Svincolo della Sassella, si va avanti. Già, avanti verso il disastro.

È parecchio desolante leggere le parole del Sindaco di Sondrio, riferite dalla stampa, circa il “no” della Soprintendenza del Ministero della Cultura alla realizzazione dello svincolo in località Sassella, alle porte della città – un grande viadotto stradale di cemento armato a pochi metri da un bene storico-architettonico medievale identitario per i sondriesi, peraltro opera olimpica per Milano-Cortina 2026 ma ennesima in grandissimo ritardo – perché, scrive la Soprintendenza,

L’intervento è tale da incidere negativamente, in misura che rimane molto sensibile, sui valori paesaggistici espressi dalle presenze antropiche e naturali.

«La rotonda della Sassella si farà e sarà costruita secondo il progetto che ha concluso il lunghissimo iter procedurale» dice il Sindaco di Sondrio: lo chiedono i cittadini e il parere della Soprintendenza non è vincolante, sostiene. Una giustificazione, la prima, spesso addotta dalla politica che appare a vario titolo dissociata dal territorio che amministra: ce lo chiede la gente! Ma ciò può giustificare anche il voler realizzare a tutti i costi dei progetti palesemente sbagliati, pur di poter dire di averli fatti?

Non conta più, evidentemente, il fare le cose per bene, che dovrebbe essere uno degli obiettivi fondamentali e indiscutibili di chi amministra i territori: conta il «far su» (cito Giuseppe “Popi” Miotti, decano delle guide alpine valtellinesi, uno che la zona la conosce come pochi altri), tanto per fare qualcosa di spendibile elettoralmente senza curarsi di ciò che possa comportare. Non è certo questa la politica attenta ai bisogni e alle istanze dei territori, semmai è quella disattenta al buon senso e alla visione del futuro, ecco.

Il nodo stradale della Sassella, tra i più trafficati della Valtellina, va sistemato, nessuno lo nega: tuttavia, ripeto, questo non può giustificare che lo si faccia così malamente per di più degradando un luogo certamente già antropizzato ma non nei modi insostenibili che il progetto imporrebbe.

D’altro canto – l’altra giustificazione addotta dal Sindaco sondriese per andare avanti con il progetto – il parere della Soprintendenza non è vincolante. Cosa tanto vera quanto assurda e, ahinoi, molto italiana: si dà incarico a un organo tecnico pubblico di sovraintendere (appunto) alla salvaguardia del paesaggio e alle opere in esso previste – un soggetto quanto mai fondamentale, in un paese come l’Italia così ricco di beni culturali e paesaggistici – ma si stabilisce che i pareri emessi non sono vincolanti.

Che senso ha?

[La zona che sarebbe interessata dal nuovo viadotto per come la si vede in Google Maps. Il santuario della Sassella chiaramente è quello che si vede appena sopra la strada.]
D’altro canto l’Italia è questo: il paese dei pareri tecnici non vincolanti, delle deroghe ai regolamenti, delle tutele che non tutelano (ricordate il Lago Bianco al Gavia?), dei condoni e delle scappatoie, del fare le leggi per trovare gli inganni, delle eccezioni e delle emergenze eccetera. Poi ci sorprendiamo ancora se un po’ ovunque ci troviamo davanti agli occhi innumerevoli scempi e disastri ambientali e paesaggistici per giunta senza che a nessuno si possano imputare colpe e responsabilità?

Una situazione veramente desolante, lo ribadisco.

N.B.#1: ribadisco di nuovo che le mie considerazioni non hanno nulla di riferibile a qualsivoglia parte politica – ambito dal quale sono lontanissimo come Plutone dal Sole – ma nascono da riflessioni puramente culturali legate al mio studio del paesaggio alpino. Purtroppo tanto il buon senso quanto il far su non sono esclusiva di questa o quella parte politica, in Italia.

N.B.#2: sarebbe una gran bella cosa se gli amministratori pubblici, quelli della Valtellina e con loro tutti gli altri, rileggessero e studiassero a fondo ciò che sul paesaggio e la sua salvaguardia scrisse decenni fa un grandissimo valtellinese, Antonio Cederna:

Docce fredde olimpiche, in Valtellina

[Immagine tratta da www.komoot.com.]
Gli amministratori pubblici valtellinesi dicono sia «inspiegabile» e ritengono «una doccia fredda e inaspettata» il “no” della Soprintendenza del Ministero della cultura alla realizzazione dello svincolo in località Sassella, alle porte di Sondrio, per motivi di «compatibilità paesaggistica».

Lo svincolo era una delle opere “olimpiche” previste per i Giochi di Milano-Cortina 2026 ed è in capo a Simico, il soggetto che presiede a tali opere, ma le lungaggini dell’iter progettuale hanno reso indeterminabile la data di realizzazione dello svincolo, i cui lavori non sono mai iniziati [1].

Ma, cari amici… «Inspiegabile»? «Inaspettata»? Cioè, veramente pensavate che alla costruzione di un imponente viadotto stradale di cemento armato a pochi metri dal Santuario della Sassella, un monumento artistico e religioso del Cinquecento (ma di probabile origine del X secolo, lo vedete lì sopra), luogo iconico e identitario per Sondrio e i sondriesi, la Soprintendenza vi avrebbe detto «Ma sì, dai, fate pure!»? Sul serio?

Insomma: ci siete o ci fate?

Lo chiedo con tutto il rispetto del caso, sia chiaro, ma con altrettanta inevitabile obiettività.

[Un rendering dello svincolo per come apparirebbe dalla zona del Santuario. Immagine tratta da primalavaltellina.it.]
Dunque ora come se ne esce da questo pasticcio?

Oh, non c’è problema, in Italia c’è una soluzione facile e immediata per tali questioni: il “Metodo Me-ne-frego”! «Probabilmente tutto procederà comunque come previsto. Si potrebbe infatti decidere di “superare” il parere sfavorevole della Sovrintendenza e proseguire con il progetto e l’aggiudicazione dell’appalto integrato» dicono gli amministratori valtellinesi (fonte qui).

Capito?

In poche parole: incompetenza tecnica e amministrativa, insensibilità verso il territorio e il paesaggio, negligenza verso i luoghi e la comunità.

Lo svincolo in questione andrebbe fatto, lo snodo stradale a cui fa riferimento è tra quelli che genera più traffico e code di tutta la Valtellina. Ma un conto è fare qualcosa per bene, un altro è «far su» tanto per fare. Per la Sassella è stato presentato il progetto peggiore che si poteva elaborare ma, evidentemente, ai suddetti amministratori pubblici valtellinesi la cosa non interessa, come non importa il parere della Soprintendenza.

Ma infatti, a cosa servirà mai la Soprintendenza? Che c’importa di salvaguardare i beni storici, artistici e architettonici oppure il territorio e il paesaggio!

«It’s your Vibe» recita il motto delle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026: “È la tua vibrazione”. Be’, visto l’andamento dell’organizzazione dei Giochi, credo che tale motto ormai vada aggiornato e modificato in It’s your problem!”, ecco. Formula che peraltro in inglese suona come quella italiana più “colorita”. Non credo serva dire quale sia.

[1] «Ritengo che il cantiere possa essere aperto entro la fine del 2023 e quindi la nuova strada sarà ultimata nei primi mesi del 2025» diceva il Responsabile Anas per la Lombardia a luglio 2022. Eh, proprio!

l’Italia e i “ritardi” sul PNRR. O forse no.

La questione dei ritardi sui progetti finanziati dai fondi europei facenti capo al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che da qualche giorno è emersa sugli organi di informazione (cliccate sull’immagine qui sopra per leggere uno dei tanti articoli al riguardo), appare come l’ennesima manifestazione del cronico deprecabile modus operandi della politica italiana, frutto di un mix di incapacità, incompetenza, superficialità, menefreghismo, quando non di vera e propria cialtronaggine, che da lustri caratterizza bipartisanamente l’operato della classe politica nostrana, i cui rappresentanti attuali non sono che i discepoli di numerosi precedenti pessimi maestri – il che, sia chiaro, non li esime dalle conseguenti responsabilità, anzi.

Ecco, verrebbe da pensare tutto ciò, nel leggere quelle notizie e i dettagli di alcuni dei ritardi segnalati.

E se invece l’italico modus operandi consueto fosse “strategico”, fatto apposta per svicolare da obblighi, vincoli, responsabilità altrimenti inderogabili? Se di “ritardi” veri e propri non si trattasse ma fosse una altrettanto solita, bieca furbata all’italiana?

È un pensiero conseguente al primo, quest’altro, che sorge nel leggere altre notizie, ad esempio questa relativa ad altre “grandi opere” in programma di questi tempi:

Uhm… non vi fa venire in mente nulla, a proposito di modus operandi?

Vi aiuto io, con un altro caso recente:

E infatti già qualcun altro ben più titolato di me ha formulato lo stesso pensiero:

Bene: ora, se leggerete, sentirete o vedrete qualche politico italiano che dice cose al riguardo, accampa scuse, si straccia le vesti, fa lo scaricabarile o promette prodigi, mi auguro che vi prenderete qualche attimo di riflessione in più per cogliere il senso reale delle sue parole.

A pensar male si fa peccato ma si indovina spesso, rimarca la nota frase pronunciata da Pio XI e resa celebre da Giulio Andreotti. Che per analizzare questioni del genere è comunque un modus operandi – anzi, modus cogitandi individuale sempre utile, questo sì.

Olimpiadi veramente “olimpiche”

[Immagine tratta da offtopiclab.org.]

Milano-Cortina 2026 avrebbe dovuto essere la prima Olimpiade invernale realmente improntata alla sostenibilità. «Con l’eccezione della rinuncia alla costruzione di un nuovo impianto per il pattinaggio di velocità, tutte le altre opportunità per dare a Milano-Cortina 2026 almeno una parvenza di sostenibilità sono sfumate», denunciano Serena Arduino e Bianca Elzenbaumer, presidenti della CIPRA International. Ad esempio, la decisione di costruire una nuova pista da bob a Cortina è stata presa nonostante il CIO avesse assicurato alle ONG italiane che sarebbe stato predisposto un piano di utilizzo concreto e sostenibile. Questo piano non è ancora disponibile, mentre il costo della pista, inizialmente stimato in 60 milioni di euro, è attualmente arrivato a 80 milioni e potrebbe superare i 100 milioni di euro. L’alternativa decisamente più ragionevole ed economica, rappresentata dalla vicina pista di bob di Innsbruck-Igls/A, non è mai stata presa seriamente in considerazione. I progetti di costruzione previsti non rispettano né la Convenzione di Aahrus né la Convenzione delle Alpi e i suoi protocolli, il trattato internazionale vincolante che impegna gli Stati alpini alla protezione e allo sviluppo sostenibile delle Alpi.

[Da Milano-Cortina 2026: sostenibile solo sulla carta, di Michael Gams, pubblicato sul sito Cipra.org il 16/02/2023.]

Alla base di tutto ciò che si sta rilevando intorno alle opere per Milano-Cortina 2026, e in senso generale riguardo l’evento in sé non certo nel suo valore indiscutibile ma per come si manifesta (e per come quel valore viene snaturato), sta una domanda tanto importante quanto ormai inevitabile: hanno ancora senso le Olimpiadi invernali nei territori montani, se attuate in questo modo? Ovvero: che cosa sono diventati, oggi, i Giochi Olimpici? Sono ancora, quelli invernali, un «complesso di gare dedicate agli sport della neve e del ghiaccio» direttamente ispirate allo (e dallo) spirito olimpico, organizzate per far «che tengano conto in modo responsabile dei problemi dell’ambiente, incoraggiando il Movimento Olimpico a preoccuparsi di tali problemi, a recepire tali preoccupazioni in tutte le proprie attività ed a sensibilizzare tutte le persone ad esso collegate sull’importanza di uno sviluppo sostenibile» (Capitolo 1, articolo 2, comma 13 della Carta Olimpica del CIO – Comitato Internazionale Olimpico)? Oppure sono diventate tutt’altro e, con la prossima edizione di Milano e Cortina, qualcosa di sostanzialmente alieno come non mai alle montagne e alla loro realtà ambientale, socioeconomica e culturale?

Visto ciò che sta accadendo sulle montagne olimpiche italiane, è il caso di rispondere quanto prima a tali domande nel modo migliore possibile e, finalmente, pensare a organizzare un evento sportivo che sia veramente olimpico nel senso più alto, nobile e decoubertiniano del termine, declinato sotto ogni punto di vista. Ecco.

Come si trasporta un fallimento

Ora come non mai, con il Recovery Fund europeo di mezzo, si fa un gran parlare di infrastrutture, termine poi legato a “opere pubbliche”, a “cantieri” e ad altre definizioni o parole con le quali da sempre la politica ama riempirsi la bocca e non da oggi ma da decenni, appunto. Lo fa pure, io credo, per nascondere dietro tali “belle” parole e le relative promesse uno dei più grandi fallimenti italiani, quello appunto delle infrastrutture pubbliche, un capitolo della storia nazionale tra i più ricolmi di occasioni mancate e perse, di soldi buttati, opere inutili, mazzette e corruzioni e quant’altro di tradizionale, per il paese.

Il suddetto fallimento ce l’ho personalmente sotto gli occhi tutti i giorni, lavorando in una delle zone più industrializzate d’Europa, tra due capoluoghi di provincia, avendo da una parte una strada statale e dall’altra una linea ferroviaria: la prima perennemente intasata di mezzi pesanti che trasportano merci industriali provocando un traffico insostenibile, la seconda sulla quale non vedo passare un convoglio merci da anni mentre fino a qualche tempo fa ne transitavano quotidianamente.
Una cosa assurda, folle, dannosa sotto ogni punto di vista (logistico, industriale, economico, ecologico, ambientale…) della quale la suddetta politica è colpevole palese eppure costantemente latitante riguardo le proprie responsabilità. Dunque io mi chiedo: ora che c’è con il Recovery Fund probabilmente ci saranno i soldi per costruire infrastrutture finalmente adeguate alla realtà economico-produttiva del paese, lo si farà? E lo si farà bene? E se lo si farà e magari anche bene, poi quelle infrastrutture verranno utilizzate per come potranno essere utilizzate, oppure diventeranno ennesime cattedrali in un deserto che sempre più determinerà la decadenza definitiva del paese? Ribadisco, io ho accanto al mio luogo di lavoro quotidiano una linea ferroviaria che unisce due capoluoghi provinciali: un’infrastruttura strategicamente importante che c’è, bell’e pronta per essere sfruttata ma che non viene utilizzata. Dunque? Che garanzie ci offre l’amministrazione pubblica e la politica italiana al riguardo?

 C’è un’altra questione che si lega agli argomenti qui proposti, afferente le mie zone ma in generale un po’ tutto il Nord Italia, una macroregione che è a contatto della catena alpina e interna al territorio della cosiddetta Convenzione delle Alpila quale, tra le altre cose, regola in modo ben determinato il traffico di transito attraverso il territorio alpino a fini di sostenibilità economica e ambientale. Una regolamentazione che dalle mie parti, come vi ho detto, è totalmente inosservata e violata, con il traffico su gomma – inquinante e sempre più antieconomico – che soverchia quello su rotaia, certamente più sostenibile e in molti casi più vantaggioso economicamente.

Come si può leggere nel sito della CIPRA, la Commissione Internazionale per la Protezione della Regione Alpina, che al tema dedica un approfondito e illuminante focus (potete raggiungere tale sezione del sito della CIPRA anche cliccando sull’immagine in testa al post),

Gli impatti sull’uomo e la natura prodotti nelle strette valli alpine dal traffico di transito sono una costante della politica europea dei trasporti, non solo al Brennero. È questa l’origine della valanga di camion e dell’inquinamento atmosferico, per cui la popolazione è afflitta dalla congestione permanente e dall’inquinamento acustico. Nel 2018 su un totale di 53,8 milioni di tonnellate di merci trasportate attraverso le Alpi, il 72% è stato trasportato su strada. Mentre in Svizzera – grazie a all’elevata tassa sul traffico pesante (pedaggio) calcolata in base alle prestazioni e alla costruzione della nuova galleria ferroviaria al Gottardo, la più lunga del mondo – si registra un calo del numero di automezzi pesanti, le valli alpine tra Italia e Francia che conducono ai valichi del Moncenisio e del Fréjus sono sottoposte all’impatto di un traffico stradale troppo elevato. In Svizzera su un totale di 39,6 milioni di tonnellate (2018) di merci che attraversano le Alpi solo il 30% viene trasportato su strada, mentre in Francia la percentuale raggiunge l’86% sul totale di 24,7 milioni di tonnellate di merci. Sul versante orientale delle Alpi, tra il Veneto e il Tirolo Orientale, incombe addirittura la minaccia di un’altra autostrada di transito, la A27, la cosiddetta “Alemagna”. Più aumenteranno le merci provenienti dalla Cina che sbarcheranno nei porti del Nord Italia, più la problematica diventerà pressante.

Insomma: come potete capire, la questione è tanto articolata quanto di importanza fondamentale per il futuro nostro e dei territori che abitiamo. Il suo riequilibrio, a livello locale, regionale e transnazionale, nell’ambito dei territori alpini ma pure altrove, in un’ottica continentale, non è una sfida che si possa continuare ancora a lungo senza saperla vincere, dacché il non vincerla significa automaticamente uscirne sconfitti. Dalla mancanza di impegno politico effettivo in ciò, registrata fino a oggi, dipende non solo, per dire, il restare quotidianamente imbottigliati nel traffico ma pure, ad esempio, il gravissimo tasso d’inquinamento della regione padana, che geograficamente è da considerare a sua volta una vallata pur ampia tra due catene montuose: non casualmente le due città europee dove si registra la maggior incidenza di morti per inquinamento atmosferico sono Brescia e Bergamo, conglomerati urbani posti proprio a ridosso dei territori alpini. Per giunta, città tra quelle con il maggior tasso di mortalità per Covid: in tal senso nemmeno questo è un caso, lo sottolineavo giusto ieri qui sul blog.

Quindi? Vogliamo andare avanti così? O finalmente ci decideremo a costruire un futuro migliore, più sostenibile, più salubre e in generale più proficuo per chiunque, e non solo per i manifesti elettorali dei soliti politici?