Dopo aver esaurito quel che t’offrono affari, politica, allegri simposi, amore e così via – e aver scoperto che niente di tutto ciò alla fine soddisfa o dura in eterno – che cosa ti resta? Resta la Natura; portar fuori dai loro torpidi recessi le affinità tra un uomo o una donna e l’aria aperta, gli alberi, i campi, il volgere delle stagioni – il sole di giorno e le stelle del firmamento la notte.
(Walt Whitman, Nuovi argomenti in Giorni rappresentativi e altre prose, a cura di Mariolina Meladiò Freeth, Neri Pozza Editore, Vicenza, 1968, pag.148.)
Mi hanno dato uno schiaffo.
Ero alla finestra. All’improvviso per strada qualcosa ha fischiato.
Mi sono affacciato alla finestra e m’han dato uno schiaffo.
Mi son nascosto subito in casa. E adesso sulla mia guancia brucia, come si diceva una volta, una vergogna incancellabile.
Un dolore così grande per un’offesa l’ho provato prima solo una volta.
È stato così.
Una bellissima signora, figlia naturale di un re, mi aveva regalato un lussuoso quaderno.
Per me era una vera festa, per quanto bello era il quaderno. Mi sono seduto subito e ho cominciato a scriverci dei versi. Ma quando quella signora, figlia naturale di un re, ha visto che scrivevo in questo quaderno dei versi ha detto:
– Se io avessi saputo che lei avrebbe scritto qui i suoi versi mediocri, non le avrei mai regalato questo quaderno. Io pensavo che questo quaderno le sarebbe servito per ricopiarci le frasi utili e intelligenti che lei avesse letto nei libri.
Ho strappato dal quaderno i fogli con le cose che avevo scritto e l’ho restituito alla signora.
E adesso, quando mi han dato lo schiaffo alla finestra, ho sentito una sensazione a me conosciuta.
Era la stessa sensazione che ho provato quando ho restituito alla bellissima signora il suo quaderno.
Ecco come Charms, genialmente, nel raccontare delle sue poesie mediocri, scrive un pezzo dalla carica poetica fremente e maggiore di innumerevoli “poesie” pretese come tali ma invero deprecabili e deprimenti, e lo fa scrivendolo in forma di prosa. Un genio, appunto.
La Russia non si può capire con l’intelletto, | non è misurabile con il metro comune; | ha una natura propria, | nella Russia si può solo credere. Così scrive nell’Ottocento il grande poeta Fedor Tjutčev, compendiando al meglio quello che tutt’oggi è lo spirito russo, in senso geografico, nazionale, sociologico e antropologico, nel bene e nel male.
Be’, i versi di Tjutčev sembrano pure una buona descrizione di un autore – russo, naturalmente – come Daniil Charms, uno i cui testi non si possono capire solo con l’intelletto perché ci vuole pure una certa fantasia, che certamente è al di fuori dell’ordinario (il «metro comune», appunto) e possiede una natura letteraria propria o comunque assai particolare, così che a leggerlo, prima di capirlo ovvero per capirlo, bisogna innanzi tutto essere pronti a credergli, a credere a ciò che scrive anche quando possa apparire come una cosa insensata e ingiustificabile.
D’altro canto quante volte certi personaggi, nei più disparati campi dello scibile umano, sono stati considerati “insensati” ovvero pazzi, o qualcosa del genere, solo perché erano così geniali da non essere compresi da nessuno? Se di Daniil Charms leggete Disastri (Marcos y Marcos, 2011, traduzione e cura di Paolo Nori), ecco, facilmente credo che vi troverete a ragionare se quanto state leggendo sia ascrivibile a una mente folle oppure, come accennavo, a una geniale e così particolare, così fuori dall’ordinario da non essere compresa. Ciò forse proprio perché, per essere compresa, non ha bisogno del consueto «metro comune» sopra citato ma di un giudizio extra-ordinario, ovvero impone al lettore di togliersi dalla mente i soliti schemi percettivi e valutativi per installarne altri, anzi, no, meglio, per lasciare spazio aperto e libero ad un incontro che sarà in principio sconcertante ma poi, pagina dopo pagina, sempre più affascinante e magari, alla fine, anche riconoscibile.
Paolo Nori – autore tra i migliori in senso assoluto, in Italia, e insuperabile, illuminante guida alla letteratura russa – traduce e cura una formidabile selezione di testi di Charms, da quelli di due righe ad alcuni più lunghi e articolati, certi che paiono totalmente privi di senso e altri dietro le cui frasi si scorgono territori psicomentali vastissimi e intriganti nei quali ogni elemento – ogni parola, immagine, idea, vaneggiamento apparente – è in grado di raccontare infinite altre sotto-storie […]
[Daniil Charms nel 1931. Foto di OGPU pri SNK SSSR, Pubblico dominio, fonte: commons.wikimedia.org.](Potete leggere la recensione completa di Disastri cliccando sulla copertina del libro lì sopra, oppure visitate la pagina del blog dedicata alle recensioni librarie. Buona lettura!)
Un uomo era andato a dormire che era credente, si era svegliato che era ateo.
Per fortuna, nella stanza di quest’uomo c’era una bilancia medica decimale, e quest’uomo era abituato a pesarsi tutti i giorni, mattino e sera. Così, andando a dormire il giorno prima, l’uomo si era pesato e aveva scoperto che pesava quattro pud e ventuno funt. E il giorno dopo al mattino, dopo essersi svegliato che era ateo, l’uomo si era pesato ancora e aveva scoperto che pesava in tutto quattro pud e tredici funt.
“Di conseguenza” aveva pensato l’uomo “la mia fede pesava intorno agli otto funt”.
[Daniil Charms, Disastri, traduzione e cura di Paolo Nori, Marcos y Marcos, 2011, pagg.34-35. Per la cronaca, il pud e il funt erano due unità di misura dei pesi in uso in Russia, abolite nei primi anni del Novecento. Il pud equivaleva a 16,4 chilogrammi, il funt a 409,5 grammi: dunque il protagonista di questo brano di Charms pesava circa 74,2 kg, la sua fede invece pesava poco meno di 3,3 kg.]
[Daniil Charms dopo l’arresto del dicembre 1931. Foto di OGPU pri SNK SSSR, pubblico dominio, fonte: commons.wikimedia.org.]
C’era un uomo con i capelli rossi, che non aveva né occhi né orecchie. Non aveva neppure i capelli, per cui dicevano che aveva i capelli rossi tanto per dire. Non poteva parlare, perché non aveva la bocca. Non aveva neanche il naso. Non aveva addirittura né braccia né gambe. Non aveva neanche la pancia, non aveva la schiena, non aveva la spina dorsale, non aveva le interiora. Non aveva niente! Per cui non si capisce di chi si stia parlando. Meglio allora non parlarne più.
(Daniil Charms, Quaderno Azzurro, n. 10, 1937, traduzione di Rosanna Giaquinta; citato anche in Disastri, nella traduzione di Paolo Nori, Marcos y Marcos, 2011, libro del quale vi dirò a breve.)
A me, questo fulminante brano di Charms mi fa venire in mente, chissà perché, il “giornalismo” nazional-popolare italiano. Perché ove Charms conclude che sia meglio non parlare più di un tale che non ha niente e dunque non fa capire di chi si sia parlando, il giornalismo italiano, spesso (?!), su certi individui che non offrono nulla di cui parlare ci costruisce sopra articoloni, editoriali, puntate televisive, talk show, gossip, esclusive, casi, sondaggi, retroscena, scoop, eccetera. È il giornalismo del niente e del nulla, che però da tutti i media racconta come se avesse tutto da dire.
Invece no. Per questo sarebbe meglio non parlasse più, ecco.