Una domanda: ma veramente (sarà che invecchio e mi inacidisco, o divento pesante e lagnoso ovvero obiettivamente misantropo, può essere) – dicevo: ma veramente alla gente piacciono ancora i fuochi d’artificio? Veramente c’è bisogno di essi per valorizzare un luogo, una ricorrenza, un evento o un paesaggio, la sua bellezza, la sua attrattiva turistica? E veramente una festa popolare – sia essa di paese o d’una più grande città, laica o religiosa, turistica o meno… – non può definirsi tale senza quel gran baccano luminoso dal costo a dir poco spropositato?
Costo spropositato, per giunta, che quasi sempre viene spacciato e giustificato come “evento culturale” e sovente inserito nelle relative richieste di finanziamenti pubblici: ma che ca…volo di “cultura” c’è, oggi, nei fuochi d’artificio? E, porca d’una miseria, quanti veri eventi culturali si potrebbero allestire, con mirabili ed evidenti ricadute a vantaggio di tutti, con i soldi che vengono (letteralmente) bruciati in pochi minuti di spettacolo pirotecnico? Dalle mie parti, sulle rive del lago, non c’è quasi località che nel corso dell’estate non si pregi d’avere il proprio spettacolo di fuochi – peraltro esattamente uguale a quello del paese accanto o della riva opposta, perché, suvvia, diciamoci pure questo: visti una volta, i fuochi d’artificio, visti tutti – come si dice in questi casi! Be’, facciamo una bella somma dei soldi spesi per codesti numerosi spettacoli, e vediamo che cifra ne esce. Poi riflettiamoci un attimo sulla convenienza, economica e, soprattutto, culturale!
Non so, insomma. Ribadisco: sarà che sto diventando vecchio e acido, o sarà che ritengo che i già pochi soldi pubblici spendibili nella cultura dovrebbero essere spesi per cose ben più culturalmente e intellettualmente costruttive. In mezzo alle quali, per carità, ci può stare anche uno spettacolo pirotecnico, saltuariamente. Ma così come è ora no. Io veramente non lo capisco.