Il paradosso del “mainstream”

[Foto di Austin Chan su Unsplash.]

La cultura mainstream – nazionale e internazionale – è una bolla. Come i più minuscoli gruppetti, accetta cose dette solo in una certa maniera e non capisce nient’altro. Capisce il suo slang. Il suo slang è emozionale-morale. Quale morale non importa, visto che per ogni proverbio esiste un proverbio che dice l’opposto e presi insieme fanno la saggezza popolare. Chi vuole stare nel mainstream – lo so per certo di prima seconda e terza mano – si adegua sottilmente e spontaneamente come ci adeguiamo per entrare in un gruppetto affiatato. Ci viene di scrivere romanzi come fossero serie tv, ci viene di stare sul pezzo come fossimo giornalisti, ci viene di dare consigli per gli acquisti come fossimo pubblicitari. Vogliamo starci, ma non vogliamo stare in un mondo grande. Vogliamo che la cultura nazionale o internazionale ci faccia credere che ritrovarsi in quella grande piazza equivalga a dialogo, complessità e maturità, e quella cultura ce lo assicura volentieri scegliendo portavoce dall’aria molto seria. La società dello spettacolo usa i metodi della bolla perché deve saper prevedere la reazione di molti consumatori a un prodotto. Non è un mondo adulto. Quando spingiamo prodotti culturali possiamo parlare solo di urgenza e necessità. Il prodotto culturale non ha caratteristiche specifiche, non parla alla storia del proprio linguaggio ma solo al momento presente della comunicazione, anche se è altro sogna di essere solo content. Questo costringe i poveri uffici stampa a spingerci libri come fossero fatti puri e semplici della cultura e non libri. Costringe noi a non esprimerci troppo in dettaglio per evitare di inceppare il meccanismo con cui campiamo. L’era dei critici non è finita perché i critici si erano troppo staccati dal mondo: è finita perché per consumare cultura non c’è bisogno di sapere troppo, basta sapere cosa gira e cosa tira, per assumerlo.
Ma ancora oggi se devi comprare una chitarra nuova – cioè per qualunque acquisto di cultura che realmente richieda un’alta definizione dei tuoi desideri – devi passare per i critici, per chi ti dice bene cosa hai davanti e ti aiuta a evolvere.
Penso sempre che gli italiani sono così culturali e critici solo sulle case, sul caffè e sulla cucina. […]

Da Francesco Pacifico, Come la cultura mainstream è diventata una bolla insignificante, pubblicato su che-fare.com il 12 febbraio 2021. Un’ottima e approfondita riflessione su come la dittatura del mainstream, che governa certa parte della cultura contemporanea (ahinoi!) e in generale l’immaginario comune sul mondo che viviamo, sia non solo artificiosa, deviata e deviante ma sostanzialmente ingiustificata, il che la rende ancor più paradossale di quanto già non appaia a quei pochi che ne sanno cogliere la realtà di fatto.

Potete leggere l’articolo nella sua interezza cliccando sull’immagine in testa al post oppure qui.

Un plauso ad Augias (e a Fichte)!

Si può essere più o meno d’accordo con il senso del gesto (io lo sono assolutamente, come già ho scritto qui) ma, nel principio, trovo che il pubblico rifiuto di Corrado Augias della Legion d’Onore, massima onorificenza francese, restituendone le insegne in segno di protesta contro la recente decisione del presidente francese Emmanuel Macron di concedere quello stesso importante riconoscimento al presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi – secondo Augias «un capo di Stato che si è reso oggettivamente complice di efferati criminali» – sia un atto di antico e nobile lignaggio intellettuale. “Antico” perché suo malgrado desueto, per come la figura dell’intellettuale negli ultimi anni si sia indubbiamente degradata, banalmente mediatizzata, convertita in quella assai meno nobile dell’opinion maker (o, ancora peggio, dell’influencer da social network), legata a pratiche “sloganistiche” sovente prive di spessore culturale al punto che, sempre più frequentemente, oggi “l’intellettuale” ovvero la figura presunta tale e da qualcuno così definita è proprio quella del proclamatore di slogan totalmente di parte ovvero antitetico alla figura colta «depositaria di valori culturali universali che trascendono gli interessi particolari e i pregiudizi partigiani», come enuncia la definizione del termine.

Corrado Augias è peraltro personaggio pubblico in tal senso ormai raro e dunque assai apprezzabile, al di là delle sue posizioni e convinzioni (con le quali, ribadisco, si più concordare oppure no): mi fa piacere che il suo gesto sia stato ampiamente ripreso dagli organi di informazione “seri” – come quelli che cito/linko qui – anche proprio per come attraverso di esso Augias riesca a ridare valore a quella definizione e alla relativa figura, così in crisi nell’opinione pubblica della società contemporanea (se non estinta o quasi, appunto) eppure niente affatto anacronistica, anzi, ancor più fondamentale di una volta nel mondo tanto iperconnesso quanto psico-sconnesso di oggi, così bisognoso di certezze culturali e ideali intellettuali nell’oceano di fake news, idiozie, ignoranze e barbarie varie e assortite che lo stanno soffocando.

Non voglio dire, insomma, che si debba tornare a leggere e praticare un testo come La missione del dotto di Fichte, ma dico che un testo come questo, se messo in pratica oggi come un “dotto” qual è Augias fa con il suo pur simbolico gesto, e se praticato diffusamente, credo che farebbe questo nostro mondo un poco migliore di quel che è, o quanto meno più consapevole e erudito. D’altro canto,

L’uomo esiste per migliorarsi sempre più dal punto di vista morale e per rendere migliore tutto ciò che lo circonda: sia nella sfera della sensibilità, sia anche, se lo consideriamo nell’ambito della sensibilità. sia anche, se lo consideriamo nell’ambito della società, dal punto di vista etico e così facendo, per rendere se stesso sempre più felice.

Be’, come non poter essere d’accordo con queste parole, seppur scritte più di due secoli fa?

Poi, in tutta sincerità, a me il termine “intellettuale” non piace nemmeno tanto; preferisco “pensatore”, nonostante sia forse anche più desueto del primo. D’altro canto l’intelletto lo abbiamo tutti, il pensiero credo invece di no. Ecco.