
“Il Post” lo scorso 1 settembre ha pubblicato un articolo dal titolo È davvero il turismo quello che serve all’economia italiana? e sottotitolo La politica ne parla spesso come la soluzione su cui puntare per la crescita, gli economisti non sono d’accordo, i quali ne fanno ben capire i contenuti – lì sopra avete letto qualche passaggio significativo.
Credere che in un paese pur ricco di attrazioni d’ogni sorta il turismo possa rappresentare «una miniera d’oro» (per citare una delle definizioni più comuni al proposito) sulla quale campare di rendita o quasi è una cosa alla quale solo il pubblico meno informato e consapevole può credere. In primis, perché è sostanzialmente impossibile che un’industria turistica raggiunga quote di PIL capaci di “mantenere” il paese, in secondo luogo perché, come denota “Il Post”, è vero l’esatto opposto: sono i paesi a reddito basso e/o calante che possono ritenere di sostenersi con il turismo, in realtà con ciò denunciando l’incapacità di sviluppare il paese in altri comparti industriali di maggiore efficacia economica.
Che il turismo non rappresenti tutta quella fonte di ricchezza e di benessere che si vuole far credere è evidente sulle montagne, ambiti per molti motivi “speciali” e capaci di evidenziare certe realtà in modo più palese che altrove, nel bene e nel male, e parimenti dove invece la turistificazione monoculturale dei territori procede incessantemente, spesso al grido di «Il turismo combatte lo spopolamento delle località montane e ne promuove lo sviluppo!»: altre affermazioni diffuse dagli amministratori pubblici e da tempo ampiamente disattese – l’ho spiegato da par mio con questo articolo qualche tempo fa, spero in maniera significativa. D’altro canto quegli amministratori così sensibili e sodali con le dinamiche turistiche più commerciali hanno ben capito che il turismo ad oggi è l’ambito più “funzionale” a molti dei loro interessi: elettorali, di propaganda, di spesa pubblica, di bilancio, di clientelismi locali. Insomma: fa più immagine inaugurare una nuova seggiovia (anche a quote dove non nevica quasi più) e sostenere che con essa e con il turismo conseguente si sostenga lo sviluppo economico dei territori piuttosto di un ambulatorio che possa servire le esigenze sanitarie della comunità locale.
In ogni caso l’articolo de “Il Post” spiega bene perché il turismo, pur con tutta la sua innegabile importanza, non debba e non possa essere considerato quella “miniera d’oro” più volte citata, anzi, in certi casi per i territori in cui opera finisce per rappresentare un elemento di danno e di degrado, non solo ambientale. Da ciò che l’articolo afferma io voglio prendere spunto per ribadire un paio di domande, l’una conseguente all’altra, che da tempo mi faccio e sottopongo spesso a chi assiste agli eventi pubblici nei quali intervengo. La prima: perché si continua a considerare quella turistica come l’unica economia possibile per i territori montani e “salvifica” per le sue comunità, e non se ne considerano altre ovvero non si ritiene che anche i territori montani – ovviamente non tutti ma certamente tanti di essi – possano ospitare come altrove comparti produttivi e manifatturieri? Con la tecnologia a disposizione oggi, si potrebbero gestire al meglio le relative criticità logistiche e ambientali, senza contare le potenziali attività produttive direttamente legate alle risorse territoriali locali che ancora più facilmente e rapidamente potrebbero essere sviluppate. La seconda domanda, conseguente: perché non si impiega una congrua parte delle risorse che oggi vengono investite in maniera univoca nelle infrastrutture turistiche, così alimentandone la monoculturale economica e culturale, nelle tante altre possibilità produttive offerte dalle economie locali, magari di carattere circolare? Il che peraltro permetterebbe ai territori montani coinvolti di svincolarsi dalla dipendenza oggi quasi totale all’evolversi della crisi climatica assicurandosi un più solido futuro economico e non solo, ribadisco, anche quando non si dovesse più sciare oppure i flussi turistici optassero – in forza di marketing più efficaci, mode, tendenze o che altro – per altre destinazioni.
Un’economia prettamente legata al turismo con modalità monoculturali, sulle montagne, implica l’inevitabile mutazione delle stesse in meri divertimentifici ad uso del turista e con la necessità di trasformarsi continuamente al fine di mantenersi attrattivi e sostenere la concorrenza delle altre località. Per tale motivo il “turismo-miniera d’oro” così spesso sostenuto viene piuttosto definito, per molte nostre realtà soprattutto montane, un’economia estrattiva, che non dà nulla ma invece toglie ai territori, privandoli di risorse, sviluppo, vitalità sociale, identità culturale, invece di integrarne l’attività in maniera organica con quella delle altre economie locali e con il comune obiettivo fondamentale di apportare benefici innanzi tutto alla comunità residente, prima che ad altri. D’altro canto, quando ciò accade, sono proprio i turisti i primi a giovarsene e a stare meglio nelle relative località di soggiorno: se il territorio sta bene e prospera organicamente, stanno bene tutti quelli che lo vivono, permanentemente da abitanti oppure per solo qualche ora o giorno da turisti. Ecco, secondo me questa dovrebbe essere una vera “economia turistica” e di conseguenza quelli citati gli obiettivi che avrebbe da perseguire: invece temo che, ad oggi, in numerose località la tanto decantata miniera d’oro del turismo stia solo scavando una fossa profonda sotto i piedi delle rispettive e a volte illuse comunità.






