La montagna anonima (e pure un po’ ridicola)

Tornando alla montagna vista dal cittadino, la città ha segnato indelebilmente il paesaggio alpino nella memoria collettiva, che ha captato l’idillio dell’alpe e se lo è portato in città mediante una sovrapposizione al tessuto urbano di improbabili castelletti neogotici montani o peggio ancora di finti chalet o portinerie realizzate come cabine elettriche alpestri che replicano la miniatura della montagna; viceversa la stazione alpina moderna è essa stessa un modellino in scala del corso cittadino.
Ma qualsiasi riduzione, in architettura come nella socialità dell’abitante, che in città difficilmente indossa i calzoni alla zuava, porta all’anonimato oltre che al ridicolo: il rischio è la perdita dell’identità a favore dell’impersonalità urbana, cosi pericolosa.

(Luciano Bolzoni, Abitare molto in alto. Le Alpi e l’architettura, Priuli & Verlucca, 2009, pag.144.)

Quando le Alpi da cerniera tra i popoli diventano barriera

Le Alpi si trasformano nel ventesimo secolo in modo definitivo; il mutamento porterà una rapida quanto indelebile alterazione sociale e quindi formale dell’assetto dei villaggi, divenuti i protagonisti di un tempo insolitamente breve; le Alpi e i suoi villaggi in quota da elemento cerniera tra i popoli si trasformano in una barriera posta fisicamente tra la città e la montagna, una sorta di realtà di frontiera che ha dato vita a due mondi assolutamente contrapposti di vivere in quota e dove il cittadino dell’altra sfera entra a forza in questo mondo separato, sul quale viene gettato uno sguardo ammirato e al tempo stesso compassionevole.

(Luciano Bolzoni, Abitare molto in alto. Le Alpi e l’architettura, Priuli & Verlucca, 2009, pag.22.)

N.B.: approfitto di questa citazione tratta da Abitare molto in alto, del quale ho dissertato qui, per dirvi che, in occasione dell’uscita del nuovo libro di Luciano Bolzoni, Carlo Mollino. Architetto, del quale invece vi ho detto qui, ALPES (di cui Bolzoni è direttore culturale) propone un illuminante percorso di lettura e di esplorazione della realtà antropica e architettonica delle Alpi moderne e contemporanee che include anche Destinazione Paradiso. Lo Sporthotel della Val Martello di Gio Ponti, pubblicato nel 2015, altro notevole testo al riguardo: il tutto al prezzo dedicato di 35,00 euro + spese di spedizione. Un’occasione da non perdere – in primis perché realmente illuminante, lo ribadisco, e per questo assolutamente importante.
Per informazioni e acquisti potete scrivere a info@alpesorg.com.

(Nell’immagine in testa al post: “batteria” di ecomostri al Passo del Tonale, a oltre 1800 m di quota.)

Luciano Bolzoni, “Abitare molto in alto. Le Alpi e l’architettura”

La pratica dell’abitare è senza dubbio tra quelle attraverso cui l’Homo Sapiens ha saputo distinguersi da tutte le altre specie viventi. Non più mero e necessario esercizio di protezione, di sopravvivenza, non più semplice e forzato adattamento al territorio in cui si è insediato, l’atto dell’abitare in maniera stanziale è il principale elemento di territorializzazione dello spazio dacché è intimamente legato alla relazione che si instaura tra l’uomo e il territorio, che sovente proprio attraverso l’abitare diviene luogo – un termine che, non casualmente, deriverebbe proprio dalla radice indoeuropea stal o stalk, latinizzata per metatesi in stlocus e divenuto poi il definitivo locus. Il noto geografo francese Maurice Le Lannou, nella sua opera La Géographie humaine del 1949, asserì che «la geografia umana è la scienza dell’uomo-abitante», legando non solo tale pratica alla stessa determinazione geografica dei territori antropizzati ma, a suo modo, confermando l’importanza di essa per la civiltà umana, tale anche perché capace di abitare in senso pieno e compiuto i territori in cui si insedia.
Eppure, nonostante un valore così fondamentale sotto molti versi, la pratica dell’abitare resta definita da un semplice termine al quale non viene nemmeno riconosciuta la qualifica di concetto, come invocava il citato Le Lannou già a metà Novecento: cosa che sarebbe quanto mai importante soprattutto in relazione a quei territori ben più delicati e fragili rispetto, ad esempio, alle zone urbanizzate e metropolitane (le città) o a quelle la cui geografia non oppone troppi ostacoli morfologici e ambientali (ovvero culturali) a chi le voglia abitare. Senza dubbio spazi emblematici in tema di fragilità e delicatezza sono le montagne, sulle quali la mancanza di una definizione concettuale dell’abitare ha da un lato generato non pochi problemi – pratici ovvero architettonici, e teorici cioè legati alla relazione col paesaggio culturale montano – ma dall’altro impone oggi ancor più di ieri una approfondita riflessione sull’idea e sulla pratica, anche a fronte di una ormai palese deficienza di valore di certi interventi architettonici e urbanistici realizzati soprattutto a seguito dello sviluppo turistico delle montagne, che stupiscono lo sguardo più attento e consapevole per la loro decontestualizzazione (per non dire di peggio) rispetto al territorio in cui sono stati realizzati.
Per tutto ciò, un libro come Abitare molto in alto. Le Alpi e l’architettura (Priuli & Verlucca, 2009) scritto da Luciano Bolzoni, architetto milanese tra i massimi esperti di architettura di montagna, i dieci anni che ormai ha non li dimostra affatto. Anzi, sotto molto aspetti la lettura odierna e la considerazione di ciò che Bolzoni scrive sul tema acquisiscono ancora maggior valore e “brillantezza” []

(Leggete la recensione completa di Abitare molto in alto cliccando sulla copertina del libro lì sopra, oppure visitate la pagina del blog dedicata alle recensioni librarie. Buona lettura!)