«Quella che doveva essere la mia tomba»

Addì 2 maggio 1945, Giulio Premate accompagnato da altri quattro armati venne a prelevarmi a casa mia con un camioncino sul quale erano già i tre fratelli Alessandro, Francesco e Giuseppe Frezza nonché Giuseppe Benci. Giungemmo stanchi ed affamati a Pozzo Littorio dove ci aspettava una mostruosa accoglienza; piegati e con la testa all’ingiù fecero correre contro il muro Borsi, Cossi e Ferrarin. Caduti a terra dallo stordimento vennero presi a calci in tutte le parti del corpo finché rinvennero e poi ripetevano il macabro spettacolo. Chiamati dalla prigionia al comando, venivano picchiati da ragazzi armati di pezzi di legno. Alla sera, prima di proseguire per Fianona, dopo trenta ore di digiuno, ci diedero un piatto di minestra con pasta nera non condita. Anche questo tratto di strada a piedi e per giunta legati col filo di ferro ai polsi due a due, così stretti da farci gonfiare le mani ed urlare dai dolori. Non ci picchiavano perché era buio. Ad un certo momento della notte vennero a prelevarci uno ad uno per portarci nella camera della torture. Era l’ultimo ad essere martoriato: udivo i colpi che davano ai miei compagni di sventura e le urla di strazio di questi ultimi. Venne il mio turno: mi spogliarono, rinforzarono la legatura ai polsi e poi, giù botte da orbi. Cinque manigoldi contro di me, inerme e legato, fra questi una femmina. Uno mi dava pedate, un secondo mi picchiava col filo di ferro attorcigliato, un terzo con un pezzo di legno, un quarto con pugni, la femmina mi picchiava con una cinghia di cuoio. Prima dell’alba mi legarono con le mani dietro la schiena ed in fila indiana, assieme a Carlo Radolovich di Marzana, Natale Mazzucca da Pinesi (Marzana), Felice Cossi da Sisano, Graziano Udovisi da Pola, Giuseppe Sabatti da Visinada, mi condussero fino all’imboccatura della foiba. Per strada ci picchiavano col calcio e colla canna del moschetto. Arrivati al posto del supplizio ci levarono quanto loro sembrava ancora utile. A me levarono le calze (le scarpe me le avevano già prese un paio di giorni prima), il fazzoletto da naso e la cinghia dei pantaloni. Mi appesero un grosso sasso, del peso di circa dieci chilogrammi, per mezzo di filo di ferro ai polsi già legati con altro filo di ferro e mi costrinsero ad andare da solo dietro Udovisi, già sceso nella foiba. Dopo qualche istante mi spararono qualche colpo di moschetto. Dio volle che colpissero il filo di ferro che fece cadere il sasso. Così caddi illeso nell’acqua della foiba. Nuotando, con le mani legate dietro la schiena, ho potuto arenarmi. Intanto continuavano a cadere gli altri miei compagni e dietro ad ognuno sparavano colpi di mitra. Dopo l’ultima vittima, gettarono una bomba a mano per finirci tutti. Costernato dal dolore non reggevo più. Sono riuscito a rompere il filo di ferro che mi serrava i polsi, straziando contemporaneamente le mie carni, poiché i polsi cedettero prima del filo di ferro. Rimasi così nella foiba per un paio di ore. Poi, col favore della notte, uscii da quella che doveva essere la mia tomba.

Testimonianza di Giovanni Radeticchio, nato a Sissano in Istria, (oggi Sisan, Croazia) prima esule in Italia e poi emigrato in Australia dove, consunto dai postumi delle ferite e delle contusioni degli organi interni nonché dagli stenti, nel 1970 morì per un attacco cardiaco. È il mio contributo al Giorno del Ricordo di quest’anno.

P.S.: per saperne di più sui massacri delle foibe, oltre al citato sito web lefoibe.it, cliccate sull’immagine lì sopra per leggere l’ottimo e completo articolo di Wikipedia sul tema.

10 febbraio, un elenco da ricordare

[La Grotta Plutone, foiba nei pressi di Bassovizza (Trieste). Foto di Sharon Ritossa, opera propria, CC BY-SA 4.0, fonte: Wikimedia Commons.]
Nel Giorno del Ricordo, dal sito lefoibe.it:

Foibe, il lungo elenco

  • Foiba di Basovizza e Monrupino (Trieste) – Oggi monumenti nazionali. Diverse centinaia sono gli infoibati in esse precipitati.
  • Foiba di Scadaicina, sulla strada di Fiume.
  • Foiba di Podubbo – Non è stato possibile, per difficoltà, il recupero. “Il Piccolo” del 5.12.1945 riferisce che coloro che si sono calati nella profondità di 190 metri, hanno individuato cinque corpi – tra cui quello di una donna completamente nuda – non identificabili a causa della decomposizione.
  • Foiba di Drenchia – Secondo Diego De Castro vi sarebbero cadaveri di donne, ragazze e partigiani dell’Osoppo.
  • Abisso di Semich – «…Un’ispezione del 1944 accertò che i partigiani di Tito, nel settembre precedente, avevano precipitato nell’abisso di Semich (presso Lanischie), profondo 190 metri, un centinaio di sventurati: soldati italiani e civili, uomini e donne, quasi tutti prima seviziati e ancor vivi. Impossibile sapere il numero di quelli che furono gettati a guerra finita, durante l’orrendo 1945 e dopo. Questa è stata fina delle tante Foibe carsiche trovate adatte, con approvazione dei superiori, dai cosiddetti tribunali popolari, per consumare varie nefandezze. La Foiba ingoiò indistintamente chiunque avesse sentimenti italiani, avesse sostenuto cariche o fosse semplicemente oggetto di sospetti e di rancori. Per giorni e giorni la gente aveva sentito urla strazianti provenire dall’abisso, le grida dei rimasti in vita, sia perché trattenuti dagli spuntoni di roccia, sia perché resi folli dalla disperazione. Prolungavano l’atroce agonia con sollievo dell’acqua stillante. Il prato conservò per mesi le impronte degli autocarri arrivati qua, grevi del loro carico umano, imbarcato senza ritorno…» (Testimonianza di Mons. Parentin, da “La Voce Giuliana” del 16.12.1980).
  • Foibe di Opicina, di Campagna e di Corgnale – «Vennero infoibate circa duecento persone e tra queste figurano una donna ed un bambino, rei di essere moglie e figlio di un carabiniere …» (G. Holzer, 1946).
  • Foibe di Sesana e Orle – Nel 1946 sono stati recuperati corpi infoibati.
  • Foiba di Casserova, sulla strada di Fiume, tra Obrovo e Golazzo. Ci sono stati precipitati tedeschi, uomini e donne italiani, sloveni, molti ancora vivi, poi, dopo aver gettato benzina e bombe a mano, l’imboccatura veniva fatta saltare. Difficilissimi i recuperi.
  • Abisso di Semez – Il 7 maggio 1944 vengono individuati resti umani corrispondenti a ottanta – cento persone. Nel 1945 fu ancora “usato”.
  • Foiba di Gropada – Sono recuperate cinque salme. «Il 12 maggio 1945 furono fatte precipitare nel bosco di Gropada trentaquattro persone, previa svestizione e colpo di rivoltella “alla nuca”. Tra le ultime: Dora Ciok, Rodolfo Zuliani, Alberto Marega, Angelo Bisazzi, Luigi Zerial e Domenico Mari».
  • Foiba di Vifia Orizi – Nel mese di maggio del 1945, gli abitanti del circondario videro lunghe file di prigionieri, alcuni dei quali recitavano il Padre Nostro, scortati da partigiani armati di mitra, essere condotte verso la voragine. Le testimonianze sono concordi nell’indicare in circa duecento i prigionieri eliminati.
  • Foiba di Cernovizza (Pisino) – Secondo voci degli abitanti del circondario le vittime sarebbero un centinaio. L’imboccatura della Foiba, nell’autunno del 1945, è stata fatta franare.
  • Foiba di Obrovo (Fiume) – È luogo di sepoltura di tanti fiumani, deportati senza ritorno.
  • Foiba di Raspo – Usata come luogo di genocidio di italiani sia nel 1943 che nel 1945. Imprecisato il numero delle vittime.
  • Foiba di Brestovizza – Così narra la vicenda di una infoibata il “Giornale di Trieste” in data 14.08.1947: «Gli assassini l’avevano brutalmente malmenata, spezzandole le braccia prima di scaraventarla viva nella Foiba. Per tre giorni, dicono i contadini, si sono sentite le urla della misera che giaceva ferita, in preda al terrore, sul fondo della grotta.»
  • Foiba di Zavni (Foresta di Tarnova) – Luogo di martirio dei carabinieri di Gorizia e di altre centinaia di sloveni oppositori del regime di Tito.
  • Foiba di Gargaro o Podgomila (Gorizia) – Vi furono gettate circa ottanta persone.
  • Capodistria, le Foibe – Dichiarazioni rese da Leander Cunja, responsabile della Commissione di indagine sulle Foibe del capodistriano, nominata dal Consiglio esecutivo dell’Assemblea comunale di Capodistria: «Nel capodistriano vi sono centosedici cavità, delle ottantuno cavità con entrata verticale abbiamo verificato che diciannove contenevano resti umani. Da dieci cavità sono stati tratti cinquantacinque corpi umani che sono stati inviati all’Istituto di medicina legale di Lubiana. Nella zona si dice che sono finiti in Foiba, provenienti dalla zona di S. Servolo, circa centoventi persone di etnia italiana e slovena, tra cui il parroco di S. Servolo, Placido Sansi. I civili infoibati provenivano dalla terra di S. Dorligo della Valle. I capodistriani, infatti, venivano condotti, per essere deportati ed uccisi, nell’interno, verso Pinguente. Le Foibe del capodistriano sono state usate nel dopoguerra come discariche di varie industrie, tra le quali un salumificio della zona.»
  • Foiba di Vines – Recuperate dal Maresciallo Harzarich dal 16.10.1943 al 25.10.1943 cinquantuno salme riconosciute. In questa Foiba, sul cui fondo scorre dell’acqua, gli assassinati dopo essere stati torturati, finirono precipitati con una pietra legata con un filo di ferro alle mani. Furono poi lanciate delle bombe a mano nell’interno. Unico superstite, Giovanni Radeticchio, ha raccontato il fatto.
  • Cava di Bauxite di Gallignana – Recuperate dal 31 novembre 1943 all’8 dicembre 1943 ventitré salme di cui sei riconosciute. Don Angelo Tarticchio nato nel 1907 a Gallesano d’Istria, parroco di Villa di Rovigno. Il 16 settembre 1943 – aveva trentasei anni – fu arrestato dai partigiani comunisti, malmenato ed ingiuriato insieme ad altri trenta dei suoi parrocchiani, e, dopo orribili sevizie, fu buttato nella foiba di Gallignana. Quando fu riesumato lo trovarono completamente nudo, con una corona di spine conficcata sulla testa, i genitali tagliati e messi in bocca.
  • Foiba di Terli – Recuperate nel novembre del 1943 ventiquattro salme, riconosciute.
  • Foiba di Treghelizza – Recuperate nel novembre del 1943 due salme, riconosciute.
  • Foiba di Pucicchi – Recuperate nel novembre del 1943 undici salme di cui quattro riconosciute.
  • Foiba di Surani – Recuperate nel novembre del 1943 ventisei salme di cui ventuno riconosciute.
  • Foiba di Cregli – Recuperate nel dicembre del 1943 otto salme, riconosciute.
  • Foiba di Cernizza– Recuperate nel dicembre del 1943 due salme, riconosciute.
  • Foiba di Vescovado – Scoperte sei salme di cui una identificata.

Altre foibe da cui non fu possibile eseguire recupero nel periodo 1943-1945:

  • Semi.
  • Jurani.
  • Gimino.
  • Barbana.
  • Abisso Bertarelli.
  • Rozzo.
  • Iadruichi.
  • Foiba di Cocevie a 70 chilometri a sud-ovest da Lubiana.
  • Foiba di San Salvaro.
  • Foiba Bertarelli (Pinguente) – Qui gli abitanti vedevano ogni sera passare colonne di prigionieri ma non ne vedevano mai il ritorno.
  • Foiba di Gropada.
  • Foiba di San Lorenzo di Basovizza.
  • Foiba di Odolina – Vicino Bacia, stilla strada per Matteria, nel fondo dei Marenzi.
  • Foiba di Beca – Nei pressi di Cosina.
  • Foibe di Castelnuovo d’Istria – «Sono state poi riadoperate – continua il rapporto del Cln – le foibe istriane, già usate nell’ottobre del 1943.»
  • Cava di bauxite di Lindaro.
  • Foiba di Sepec (Rozzo).

(Per saperne di più sui massacri delle foibe, oltre al citato sito web lefoibe.it, cliccate qui per leggere l’ottimo e completo articolo di Wikipedia sul tema.)

 

 

Salvo per miracolo

Tutto è incominciato il 5 maggio 1945. La guerra è finita, depongo le armi e mo consegno prigioniero al comando slavo. Vengo deportato in un campo di concentramento vicino Pola. Prima della tragedia c’è l’umiliazione: i partigiani di Tito si divertono a farmi mangiare pezzi di carta ed ingoiare dei sassi. Poi mi sparano qualche colpo all’orecchio. Io sobbalzo impaurito, loro sghignazzano.
Insieme ad altri compagni finisco a Pozzo Vittoria, nell’ex palestra della scuola. Alcuni di noi sono costretti a lanciarsi di corsa contro il muro. Cadono a terra con la testa sanguinante. I croati li fanno rialzare a suon di calci. A me tocca in sorte un castigo diverso: una bastonata terrificante sull’orecchio sinistro. E da quel giorno non ci sento quasi più.
[…]
Il destino era segnato ed avevo solo un modo per sfuggirgli: gettarmi nella voragine prima di essere colpito da un proiettile. Una voce urla in slavo “Morte al fascismo, libertà ai popoli!”, uno slogano che ripetono ad ogni piè sospinto. Io, appena sento l crepitio dei mitra mi tuffo dentro la foiba.
Ero precipitato sopra un alberello sporgente. Non vedevo nulla, i cadaveri mi cascavano addosso. Riuscii a liberare le mani dal filo di ferro e cominciai a risalire. Non respiravo più. All’improvviso le mie dita afferrano una zolla d’erba. Guardo meglio: sono capelli! Li afferro e così riesco a trascinare in superficie anche un altro uomo. L’unico italiano, ad essere sopravvissuto alle foibe. Si chiamava Giovanni, “Ninni” per gli amici. È morto in Australia qualche anno fa.

(Per il Giorno del Ricordo, la testimonianza di Graziano Udovisi raccolta da Arrigo Petacco in L’esodo. La tragedia negata degli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia, Mondadori, Milano, 1999. Il brano qui proposto è tratto dal sito lefoibe.it curato dalla Lega Nazionale per l’Italianità di Trieste, da questa pagina.)

Le “storie che si muovono” di Carlo Limonta, cineasta e “cineartista”, questa sera in RADIO THULE!

Questa sera, 4 dicembre duemila17, ore 21.00, live su RCI Radio in FM e in streaming, appuntamento con la 3a puntata della stagione 2017/2018 di RADIO THULE, intitolata Storie che si muovono!

Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile” scrisse il grande Ennio Flaiano: e, senza dubbio, un’affermazione del genere acquisisce grande valore al cospetto della produzione filmica, dello stile e della visionarietà artistica di Carlo Limonta. Regista, documentarista, fotografo, “cineasta” – come si diceva un tempo – ma, ancor più di tutto ciò, un eccellente narratore di storie in immagini, che il film maker lecchese sa rendere suggestive e creative ma, al contempo, potentemente espressive ed esplicative, senza peraltro mai nulla togliere al fascino proprio di chi o cosa di quelle immagini è il soggetto.
Da Riccardo Cassin 100 anni al pluripremiato Al gir di Sant passando per Una lunga estate calda, Nepal e Tibet – diario di viaggio, The Porters e per tante altre apprezzatissime realizzazioni cinematografiche, tutta la produzione di Carlo Limonta dimostra non solo una notevole capacità narrativa attraverso l’uso delle immagini, ma anche una grande passione per il “profondo” e l’intimo del mondo che ci circonda, che Limonta riesce sapientemente a cogliere, a mostrare e a rendere comprensibile, con affascinante essenzialità tanto quanto acutissima sensibilità.

In questa puntata di RADIO THULE Carlo Limonta ci guiderà alla conoscenza del suo peculiare modo di raccontare piccole e grandi storie attraverso le immagini, i suoni, le parole, ripercorrendo un cammino artistico che dura ormai da più di 15 anni e che è prossimo a raggiungere alcune altre mete cinematografiche (e narrative) di grande prestigio e altrettanta bellezza, che avremo la fortuna di scoprire insieme a lui.

Dunque mi raccomando: appuntamento a questa sera su RCI Radio! E non dimenticate il podcast di questa e di tutte le puntate delle stagioni precedenti, quiStay tuned!

Thule_Radio_FM-300Come ascoltare RCI Radio:
– In FM sui 91.800 e 92.100 Mhz stereo RDS.
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Il PODCAST di Radio Thule: di questa puntata e di tutte le precedenti di ogni stagione, QUI!

Prossimamente in RADIO THULE… Carlo Limonta!

Nella prossima puntata di lunedì 4 dicembre, alle ore 21 su RCI Radio, RADIO THULE avrà l’onore di accogliere un ospite assai prestigioso: Carlo Limonta, apprezzato film maker, documentarista, fotografo, autore di numerose opere filmiche di grande fascino e altrettanto successo, che ci racconterà di sé, della sua produzione cinematografica, di come si possa raccontare storie attraverso immagini e, con la loro visione, trasmettere conoscenza, memoria, emozione, cultura, civiltà.

Save the date! Lunedì 04/12, ore 21, RCI Radio: non mancate!