Piazza Fontana a Milano, una strage (anche) della montagna

[Foto di RAI – Ufficio Stampa Rai, Pubblico dominio, fonte commons.wikimedia.org.]
Oggi ricorre il 54° anniversario della strage di Piazza Fontana a Milano, compiuta alle 16.37 del 12 dicembre 1969 da elementi neofascisti – con varie connivenze statali – e considerata «il primo e più dirompente atto terroristico dal dopoguerra» che avviò il periodo della cosiddetta «strategia della tensione».

È un episodio della storia italiana recente certamente conosciuto da tutti; di contro, pochi sanno che quella di Piazza Fontana fu una strage che colpì profondamente anche la montagna lombarda. La piazza milanese era infatti la sede dai secoli scorsi di un mercato assiduamente frequentato dai celeberrimi Bergamini, i pastori-casari transumanti delle Alpi bergamasche che si spostavano tra le valli orobiche e bresciane e la pianura, i quali erano pure accorti gestori dei propri beni al punto che già nell’Ottocento avevano eletto Milano a piazza finanziaria di riferimento. La loro attività in zona – sia per ragioni mercantili che finanziarie – è infatti celebrata dalla presenza della Via Bergamini, che da Piazza Fontana oltre Via Larga scende verso l’Ospedale Maggiore, sede storica dell’Università Statale di Milano.

Come scrive Michele Corti, tra i massimi esperti di storia delle economie tradizionali rurali e di montagna, in questo ottimo testo didattico sui Bergamini a Milano:

La frequentazione della piazza e della banca che serviva come appoggio per le operazioni da parte dei Bergamini intabarrati non era ancora cessata nel 1969 quando, il 12 dicembre, una bomba devastò il salone della Banca Nazionale dell’Agricoltura causando la strage che inaugurò un triste periodo nella storia italiana. Camilla Cederna, in un pezzo giornalistico che fece scuola, li citò tra le figure di un mondo rurale che stava scomparendo, ma che esisteva ancora e che fu crudelmente colpito.

Per la cronaca, il pezzo di Camilla Cederna è Una bomba contro il popolo, su “L’Espresso” del 21 dicembre 1969. Del legame tra Milano e i Bergamini ne ha scritto anche l’amico e rinomato autore Franco Faggiani nel suo Le meraviglie delle Alpi, libro consigliatissimo del 2022.

Come detto, è un aspetto di quel triste episodio della storia italiana poco noto ma che trovo alquanto significativo per diversi aspetti. I Bergamini hanno rappresentato per tanti secoli una realtà fondamentale e identitaria nella storia delle montagne lombarde, ancora oggi referenziale per innumerevoli luoghi alpini della regione. In qualche modo quella bomba nella “loro” banca rese ancor più traumatica la fine della loro epoca e dei territori di montagna la cui coscienza socio-culturale per secoli si è incardinata attorno a comunità rurali peculiari come quella bergamina e a ciò che rappresentavano, così da questo punto di vista formalmente manifestando in modo “deflagrante” e terribilmente traumatico la profonda cesura creatasi tra il la storia passata e il presente-futuro delle nostre Alpi: una “crepa” le cui evidenze oggi si possono riscontrare in molteplici forme. Per questo ricordare l’anniversario di oggi, tra le altre cose doverose al riguardo, significa un po’ anche rammentare la storia e la memoria bergamina nonché l’anima più autentica delle loro e nostre montagne, oggi radicalmente diverse da quel passato ormai remoto ma, forse, solo all’apparenza.

Aurore boreali e asini che volano

Un’aurora boreale alle nostre latitudini, qualche giorno fa, sopra il Gran Zebrù.

Eh già.

E magari mostri preistorici come quello di Loch Ness nel Lago di Como o piovre giganti in quelle dell’Idroscalo a Milano, sì, senza contare le astronavi aliene un po’ ovunque.

E sicuramente asini che volano sopra la sede di Regione Lombardia (vedi sopra) e nelle redazioni di certi “giornali”. Anzi, no, non volano. Scrivono.

(Clic)

Di transumanze temporali e bergamini imperituri (nonché d’un bel libro sul tema)

Un altro bel ricordo delle mie avventure montane dal quale mi viene da trarre riflessioni altre, personali e forse confutabili, può anche essere, ma per chi vi scrive importanti…
Tornavo da una salita sulle Orobie Valtellinesi, più o meno di questo periodo, era già piuttosto tardi e avevo fretta di tornare a casa – avendo una buona ora e mezza di strada da fare – anche per smaltire la stanchezza della sgambata. Mi misi in macchina ma solo dopo pochi chilometri la mia speranza di essere a casa alla svelta svanì di colpo: la strada che stavo percorrendo (unica esistente in quella alta valle) era totalmente ingombrata da una enorme e multicomposita mandria – o gregge, non so con che termine precipuo definirla/o – con pecore, capre, mucche e non so quali altri animali da pascolo confusi nel branco. Stavano scaricando (come si usa dire) gli alpeggi più alti per tornare alle stalle di fondo valle, e una messe di animali così abbondante non poteva che farlo in quel modo, all’antica. Una transumanza vera e propria, insomma, e di quelle “massicce”. E tutti gli altri dietro, io con la mia auto e chiunque altro, a meno della metà della velocità da “passo d’uomo”, senza possibilità di passare se non trovando il modo di smezzare l’animato branco come Mosè col Mar Rosso (più facile questa seconda cosa: una volta aperto, almeno il Mar Rosso non avrebbe deciso di tornare sui suoi passi come la solita testarda capra di montagna farebbe quasi certamente, in queste circostanze!)
Avevo fretta, ribadisco, ma subito dopo il primo inevitabile istante di sconcerto, più che di ira, fui assolutamente affascinato da quel tappeto vivente e semovente di creature animali, dal loro muoversi con ondeggiare inopinatamente armonico, dalla loro docilità delle bestie che pareva far intendere la consapevolezza di dover fare ciò che veniva chiesto loro di fare dai pastori, nonché dalla rappresentazione ed espressione fremente di vita e vitalità che percepivo scaturire dal branco.
Ci restai dietro di esso a lungo, divertito e interessato, senza alcuna fretta di superarlo, anzi, in qualche modo (pur se automunito) contento di dovermi adattare alla sua lentissima copertina-libro-bergaminivelocità, che tuttavia mi parve del tutto consona, ideale al contesto.
Il ricordo di quella transumanza subìta così allegramente me lo ha fatto tornare un libro (la cui copertina vedete qui a fianco: cliccateci sopra per saperne di più e, nel caso, per acquistarlo) da pochissimo editato dal Centro Studi Valle Imagna – vallata proprio orobica (ma del versante bergamasco) ove i pastori protagonisti delle transumanze venivano (e vengono oggi, i rarissimi rimasti) detti bergamini. E mi è venuto da riflettere che a volte cose come la transumanza, che ci appaiono di primo acchito relitti d’un epoca passata ormai sepolta dal progresso e dalla tecnologia, in verità il tempo non lo subiscono affatto, ma siamo noi, semmai, a giudicarle “roba vecchia e superata” perché incapaci di coglierne la valenza essenziale, niente affatto legata allo scorrere del tempo e al progresso tecnologico ma al rapporto dell’uomo con la terra (intesa come territorio e come pianeta) e alla relativa necessaria armonia con essa e le sue creature. Un metro di giudizio diverso, insomma, per gesti e azioni umane di matrice non solo funzionale ma pure culturale che ancora oggi, nella nostra era post-moderna, post-industriale, post-contemporanea, post-un-sacco-di-altre-cose, ci possono insegnare molto di utile e di conveniente, oltre che rappresentare elementi al di là del tempo (e, per certi versi, pure dello spazio) che sono parte della Natura stessa, più che dell’uomo. E l’uomo, a sua volta, è parte della Natura, inutile rimarcarlo (anche se la cosa è parecchio dimenticata), ergo, converrete che il cerchio così si chiude.

P.S.: di libri sul tema (nonché su molti altri argomenti legati ai territori di montagna) il Centro Studi Valle Imagna ne ha pubblicati molti. Visitate qui il catalogo completo delle pubblicazioni.

INTERVALLO – La Gloria (Colombia), il “BiblioBurro” di Luis Soriano

Un’iniziativa solo all’apparenza pittoresca e in verità importantissima, con la quale il maestro elementare colombiano Luis Soriano porta i libri a dorso di asino (burro in lingua ispanica) e diffonde la passione per la lettura tra i bambini delle comunità rurali della regione di Magdalena, una delle più povere della nazione sudamericana.
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