La meteo “diversamente bella” che rende il paesaggio “diversamente” speciale

Piove. E quando piove almeno due cose sono certe: che il governo è ladro (che poi, fateci caso, la pioggia è sempre bipartisan) e che lo scrivente prepara lo zaino, infila le scarpe da trekking, un copricapo impermeabile in testa e va per i monti. A meno che non ci siano nubifragioni nell’aria, ovvio, e d’altronde il temporale che fino a poco prima ha scosso la zona scaricando anche un po’ di grandine è già corso verso levante, ormai per me innocuo.

Ho scelto un percorso particolarmente silvestre, sia per ripararmi almeno un poco dalla pioggia a tratti battente e sia perché so bene quanto sia fenomenale attraversare i boschi madidi: gli alberi cantano felici come se imitassero noi umani sotto la doccia, il ticchettio delle gocce di pioggia sulle foglie che ancora stazionano sui rami battono il codice morse dell’entusiasmo arboreo, il terreno effonde profumi intensi, ancestrali, quasi inebrianti, i corsi d’acqua, anche quelli periodici, si ravvivano e rivitalizzano l’ambiente. Fuori dal bosco, il verde dei prati si fa quasi fosforescente tant’è brillante mentre le nuvolaglie sfilacciate si fanno indossare dalle cime dei monti come sciarpe fluttuanti.

Tutto questo – anche tutto questo – fa sì che il sentiero lungo il quale cammino l’ho già fatto mille volte e questa milleunesima è sorprendente come fosse la prima: è la manifestazione di una poiesis geopoetica e psicogeografica, un “fare dal nulla” il paesaggio il quale immediatamente diventa la dimensione fondamentale di quei momenti. Alla cui meraviglia, lo ammetto, contribuisce il fatto che non ci sia nessuno in giro – andata e ritorno, non ho incrociato anima (umana) viva; ma in fondo mi dispiace che tali condizioni, anche quando non siano affatto problematiche, scoraggino molti dal farsi una bella camminata al ritmo naturale battuto dalla pioggia sulle chiome arboree. Questa meteo diversamente bella rende percepibili cose diversamente speciali del paesaggio altrimenti sfuggenti – i profumi del bosco, appunto, o le forme dei monti definite dalle nuvole che vi si inframezzano, i differenti toni virenti della vegetazione, eccetera – così che in quel paesaggio ci si senta in qualche modo ancora più dentro del solito, ancora più parte di esso: in fondo si è tutti – umani, animali, piante, pietre – nella stessa condizione madida di pioggia. Alla fine anche il fango che resta sulle mie scarpe o che mi inzacchera i polpacci mi interra più del solito in quel paesaggio, in quell’ambiente grigio, bagnato, freddiccio, eppure così inopinatamente bello e speciale.

Eppoi dopo la pioggia viene sempre il sereno, Rodari docet; ne sarò ancora più contento del suo calore, del cielo tornato terso, della luce ritrovata, proprio grazie alla pioggia, in fondo. Yin e Yang, notte e giorno, caldo e freddo, cielo e terra, negativo e positivo. Ecco anche perché quando piove io comunque prendo lo zaino e comincio a camminare: per farlo pure col Sole con identica, meravigliosa, salutare soddisfazione.

 

Milano ora toglierà il traffico dalle sue vie?

[Le Grigne viste da Milano. Immagine di Andrea Cherchi, tratta da www.milanomontagna.it.]
Milano è una “città di montagna” sotto molti punti di vista: perché è fatta di “cose della montagna” – marmi, acque, pietre d’ogni sorta… -, perché le Alpi cominciano poco oltre la sua periferia nord e le vette alpine si scorgono benissimo dal centro, perché alle montagne è sempre stata culturalmente legata, perché ha una lunga tradizione alpinistica, perché tra sedici mesi sarà pure sede delle Olimpiadi invernali. Ci tornerò pure io, a breve, per parlare di montagne in un evento pubblico.

Bene: oggi a Milano apre l’intera linea 4 della Metropolitana cittadina. Con essa, e con le linee di superficie, la città è ormai totalmente servita dai trasporti pubblici. Cosa dovrebbe fare dunque ora l’amministrazione della città? Semplice: togliere il traffico dalle sue vie. Quel traffico che la sta soffocando e la rende invivibile – come se già non avesse altre criticità che la rendono tale – e qualche mente misera ritiene una manifestazione di vitalità, di attivismo, di libertà. Libertà di morte, già.

Avrà il coraggio di prendere quella decisione? Saprà Milano dimostrarsi veramente una “città di montagna” cioè una metropoli legata al territorio e all’ambiente che la circonda non solo dalle vicinanze geografiche ma pure da una autentica consonanza ecologica, facendosi elemento antropico armonico – nonostante la sua grandezza – al territorio d’intorno e non più fattore dissonante, squilibrato, ammorbante e, ribadisco, sempre più invivibile?

[I grattacieli di CityLife, il Monte Rosa e le Alpi Pennine, quando non c’è lo smog. Immagine tratta da milano.repubblica.it.]
Io temo di no. Troppo impegnata Milano, ancora e pervicacemente, a costruire un’immagine di se stessa fatta di tanto marketing e di poca realtà, attrattiva per i forestieri e repulsiva per i milanesi, sempre più privata/privatizzata ed esclusiva, sempre meno urbana e civica. Una città, per giunta, che ora sta solo pensando a come imbellettarsi ancor più di prima per farsi bella davanti alle telecamere olimpiche.

[CityLife quando c’è lo smog. Immagine tratta da milanocam.it.]
Una città meravigliosa, scintillante, avvenente, vibrante, che vien sempre meno voglia di visitare e vivere.

Nel frattempo, in Veneto…

Ecco.

Il paesaggio del Veneto “ringrazia” e anche la relazione psicogeografica di chi lo vive – e lo vivrà sempre peggio, con inevitabili conseguenze sociali e culturali.

(Cliccate sui titoli delle notizie per leggere i rispettivi articoli.)

Trees washing

[Foto di Noah Buscher su Unsplash.]
Ho conosciuto solo di recente Luigi Torreggiani, giornalista e dottore forestale per “Sherwood” e Compagnia delle Foreste; prima lo conoscevo di nome ma molto poco di fatto (e devo ringraziare il comune amico Pietro Lacasella per tale conoscenza). Devo recuperare, perché Luigi dice e scrive cose – sui temi dei quali si occupa e dunque su alberi, boschi, foreste e ambiente – non solo interessanti e intriganti ma pure (fatemi usare un termine e una dote ormai sempre più desueti) sagge. Dunque ancora più importanti, visti i temi suddetti e il loro valore fondamentale per il mondo in cui viviamo, ben oltre la mera accezione estetico-romantica che sovente utilizziamo per disquisirne e con la quale, abbastanza inevitabilmente, finiamo per semplificare fin troppo quel valore. E ciò non solo per quanto riguarda i territori montani e rurali in genere ma anche per le nostre città e le zone più antropizzate.

A queste ultime mi viene da riferire il seguente articolo di Luigi, pubblicato sulla sua pagina Facebook e ripreso anche da “Alto-Rilievo / Voci di montagna”, il blog di Pietro Lacasella: una riflessione assolutamente interessante anche per come riguardi una pratica tanto diffusa e reclamizzata come “virtuosa”, da molte amministrazioni pubbliche, quanto spesso che si rivela di facciata e ipocrita, ovvero un esercizio di green washing di livello notevole, cioè notevolmente bieco. Basti pensare ai tot-mila alberi che pianta di continuo Milano tra mirabolanti titoloni mediatici e poi, spenti i riflettori delle TV e i tablet della stampa, lascia spesso morire nel disinteresse più assoluto, come ho scritto qui qualche tempo fa, e nel mentre che il consumo di suolo in città aumenta anno dopo anno, senza tregua.

Insomma: questo mio è un convinto invito a leggere – se già non lo fate – gli scritti di Luigi Torreggiani, su “Sherwood” e ovunque siano pubblicati, perché meritano assolutamente di essere letti e meditati. A partire da questo, ribadisco:

Negli ultimi anni si sono moltiplicate le iniziative di piantagione di alberi (bene!!!).
Molte di queste iniziative hanno come slogan quello di mettere a dimora “un albero per ogni cittadino”: un albero per ogni italiano, per ogni abitante della tal regione, della tal città, del tal quartiere, un albero per ogni cliente, per ogni associato ecc. ecc.
Non c’è niente di male in questo, ci mancherebbe. C’è però un piccolo-grande rischio comunicativo che andrebbe tenuto in considerazione: quello della deresponsabilizzazione rispetto a problemi ambientali enormi, che riguardano gli stili di vita di tutti noi.
Sapere che il tal politico, la tal azienda o la tal associazione pianterà un albero a mio nome, infatti, non significa affatto: “bene, quindi adesso posso tornare a vivere e inquinare come prima”.
Non sarà certo il nostro albero in più a cambiare le sorti di problemi enormi e globali come la crisi climatica o la perdita di biodiversità. È un’azione lodevole e importante, nessun lo nega, ma non basta. Siamo sicuri che questo sia chiaro proprio a tutti?
Sarebbe interessante e credo utile leggere questa banale considerazione a margine delle campagne di piantagione di alberi che scelgono di usare (legittimamente) lo slogan “un albero per ogni cittadino”: ad esempio spiegare quanto davvero, un singolo albero, può compensare le emissioni medie di un essere umano che vive nella parte ricca del Pianeta.
Sarebbe una mossa controproducente dal punto di vista del marketing? Probabilmente sì.
Ma rappresenterebbe un passettino in avanti verso l’educazione alla sostenibilità. Penso che la nostra società, malata di slogan, ne abbia parecchio bisogno.

Milano, la città-centro commerciale che svende se stessa e la propria identità

Qualche giorno fa, sono in auto, ascolto la radio. In un notiziario si parla di Merlata Bloom, a Milano.

[Immagine tratta da https://www.merlatabloommilano.com/ ]
«210 negozi, 43 ristoranti tutto sparso su 70mila metri quadrati è il nuovo lifestyle center di Milano!» si dice nel servizio del notiziario.
Ah, dico io, un nuovo centro commerciale!
«Un progetto di pianificazione urbana dal cuore verde!» dice il servizio.
Comunque un ennesimo centro commerciale, dico io.
«Un grande intervento di rigenerazione urbana, un “winter garden” caratterizzato da aree verdi interne e ampie aree finestrate!» dice il servizio.
Mettetela come volete, è in ogni caso un altro megacentro commerciale, dico io.
«Un luogo di incontro e condivisione, che ripensa il tempo libero, le occasioni di socializzazione, il benessere e il rapporto con la natura.» dice il servizio.
Un. Nuovo. Maxi. Centro. Commerciale, dico e ribadisco io.
Ecco.
Risultato:

[Per leggere l’articolo cliccate sull’immagine.]
La pianificazione e la rigenerazione urbana, il benessere, la natura… sì sì, come no.

Nuovamente, incessantemente, pervicacemente, Milano svende la propria anima al consumismo più spinto e sfrenato, mettendo sul mercato la propria identità a favore delle brame degli immobiliaristi, dei signori della gentrificazione, del cemento, del panem et commercium «accaventiquattro», come si dice oggi.

Come scrive Lucia Tozzi nel suo illuminante libro L’invenzione di Milano, quella in atto è «la privatizzazione della città pubblica, dei suoi spazi e delle sue istituzioni sociali e culturali» a danno innanzi tutto dei suoi abitanti naturali, i milanesi, che infatti se ne stanno andando dalla città, allontanati e espulsi dal suo corpo urbano. Ovvero, come scritto altrove sempre a proposito del libro, «Milano propone una grande illusione collettiva, una grande allucinazione, dove ciò che rimane è la disneyficazione delle città e la foodification.»

A ben vedere, il vero maxi centro commerciale, a Milano, è la stessa città, sottratta ai milanesi e svenduta ai forestieri – bravissime persone e piene di belle idee e buona volontà, sicuramente, ma che non c’entrano nulla con l’anima cittadina, con il Genius Loci meneghino, con la sua dimensione storica urbana.

D’altro canto, è bene rimarcarlo come fa “Milano Today” nell’articolo dal quale ho ricavato buona parte delle citazioni lì sopra, il nuovo centro commerciale “Merlata Bloom” è stato edificato

su un’area che fino a qualche anno prima di Expo era completamente agricola

nella città che è già la più cementificata d’Italia. Un primato del quale evidentemente va molto fiera e che vuole consolidare il più possibile. E intanto incombono le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026, altra ottima occasione per ulteriori perversioni urbanistiche di vari ordini e gradi.

Be’, addio, meravigliosa Milano. Città tanto sublime nella forma architettonica, così degradata nella sostanza urbana e civica. Chissà, magari tornerai in te prima o poi. Magari invece no, e forse è giusto così.