Di “viaggiatori” così ne ho incontrati parecchi: gente che al Circolo Polare Artico si lamentava che nei ristoranti a cena non servissero il pane o che nei fiordi norvegesi, scesi a terra dalle grandi navi da crociera, osservavano tutto di fretta e non vedevano l’ora di tornare a bordo perché quel giorno c’era la “serata siciliana” oppure quelli che rifiutano di pernottare nei rifugi in montagna che non hanno camere singole e offrono solo camerate o si lamentano che non vi sia la connessione wifi o che la strada da cui partire per raggiungerlo non sia asfaltata e non offra ampi parcheggi oppure, più semplicemente, ricercano la folla (diurno o notturno) e non ne hanno fastidio esattamente come fossero in centro a Milano o a Roma… insomma, la lista potrebbe allungarsi parecchio.
Purtroppo questa predisposizione mentale è un effetto evidente del turismo di massa contemporaneo (a sua volta conseguenza del vivere odierno vocato al consumismo di tutto), il cui fine principale non è offrire esperienze di viaggio autentico ma vendere un mero prodotto (un pacchetto turistico) che, incidentalmente, ha “in allegato” dei luoghi i quali tuttavia non contano molto: conta il servizio, i comfort, ovviamente il prezzo e naturalmente la quantità di contenuti visivi che in tali “viaggi” si possono poi postare sui social. D’altro canto il viaggio vero risulta molto poco compatibile con un prodotto da vendere, e così molti “viaggiatori” (nel senso di gente che si sposta e compie un viaggio ma in modo inconsciamente riluttante, appunto) visitano paesi e regioni in giro per il mondo incredibilmente interessanti ma non mettono piede fuori dal villaggio turistico che hanno prenotato, nel quale hanno a disposizione esattamente quello che trovano ogni altro giorno dell’anno a casa propria: la brioche e il cappuccino a colazione, la pasta o la pizza, la sauna e l’idromassaggio, la serata in discoteca con, unica variante, lo spettacolo di danze tipiche locali eseguito da autoctoni che sono (gioco forza) più urbanizzati e forse pure più alienati di quelli che li applaudono.
In effetti, a pensarci bene, sinonimi di “riluttante” sono avverso, maldisposto, ostile. Per questo, alla lunga, quei non viaggiatori finiscono per generare notevoli danni ai luoghi che frequentano: inesorabilmente la trascuratezza verso i paesaggi che essi si portano appresso rischia di far diventare trascurati i paesaggi stessi, banalizzandone se non degradandone le peculiarità. Per come costoro “viaggiano”, se restassero a casa loro non cambierebbe molto e alla fine, probabilmente, riguardo certi luoghi farebbero meno danni. Già.
P.S.: sia chiaro, poi ognuno è libero di viaggiare o meno come vuole, non è una questione di forma (De gustibus non est disputandum, anche qui) ma di sostanza e, semmai, di travisamento di essa, ecco.