Il primo (mini)festival de “L’AltraMontagna”, a Trento

A nove mesi dall’inaugurazione e dalla messa on line il progetto de “L’AltraMontagna”, al quale mi pregio di collaborare fin da allora, continua a espandersi tra i rilievi della Penisola, come viene ben attestato dai notevoli numeri conseguiti: dall’inizio delle pubblicazioni si contano 3,5 milioni di utenti e 8 milioni di articoli visualizzati. Ciò dimostra pure quanto sia importante, e quanto richiesto da un pubblico sempre maggiore, raccontare con attenzione il presente e immaginare con sensibilità il futuro delle terre alte, un ambito la cui imprescindibilità è riconosciuta da chiunque seppur ciò non sempre si manifesti nei modi più virtuosi.

Per quanto sopra, e per il desiderio di approfondire alcune delle tematiche principali emerse in questi mesi circa la realtà della montagna italiana, il prossimo fine settimana del 18-19-20 ottobre a Trento si volgerà il primo mini-festival de “L’AltraMontagna”: «mini» perché in realtà si tratta di una sorta di “numero zero” – allestito in collaborazione con la casa editrice People – di quello che in futuro potrebbe essere un evento più strutturato e ampio ma quest’anno già ricco di ben undici eventi con figure di grande rilievo del mondo della montagna e non solo, come vedete dal programma.

È una nuova – e per quanto possibile innovativa – occasione di parlare, conoscere, riflettere, immaginare, progettare, sognare di montagne: che per molti versi significa fare tutto ciò riguardo il nostro paese, che di montagne in gran parte è fatto!

[Foto di Lorenza Liandru, opera propria, CC BY-SA 4.0, fonte commons.wikimedia.org.]
Dunque, da venerdì prossimo appuntamento in Piazza del Duomo a Trento con “L’AltraMontagna”!

Un autorevole appello contro la cementificazione “olimpica” delle Alpi lombarde e venete

A tanti appassionati di montagna il nome di Luca Calvi non giungerà nuovo, ancor più se frequentano eventi pubblici – serate, proiezioni, festival – con la presenza di noti alpinisti. Calvi è uno dei più formidabili traduttori in circolazione (non solo di cose di montagna) e poi storico dell’alpinismo, alpinista a sua volta, docente universitario e non ultimo scrittore: del suo recente Lost in Translation ho scritto qui. Ma per tutto questo – e viceversa – Luca Calvi è un grande appassionato, studioso, culture e frequentatore di montagne: mi viene da pensare che soprattutto in forza di ciò ha pubblicato sulle sue pagine social una sorta di fervido appello, quasi un’invocazione rivolta alle comunità che abitano i territori interessati dalle prossime Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026 e della infrastrutture turistiche ad esse collegate.

Un messaggio che molti stanno commentando definendolo un piccolo ma importante “manifesto” sulla questione: sono assolutamente d’accordo con questo parere e con le considerazioni espresse da Calvi in esso, dunque ve lo propongo. Di sicuro la sua brevità è inversamente proporzionale all’importanza e al valore di quanto vi è scritto e delle riflessioni che, mi auguro, vi porterà a elaborare.

Ringrazio molto Luca che mi ha concesso di poterlo ripubblicare qui.

A tutte le località interessate.
E a chi ci abita.
ABSIT INIURIA VERBIS!
Non voglio accusare nessuno e non voglio pensare male di nessuno.
Però…
A nessuno passa per la testa che, con queste Olimpiadi, faranno alle Dolomiti (e non solo di Cortina…) e alle montagne di Bormio ciò che vent’anni fa hanno fatto al Piemonte?
Costruzioni… Cemento…. E poi, tutto a marcire.
Ma davvero pensate di valorizzare in questo modo le Dolomiti di Cortina o le montagne di Bormio, o di aiutare chi ci vive a potersi evolvere in modo sostenibile, senza devastare cioè la propria ricchezza (e unicità)?
Vi stanno gettando negli occhi al posto della sabbia decine di progetti con le promesse di piogge di milioni.
I soldi saranno intascati e spartiti. Non da voi.
A voi rimarrà lo strazio delle vostre bellezze e tanto cemento di cui non saprete che farvene.
Oltre a qualche altro ecomostro.
Salvate le Dolomiti e le montagne di Bormio da chi dice di volerle valorizzare e da chi dice di volerle preservare.
Riappropriatevi della vostra Grande Bellezza e Grande Ricchezza.
Fatevi costruire le strade e le infrastrutture, altro che impianti di qua e impianti di là. Turismo sostenibile e che funzioni almeno dieci mesi all’anno, altro che sci da pista con collegamenti e impianti su tutto l’arco alpino!
Istruite il turista, e vedrete che tornerà ringraziandovi due volte.

[Nell’immagine in testa al post: un rendering del nuovo – e orribile – Ski Stadium di Bormio; fonte www.sondriotoday.it/. Qui sopra: il rendering del più recente – ma ugualmente sconcertante – progetto della pista di bob di Cortina d’Ampezzo; fonte corrierealpi.gelocal.it.]

Luca Calvi, “Lost in translation”

Come tanti altri appassionati frequentatori delle montagne, anch’io da adolescente ho letto innumerevoli libri di alpinismo, che nel tempo hanno fatto da potente combustibile alla passione per le vette che mamma e papà mi avevano suscitato portandomici spesso. In realtà sono poi diventato un’alpinista che definire «della domenica» è ben più che un complimento, vuoi anche per aver sviluppato un irrefrenabile interesse per le culture di montagna più che per le pareti e i gradi alpinistici, e vuoi perché, in tutta sincerità, dopo tante letture quei libri di alpinismo, quasi sempre autobiografici, mi sono sembrati un po’ tutti uguali e quasi sempre parecchio autoreferenziali. Inevitabilmente, per certi versi, anche no per altri ovvero nei casi in cui il ben noto atteggiamento da primedonne (in un mondo quasi del tutto maschile, peraltro) così diffuso nell’alpinismo, non di rado condito da rivalità e invidie difficilmente celabili, mi ha reso quelle letture abbastanza pesanti, pur rimanendo intatta l’ammirazione per i grandi alpinisti e le loro incredibili imprese. Ho preferito leggere altro, insomma.

Anche per ciò che ho appena denotato, Lost in translation di Luca Calvi, (Edizioni del Gran Sasso, 2023, con prefazione di Alessandro Gogna e postfazione di Alessandro Filippini) è un libro che ho subito voluto leggere, appena saputo della sua pubblicazione. Perché è un libro che parla di grandi alpinisti ma non parla di alpinismo, non nel senso che tutti si potrebbero aspettare, e dunque ho pensato potesse essere la lettura che mi riconciliasse con tale aspetto del mondo della montagna verso il quale, come osservato, avevo maturato una certa insofferenza. «E come può essere che un libro che parla di alpinisti non parli di alpinismo?» vi chiederete voi. Be’, ci riesce perché la visione che offre di questo ambito è assolutamente laterale, in tutti i sensi a partire da quello letterale (che diventa qui letterario, chiudendo il cerchio): Luca Calvi è un fenomenale traduttore, vero talento linguistico, superpoliglotta nonché grande appassionato di montagna, e per tali motivi da tempo è colui che si pone a lato – appunto! – dei grandi alpinisti stranieri di passaggio in Italia per i vari eventi dedicati alle alte quote così da tradurne le rispettive testimonianze, sia dal vivo in pubblico e sia per i loro testi, articoli e libri scritti. Ma non solo, Calvi è anche una persona di grande sensibilità e irrefrenabile simpatia, doti che nel rapporto con i personaggi tradotti diventano rapidamente empatia profonda: ciò lo fa diventare non un mero e pur notevole traslatore linguistico ma un vero e proprio alter ego di quei grandi alpinisti, dei quali sa fare proprie le inflessioni lessicali tanto quanto le intonazioni emozionali così che il racconto offerto al pubblico, oltre a essere filologicamente ineccepibile, è veramente come se provenisse dagli animi dei protagonisti – al plurale, sì, perché a quello dell’alpinista di turno Luca Calvi affianca il suo, in forza delle doti sopra citate e con la propria conoscenza culturale delle montagne e della loro frequentazione materiale []

(Potete leggere la recensione completa di Lost in translation cliccando sulla copertina del libro lì sopra, oppure visitate la pagina del blog dedicata alle recensioni librarie. Buona lettura!)