Genova e i genovesi, prossime vittime italiane della turistificazione di massa

[Foto di Paolo Trabattoni da Pixabay.]
Su “Il Post” lo scorso 18 gennaio è stato pubblicato un articolo firmato da Elena Nieddu – giornalista ligure che ha lavorato per “Avvenire”, “Repubblica” e per “Il Secolo XIX” – intitolato Genova per loro il quale segue perfettamente a ruota ciò che ho raccontato in questo mio articolo su “L’Altra Montagna” in tema di turistificazione estrema delle città e delle località turistiche a danno dei loro abitanti – che ho scritto a mia volta seguendo ciò che da tempo viene denunciato da più parti e diverse fonti al riguardo. A quanto pare, dunque, anche Genova sta entrando nel “club” – capeggiato ad (dis)honorem da Venezia con il suo over tourism irrefrenabile – dei luoghi sempre più soggiogati, soffocati e inevitabilmente degradati dal turismo di massa e dalle varie fenomenologie che si porta appresso, prima fra tutte l’espulsione dei suoi abitanti per fare spazio agli esercizi commerciali privati e agli alloggi dedicati al turismo breve, e la sua trasformazione rapida in un ennesimo non luogo totalmente asservito all’industria turistica.

Vi propongo di seguito qualche passaggio dell’articolo di Nieddu, che potete leggere nella sua interezza su “Il Post” cliccando qui – e vi invito a leggerlo, per quanto sia significativo e illuminante. O inquietante, certamente.

Accade a Genova quello che succede in molti altri centri storici, a cominciare da Roma, Torino e Milano: chiudono i negozi di prossimità, aprono bed&breakfast e dehors. Lo spazio pubblico è privatizzato. Crescono gli affitti; gentrificazione e disagio si sovrappongono. Molti dei residenti abbandonano il centro storico per aree più periferiche: mentre certe aree diventano più costose, con ovvi vantaggi per chi ha case da vendere, altre vengono lasciate al degrado. A Genova i confini tra le due zone si spostano continuamente, creando un profilo mutevole in cui i palazzi di via Garibaldi, presi d’assalto dai turisti e zeppi di appartamenti delle famiglie patrizie, sono a pochi passi dalle vie – per usare le parole di Fabrizio De André – frequentate anche di giorno dalle graziose. A proposito di De André, di cui in questi giorni si ricordano i venticinque anni dalla morte, anche lui è oramai un protagonista del marketing urbano. Neanche Genova si salva dalla messa in scena che tutte le città, nel tentativo di rendersi originali, offrono di sé, avvitate a miti e retorica, con il grottesco effetto «di rendersi invece sempre più uguali le une alle altre».
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L’Italia ha molti meno visitatori, per esempio, della Spagna, ma «gli enti che dovrebbero governare il turismo agiscono come pro-loco», invece di gestire i flussi. Guardiamo le crociere: «Questo tipo di visita non porta nulla ai centri urbani; ma una media di poco più di 3.000 persone al giorno in una città di circa 561 mila abitanti potrebbe non essere un problema. La questione, ancora una volta, è di concentrazione e di governo dei flussi». A livello decisionale, i margini di intervento ci sarebbero: evitare la «monocultura turistica» e promuovere la riqualificazione urbana a beneficio dei residenti, altrimenti il rischio è che le nostre città si trasformino in costosi resort per chi ha più soldi di noi.

«Il posto migliore d’Europa per sciare»?

Premetto che non ho letto la notizia sul FT ma dal titolo che riporta Sky credo ci sia una sorta di narrazione inversa. Sul fatto che Bardonecchia possa diventare una delle migliori località per vivere e fare turismo in montagna ci possiamo lavorare, ma per sciare francamente senza neve al suolo la vedo durissima e questi giorni lo stanno ampiamente dimostrando. Questo, come altri titoli di cui leggo in questi giorni, non fanno bene alla montagna perché servono ad alimentare una visione nostalgica e ormai incompatibile con la realtà dei fatti. È evidente ormai che non si sta andando tutti nella stessa direzione e questo sta generando disorientamento all’interno delle comunità locali che invece avrebbero bisogno proprio di un indirizzo forte come richiede una transizione dal modello neve a modelli altri, complessi e integrati. Le soluzioni potrebbero esserci (ci sono casi che lo dimostrano ampiamente) ma bisogna voler perseguire la strada a tutti i livelli. Non si posso lasciare le comunità che sperimentano sole in questa direzione come se fossero “eccentricità” del sistema, la transizione deve avvenire in un quadro d’azione complessivo.

[Federica Corrado, docente di Urbanistica al Politecnico di Torino, past-presidente di CIPRA-Italia e autrice di alcuni libri fondamentali sulle politiche di gestione dei territori montani; fonte qui. L’articolo del “Financial Times” invece lo potete leggere qui.]

Di nuovo mi trovo assolutamente d’accordo con quanto sostiene Federica Corrado – al netto che quelle pseudo-classifiche sovente proposte dai media siano sempre da prendere con mille pinze: ma il punto non è questo, è il messaggio che ne deriva.

Il disorientamento delle comunità di montagna di fronte all’evoluzione delle politiche di gestione dei loro territori, soprattutto di quelli vocati più o meno forzatamente al turismo, è di fatto la prosecuzione di quei fenomeni di spaesamento e alienazione novecenteschi ben raccontati da Annibale Salsa nel suo libro Il tramonto delle identità tradizionali ormai più di quindici anni fa. Nel depauperamento socioculturale dei territori di montagna avviatosi nel secolo scorso e continuato in maniera crescente fino a oggi, quasi ogni elemento delle geografie economiche e antropiche locali è stato spazzato via lasciando da una parte, solitaria e regnante, l’industria (termine non casuale) turistica, in primis dello sci, e dall’altra la comunità altrettanto sola dacché ormai deprivata di strumenti culturali atti a mantenere il controllo della propria identità locale e della coscienza del luogo. Ecco perché una certa comunicazione mediatica asservita al sistema economico dominante, in forza del sostegno politico ma di contro sempre più decontestuale e alieno ai territori, produce danni psicosociali ben più gravi di quanto si potrebbe pensare e allontana sempre più la possibilità di attuare quelle soluzioni potenziali che da un lato ridarebbero vigore autentico alle comunità locali e dall’altro consentirebbero lo sviluppo di una frequentazione turistica ben più armonica ad esse e ai luoghi. Invece, si continuano a narrare suggestive tanto quanto false favolette funzionali allo status quo politico-economico, senza elaborare alcuna analisi sul loro portato – per mancanza assoluta di interesse al riguardo, ovviamente.

D’altro canto, come anche denota Corrado, ecco come si presenta oggi, 3 gennaio 2024, «il posto migliore d’Europa per sciare»:

[Fonte: https://www.bardonecchiaski.com/it/webcam. Cliccateci sopra per ingrandirla.]
Ogni commento al riguardo mi pare superfluo.