Strade di ieri, di oggi, di sempre

[La mulattiera di origine medievale che sale al borgo di Savogno, nella Val Bregaglia italiana (Sondrio). Immagine tratta da qui.]

Questa bella Provincia[1] seminata da paesaggi in apriche giacenze, non vantava migliori comunicazioni delle nostre[2]. A volo d’uccello sorridenti e pittoreschi, questi paesaggi calcati col piede offrivano le medesime mostruosità. Viuzze serpeggianti, anguste, informi, che dall’imo dell’abitato ascendevano al sommo per intrecciarsi in un labirinto di andirivieni, senza uno sfogo riconoscibile. E come all’interno, così le comunicazioni dall’uno all’altro paese erano parimenti viziate. All’insù ed all’ingiù, ora a destra, ora a manca fin a che con fatica, strapazzi a perditempo vi si perveniva.

(Daniele Marchioli, Storia della Valle di Poschiavo, 1886, pag.201.)

Aaah, come cambiano i tempi, le visioni del mondo, la relazione coi luoghi che abitiamo, la percezione dei paesaggi! Nell’Ottocento si spregiavano le antiche vie rurali che percorrevano i monti – in tal caso della Valtellina o dei Grigioni, ma il discorso vale per ogni regione montana – desiderando nuove e più moderne vie di comunicazione; oggi, che abbiamo nastri d’asfalto tanto ampi e rapidi quanto perennemente intasati di traffico e di smog e così caotici da svilire l’esperienza più autentica del “viaggio”, torniamo a considerare e ad amare le “mostruose” viuzze serpeggianti, anguste, informi sui monti lungo le quali non vediamo l’ora di provare fatica e strapazzi a perditempo ovvero il piacere della lentezza, della quiete, dell’avere il tempo di guardarsi intorno, di cogliere le tante bellezze che ogni luogo offre, di sentirci accolti nel loro paesaggio. Ma non è una mera e banale questione del tipo “si stava meglio quando si stava peggio”, no: è un generare in sé l’adeguata consapevolezza della relazione che dobbiamo intessere con il mondo che abbiamo intorno e, soprattutto, con la nostra presenza ed essenza in esso. Certamente serve la strada veloce che ci permetta di svolgere proficuamente gli impegni quotidiani (quando non sia ingolfata dai troppi automezzi in circolazione, appunto) ma in senso assoluto – e assolutamente umano – non serve più di quanto ci è utile la tortuosa mulattiera che lentamente, e richiedendo fatica a volte intensa, sale il fianco della montagna portandoci in alto, sopra quel mondo sempre troppo inquinato da fumi e da insensatezze assortite, lassù dove abbiamo più tempo non solo per guardarci intorno ma pure per guardarci dentro. E magari scoprire che più il “dentro” e il “fuori” si assomigliano e risultano armonici, più ci sentiamo bene.

In fondo lo sosteneva Walter Bonatti, uno che in tema di “salite verso l’alto” nonché di “viaggi” nel senso più pieno del termine è stato tra i più grandi di sempre, che «Chi più alto sale, più lontano vede; chi più lontano vede, più a lungo sogna». Ecco, è ancora così e lo sarà sempre, già.

[1] Il riferimento è alla provincia di Sondrio, dunque alla Valtellina.

[2] Ovvero del Cantone svizzero dei Grigioni.

INTERVALLO – Avers (Svizzera), “Lesebänkli und Bücherkiste”

Di “casette dei libri” – o per il bookcrossing, altrimenti dette Little Free Library – ve ne sono ormai ovunque e tante sono posizionate in luoghi paesaggisticamente spettacolari, unendo così il piacere della lettura alla bellezza del paesaggio in un connubio di raro fascino.

Tra quelle poste in luoghi particolarmente affascinanti, e a me altrettanto particolarmente cari, vi è quella che vedete nelle immagini: semplicissima, spartana ma dotata d’una bella panca di lettura e, soprattutto, installata (nella bella stagione ovvero fino a che la meteo risulta clemente) nel mezzo di un paesaggio tra i più straordinari delle Alpi, quello di Avers nel Cantone dei Grigioni, in Svizzera.


Non so voi ma io, lì, con un bel libro da leggere, ci starei stabilmente da quando la neve si scioglie e il clima si fa mite fino a che la neve della nuova stagione fredda cominciasse a ricoprirmi le membra!

Cliccate sulle immagini (tratte dal sito viamala.graubuenden.ch) per saperne di più.

Non c’è niente?

Di frequente mi capita che io dica a qualcuno che sono andato a visitare un certo luogo e loro mi chiedono che luogo ovvero che città, località turistica, monumento, attrazione eccetera e io ribatto no, niente di tutto ciò, e descrivo un posto come questo qui sotto…

…e i miei interlocutori esclamano sorpresi: «Sei andato lì? Ma non c’è niente, lì!»
Così io, di nuovo, rispondo: proprio per quello ci sono andato, perché lì non c’è “niente” ma in realtà c’è tantissimo, a capire che c’è!

Ma non capiscono del tutto, credo.

(L’immagine è tratta da qui, e il luogo ritratto non è affatto casuale.)

Andare a Lucerna e Tallinn senza andarci (per ora)

La neve è forse l’elemento naturale che più di ogni altro rende affascinante qualsiasi luogo, sia esso rurale o urbano. Tra questi secondi, tuttavia, ci sono alcune città che quando vengono ammantate dalla fredda coltre bianca accrescono se possibile la loro bellezza, diventano ancora più attrattive, intriganti, accoglienti, assumendo le sembianze di luoghi emotivi, oltre che geografici. Lucerna e Tallinn vanno sicuramente annoverate tra di essi: due città bellissime in ogni momento dell’anno che però se innevate diventano veramente incantate, quasi “magiche”.

[Foto di Ilya Orehov da Unsplash.]
[Immagine tratta da luzern.com, fonte qui.]
Purtroppo la situazione sanitaria che limita chiunque a livello continentale (e planetario) impedisce al momento di poter godere appieno della loro bellezza; tuttavia, nell’attesa di poterci andare – se non le avete mai visitate – o di tornarci, be’, ci sono due libri che le raccontano in modo assai particolare e insolito:

Non sono “guide di viaggio” (sono molto di più, in realtà) ma forse, leggendoli, vi verrà voglia di viaggiare verso Lucerna e Tallinn molto più che dopo aver letto un’ordinaria guida di viaggio, appunto.

Per saperne di più sui due libri, cliccate qui e qui.

Smarrirsi senza perdersi per ritrovarsi (a Lucerna)

Forse oggi, nel nostro mondo contemporaneo del quale ogni pur remoto angolo può essere raggiunto attraverso il web al punto da ritenere ogni impulso all’esplorazione un retaggio d’altri più avventurosi e ingenui tempi, bisognerebbe realmente tornare a pretendere la possibilità di perdersi. Magari non in senso geografico quanto più in senso emozionale, spirituale. Partire dalla conseguita consapevolezza geo-mentale, come l’ho definita poco fa, per lasciarvi in deposito le certezze materiali e vagare verso ignoti ambiti immateriali ove la realtà ordinaria si amplia, si spande in innumerevoli direzioni metafisiche, liberi come se non si avesse nulla da perdere o da rischiare e tutto da guadagnare perché sicuri di ciò che si è già acquisito. Anche in una città come Lucerna, sì, che parrebbe il luogo sul pianeta in cui perdersi è più difficile, per quanti riferimenti orientanti d’ogni sorta offra in ogni parte della propria conurbazione. D’altro canto Lucerna è parimenti così ricca di suggestioni, magnetismi, incanti, miraggi, visioni e quant’altro di conturbante e strabiliante, che realmente in essa può venire facile smarrirsi senza perdersi, volare lontano sulla ali del più istintivo estro rimanendo coi piedi ben saldi per terra oppure lasciando che la città solleciti di continuo e in modo vibrante la curiosità del suo esploratore, spingendolo entro vicoli o passaggi apparentemente insignificanti ma nei quali, invece, spunta d’improvviso qualche dettaglio magari minimo ma a suo modo incredibile.
In fondo l’uomo ha dovuto perdersi infinite volte per trovare la propria strada e per conoscere il mondo nel quale oggi si muove con tanta sicurezza; e l’eccessiva sicurezza spegne inesorabilmente la curiosità, ciò che fin dai tempi remoti spinge l’uomo verso direzioni ignote. Non è vero che nel nostro mondo di oggi in cui tutto è stato scoperto, esplorato e conosciuto, non sia ancora possibile trovare nuove e mai percorse direzioni verso cui andare, anche solo per sapere cosa c’è, laggiù. Forse andandoci ci si smarrirà. Forse, invece, troveremo la miglior occasione possibile per ritrovare noi stessi, oppure per renderci conto che era quando ci ritenevamo certi, e senza alcun dubbio, di sapere dove fossimo, che in realtà eravamo persi.

Sì, certo: da qualche mese a questa parte il “mio libro” per antonomasia è Tellin’ Tallinn. Storia di un colpo di fulmime urbano, pubblicato a marzo nella collana dei Cahier di Viaggio di Historica. Il brano che avete appena letto invece è tratto dal precedente libro, la cui copertina vedete qui sopra, a sua volta edito nella stessa collana da Historica (cliccateci sopra per saperne di più), e mi serve per denotarvi (ovvero ribadirvi) che sono molto legato a questo libro tanto quanto alla città che racconto tra le sue pagine. Dunque, se non l’avete e volete “visitare” in maniera alquanto originale un’altra meta certamente non ordinaria, be’, insieme a Tallinn potreste anche leggervi Lucerna, ecco.

Luca Rota
Lucerna, il cuore della Svizzera
Historica Edizioni, 2016
Collana Cahier di Viaggio
ISBN 978-88-99241-94-0
Pag.167, € 10,00