L’ora esatta nel bosco

Amici che come me abitate tra i boschi o vicino ad aree naturali abitate dal cuculo (Cuculus canorus): avete anche voi la vivida sensazione che sempre di più questi simpatici uccelli emettano il loro caratteristico richiamo in corrispondenza (parecchio precisa) delle ore e delle mezz’ore, proprio come farebbero gli orologi che da essi prendono il loro nome popolare?

Vado per boschi, sento il peculiare «cucù, cucù, cucù…», guardo le ore: le 07.29 o le 18.01 o proprio le 20.00 esatte, eccetera.

Cos’è mai, una bizzarra forma di antropomorfismo orologistico? Un inopinato condizionamento trasmesso al volatile dall’Homo Sapiens sempre più ossessionato dal tempo che corre? Una stranissima Legge di Murphy ornito-cronologica?

O forse il sottoscritto è preda di disorientanti allucinazioni uditive?

Be’, fosse anche quest’ultima la realtà delle cose, è sempre meglio vagare per i boschi ad ascoltare i tanti suoni che li animano che per le città a subìre i troppi rumori che le soffocano. E se poi c’è pure qualcuno che si prende la briga di segnalarti che ore hai fatto, tanto meglio!

(La foto del cuculo è di Creepanta, opera propria, CC BY-SA 4.0, fonte commons.wikimedia.org.)

Perdere tempo prezioso dietro al nulla

Cammino nel bosco silenzioso, attraverso luminosità vibranti e ombre di quiete. Alberi fitti, sottobosco rigoglioso, un mondo che ogni volta mi accoglie calorosamente, nel quale mi trovo sempre bene. Solitario ma mai solo. Silente, ma in dialogo con tutto ciò che intorno. Non c’è nulla qui, a parte la traccia del sentiero. Ma veramente è così?

Ci siamo troppo assuefatti, temo, a vedere in certi ambiti del mondo in cui viviamo il tutto senza capire che in realtà lì c’è il nulla – nulla che ci serva realmente – e pensiamo di trovare in altri ambiti dello stesso mondo il “nulla” quando invece lì c’è tutto – tutto quello che ci serve. Così perdiamo buona parte del nostro tempo utile – che non è molto, a ben pensarci – dietro quella tanta roba inutile, togliendolo alla ri-scoperta di ciò che non sappiamo più vedere e percepire, ciò che invece ne farebbe un tempo ben speso, proficuo, efficace.

Perdere tempo così significa perdere spazio – e il tempo è spazio: spazio vitale, quello che noi occupiamo proprio vivendo il nostro tempo. Dunque, è come perdere noi stessi e ciò che si perde non si trova più, non si vede più. È come diventare invisibili cioè nulla, a nostra volta, nel nulla verso cui perdiamo tempo. Non conviene, secondo me.

P.S.: l’immagine in testa al post, che a mio parere esemplifica benissimo ciò che vi ho scritto, è dell’ottimo Filippo Manini (che ringrazio di cuore per avermela concessa), autore di opere fotografiche assolutamente affascinanti (che crea su montagne che sono le sue e anche le mie) le quali riescono benissimo a mostrare tanto dove forse per alcuni ci potrebbe essere poco. Per l’appunto.

Perdere tempo / prendere tempo

[Foto di Pasja1000 da Pixabay.]
Il modus vivendi che – volenti o nolenti – facciamo nostro nel mondo quotidiano, spesso ci porta a pensare, a ritenere o a credere che, nelle cose compiute durante le nostre giornate, siano quelle ordinarie o meno, stiamo perdendo tempo. Andiamo sempre di fretta, tutto deve essere veloce, abbiamo sempre meno pazienza e siamo sempre più esagitati al punto che, a impiegarci qualche momento in più nel fare qualcosa, abbiamo l’impressione che la vita ci scappi via, che ci stiamo smarrendo, che rimarremo indietro rispetto alla forsennata e irrefrenabile corsa del mondo.

Abbiamo così paura di perdere tempo che, paradossalmente, ciò che abbiamo realmente perso è la facoltà di prendere tempo.

Invece: prenderci il tempo necessario per fare le cose con la giusta calma, la più adeguata ponderatezza e senza la perniciosa superficialità (forzata ma che di frequente per alcuni diventa abituale) che spesso le contraddistingue, prenderci il tempo per fermarci ogni tanto a riflettere su cosa stiamo facendo e come lo stiamo facendo, su dove siamo, su ciò che abbiamo intorno, recuperare la necessaria lentezza che è naturale in molte azioni compiute, la facoltà di avere pazienza, di saper attendere – magari, come dice il Tao, attendere senza doversi sempre aspettare qualcosa… prenderci il tempo per pensare veramente, nel senso più compiuto del termine, contro la tendenza odierna di crede che a “pensare” troppo si perda del tempo, appunto. E infatti le conseguenze di tale tendenza, così malauguratamente diffusa, le vediamo un po’ ovunque intorno a noi.

D’altro canto: se fosse proprio questa nostra permanente paura di perdere tempo a farci sostanzialmente perdere il vero tempo, quello che scandisce il moto della vita realmente e pienamente vissuta e, di conseguenza, che ci rende altrettanto pienamente vivi? Oggi noi corriamo, corriamo, corriamo, esagitati e stressati come se da ogni ora di tempo ne dovessimo ricavare tre o quattro… ma per far che, e con quale risultato concreto? Forse con quello di farci correre ben più velocemente del dovuto verso la fine?

Dunque, di contro: se fosse proprio la capacità di saperci prendere tutto il tempo necessario a vivere al meglio la nostra quotidianità, quella veramente in grado di trasformare – come recita il noto motteggio popolare – «il tempo in denaro», cioè in qualcosa di grande valore e di utilità fondamentale per ciascuno di noi in questo nostro troppo scalmanato mondo?