Credo che una delle cose fondamentali che noi esseri umani – noi cosiddetti Sapiens – dobbiamo perseguire per poterci dire realmente tali e giustificare quell’attributo auto-assegnatoci, è il più alto livello possibile di empatia nei confronti delle altre creature viventi, in primis degli animali – tutti gli animali, non soltanto quelli più vicini a noi e graditi.
D’altro canto la parola “empatia” viene dal greco en-páthos, «sentire dentro», principalmente in riferimento alle emozioni altrui, ma che si potrebbe riferire anche al fatto che siamo animali pure noi umani, sebbene ce lo dimentichiamo spesso (strano per la creatura più “evoluta” sul pianeta!), dunque ciò che si sentiamo dentro ha un’origine simile a quello che ogni altro animale elabora dentro di sé.
Una relazione compiutamente empatica con le altre razze animali che insieme a noi vivono su questo pianeta non è solo una manifestazione di sensibilità e rispetto verso la Natura – della quale siamo pienamente parte, ribadisco – ma è anche un esercizio di considerazione e consapevolezza verso noi stessi: perché poche altre cose (forse nessun’altra?) può darci tanto e insegnarci moltissimo come un rapporto di autentica empatia con gli animali.

Be’, lo ribadisco: credo sia una delle massime aspirazioni alla quale noi umani dovremmo ambire, una condizione la cui comprensione dell’importanza fondamentale dovrebbe essere di default nella nostra intelligenza. Quelli più edotti al riguardo forse la definirebbero un esercizio di ecosofia; gli altri, tra i quali me, la possono pure indicare come una manifestazione della più nobile, compiuta e olistica umanità.
Bisogna imparare a riconoscere e a rispettare negli altri animali i sentimenti che vibrano in noi stessi.
[John Oswald, The Cry of Nature; or, An Appeal to Mercy and to Justice, on Behalf of the Persecuted Animals, 1791.]





